Breve corso di salute mentale per freelance
Volersi bene e lavorare meno è semplicemente l'unica cosa da fare per lavorare di più.
Scusate, oggi la puntata arriva molto tardi. Penso che dalla prossima settimana proverò spostare tutto alle 12.
Il 10 ottobre è la Giornata mondiale della Salute Mentale, mi pare quindi sensato parlare di questo argomento perché molto ha a che fare col mondo dei freelance e di quella che sarà, o è già, una parte importante del vostro lavoro: gestire la vostra testa.
Il lavoro culturale, con questa definizione intendo un lavoro che non è basato sullo sforzo fisico, sulla costruzione di qualcosa e che esula dal lavoro amministrativo, contiene al suo interno alcune trappole mentali che sono legate molto al modo in cui percepiamo il lavoro e che per certi versi si rifanno alla famosissima frase di Joesph Konrad.
“Come faccio a far capire a mia moglie che anche quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?”.
Scrivere per lavoro a volte vuol dire scontrarsi con la capacità di misurare la dimensione di ciò che stiamo facendo.
A volte tutto è molto veloce e gli articoli sul web dopo mezz’ora sono vecchi e ci sembra di non aver fatto niente.
A volte lavorare non vuol dire mettere un articolo dietro l’altro ma intrecciare rapporti, fare proposte, attendere, sollecitare.
A volte ci sono ambienti e situazioni che non rispettano il nostro bisogno di concentrazione, a volte siamo noi stessi a distrarci.
A volte scrivere, creare, far qualcosa, semplicemente non è ciò che vogliamo fare in quel momento, perché non è come spostare un magazzino o fare data entry su Excel, che sono attività faticose o noiose ma che una volta finite ci fanno dire “ok, ho lavorato”.
E poi c’è la non banale questione dei soldi, che sono sempre pochi e che spesso ci chiedono di superare i nostri limiti, scrivere di più, scrivere in fretta, scrivere nei fine settimana, scrivere troppo, anche sbagliando.
Son tutte cose che ho detto più volte, ma che è bene ricordarci, perché saranno le dolci trappole in cui cadremo periodicamente, soprattutto agli inizi.
Ma io sono diverso
La prima cosa che dovete togliervi dalla testa è che, per quanto ogni persona sia diversa dalle altre e alcune funzionino meglio sotto stress mentre altre lavorano meglio con una rigida organizzazione, voi non siete meglio, peggio o così tanto differenti dal resto