Appunti per un corso di scrittura - 2
Parliamo dell'adattarsi e di quanto sia bello avere dei limiti.
Avevo promesso una uscita infrasettimanale dedicata solo ai miei appunti sul corso che sto preparando per la Scuola Internazionale di Comics di Firenze ed eccoci qua.
Nella prima puntata ho parlato di quanto sia importante l’auto ascolto e di quanto, tutto sommato, l’originalità non solo non è un valore assoluto, ma spesso è un nome con cui identifichiamo un processo molto diverso, fatto spesso di pezzi, appunti e ispirazioni da incollare assieme.
Oggi vorrei iniziare parlando del processo che anticipa la scrittura e che per molti è importante almeno quanto il momento in cui poggiamo le mani sulla tastiera: gli appunti, le note, le scalette. Strumenti che in molti casi danno sicurezza, soprattutto se siete alle prime armi oppure improvvisamente qualcuno ha deciso di darvi soldi per scrivere vi travolge il pensiero “oddio, si fa sul serio! Non fare puttanate, ti prego, non fare puttanate”.
Si parla anche di appunti, e di quanto sia importante prenderli bene, oppure cercare di capire cosa cavolo volesse intendere il voi del passato che ha scritto quelle cose.
Adattiamoci
Ad esempio, nello strutturare il programma, io ho scritto la parola “adattarsi”. Solo questo. Oltre a maledirmi per non aver scritto qualcosa di più, possiamo scoprirlo adesso. Ma non avendo la macchina del tempo vi tocca farvi una passeggiata nel mio flusso di coscienza.
Adattarsi per chi decide di intraprendere la carriera di “creatrice/ore di contenuti testuali”, pessimo nome per descrivere chi saltabecca tra notizie, saggi, lavori su commissione, recensioni, copyright e testi social, è essenziale.
Adattarsi vuol dire, per come la vedo io, non tanto imparare a scrivere in un modo, ma imparare a riempire una cassetta degli attrezzi, che è una metafora trita, ma secondo me ancora perfettamente calzante. Non sono qua a insegnarvi come scrivere il romanzo della vita, ma per utilizzare le parole come fondamenta, impalcature, travi portanti e muri di sostegno.
Poi ci saranno cose che vi piacerenno o su cui saprete di più e nessuno vi vieta di metterci una bella carta da parati, qualche rifinitura di pregio e una luce particolare, ma per me la scrittura è costruzione. Sia che si parli di un atto conscio fatto di scalette che di buttarsi sul foglio e scrivere quello che viene per poi raddrizzarlo a martellate.
Adattarsi vuole anche dire “essere adatta/o”, che poi è esattamente ciò vorremmo essere quando qualcuno sta cercando persone da far lavorare.
Quindi per me adattarsi vuol dire (o immagino voglia dire, maledetto Lorenzo del passato) coltivare l’abilità di non pensare in un solo modo, scrivere in un solo modo o costruire in un solo modo. Essere versatile, malleabile, giusto. Non vuol dire piegarsi ma saper interpretare.
Anche perché scrivere per lavoro vuol dire anche doverlo poter fare in situazioni non sempre ottimali. A volte non c’è tempo, a volte hai poche informazioni e devi imparare a fare un bouquet di un solo fiore, a volte sei fisicamente in posti non ottimali per scrivere: treni, aerei, coworking rumorosi.
Adattarsi e quindi un processo sia interno che esterno. Vuol dire coltivare innanzitutto la sicurezza che ce la possiamo fare, una sicurezza che ci arriva dall’aver riempito la nostra cassetta degli attrezzi con tutto quello che ci serve, ma senza che sia così piena da dover passare più tempo a riflettere su come vogliamo lavorare che all’atto vero e proprio della scrittura.
“Be water, my friend” diceva Bruce Lee in una massima ormai abusata, anche perché ci si dimentica che prima di dirla aveva preso e dato un sacco di botte.
Ed è questo il punto dell’adattabilità: scoprirete di esserlo solo quando la sorte vi metterà in una situazione da cui non potete scappare se non trovando una soluzione. Fino a quel momento è tutta teoria.
Ah grazie Lorenzo del passato, adesso ho capito. Il punto è che un corso oggi non può insegnarvi “a scrivere”, perché come dicevo all’inizio scrivere vuol dire molte cose differenti e se volete lavorare dovrete farne tante.
Nella vita mi è capitato di fare bellissimi reportage scritti in ostello con troppo alcol in corpo, noiosissime notizie prese e adattate da siti inglesi, biografie di tizi che odiavo, ghost writing di famosi industriali che volevano far credere di saper scrivere, ma soprattutto mi è capitato e mi capita ancora oggi di scrivere incazzato o preoccupato.
Ed è stata proprio la scrittura a permettermi di calmarmi. Spero che un giorno anche voi possiate sperimentare il balsamo di mettervi di fronte a Word con un grandissimo giramento e dimenticarlo scrivendo di roba che non c’entra assolutamente niente.
L’adattamento quindi sì, è importante, ma soprattutto l’adattamento alle condizioni esterne e al vostro stato d’animo. Capire come chiudere fuori tutto e concentrarvi sul momento presente sarà l’attrezzo più importante e difficile da imparare (nonché quasi impossibile da insegnare).
Il resto è pratica e vi assicuro che se scrivo io potrete farlo benissimo anche voi.
Impara ad amare i limiti
In queste ore di caos totale generato dal mancato accordo tra SIAE e Meta, di cui ho parlato qua, al di là del fastidio comprensibile nel vedere i propri reel senza audio (anche senza voce, mannaggia a chi so io) e alla discussione sul fatto di creare contenuti su cui abbiamo un maggiore controllo è emerso un altro tema interessante: come le persone hanno lavorato attorno a questo limite.
C’è chi ha scherzato sulla mancanza di audio, chi si è messo a fischiettare le canzoni, chi ha parlato di più, chi ha messo l’audio in fase di montaggio e tanti saluti.
La limitazione, per quanto fastidiosa, ha spinto alcuni a fare meglio a… indovinate? ADATTARSI.
Personalmente sono un grande fan dei limiti. Al di là del fatto che se vuoi mandarmi nel panico basta dire “scrivi quello che vuoi, come vuoi”, studiando la storia della produzione umana i limiti hanno quasi sempre portato a soluzioni interessanti. Pensate al mondo dei videogiochi del passato e al bisogno di fare tanto con poco, alle limitazioni imposte da materiali, tecniche pittoriche o limiti fisici, pensate ai limiti di un fumetto nel dover disegnare trovando spazio per i testi o per raccontare il più possibile nello spazio della pagina.
Un esempio che faccio spesso è Super Mario, il cui aspetto baffuto è dovuto al fatto che con i pixel a disposizione la bocca veniva male e quindi meglio nasconderla sotto un paio di mustacchi. Ma voi avete letto Vivere Mille Vite e lo sapete già, vero?
Nel giornalismo in passato i limiti erano fondamentali. Banalmente, lo spazio era limitato e se ti venivano date 300 parole dovevano essere 300 parole. Oggi quel limite sembra superato, ma anche la scrittura sul web dovrebbe sapersi limitare sotto tanti aspetti, banalmente perché ben poca gente ha voglia di leggersi 30.000 battute a schermo, il mondo si muove troppo velocemente perché io debba sorbirmi la vostra incontinenza verbale.
I limiti nella scrittura ci forniscono boe attraverso cui tracciare il nostro percorso.
Limiti di tono, perché siamo su un quotidiano e non possiamo costruire la frase come nel nostro blog personale. Limiti di spazio, perché dobbiamo stare nei limiti di un testo per Instagram. Limiti di tempo, perché il pezzo deve uscire domani e non possiamo passare la giornata tra appunti e ricerche senza lasciarci spazio per la scrittura e la rilettura.
Scriverete molto spesso per conto terzi, quindi fatevene una ragione.
Chi pensa che scrivere sia un atto senza limiti non ha mai veramente scritto niente. Anche nel gesto più creativo, libero e prolungato arriva un momento in cui devi chiudere. Mi riferisco ovviamente ai limiti di un prodotto che in qualche modo deve uscire. Niente vi vieta di scrivere per tutta la vita senza finire mai la vostra storia, ma a quel punto state facendo un’altra cosa.
Ad esempio, io credo di essere arrivato al limite della newsletter di oggi, quindi mi metterò a pensare a delle limitazioni da inserire negli esercizi di scrittura. Se avete letto fino qua vi ringrazio e ci vediamo sabato.
Nel frattempo, sappiate che tutta questa roba finirà presto in una versione audio. Chiamarlo podcast forse è eccessivo. Ma insomma se volete proprio sentirvi il mio fastidioso accento toscano che vi parla di scrittura, presto sarà così.
Vi anticipo solo la copertina, fatta da Maurizio Toccafondi, perché è troppo bella.
Non avevo mai riflettuto al fatto che la scrittura ha il potere di calmarmi, o c’ho fatto caso solo con il diario che scrivo ogni giorno (diario fa un po’ sorridere, “journal” di più, però). Però è vero che quando chiudi un pezzo o scrivi una cosa per la quale le tue sinapsi godono stai molto bene. È come vedere un bel ragionamento che si articola, o almeno a volte mi fa questo effetto, magari solo a me (probabile). La scrittura è la forma del pensiero, una delle possibile direi.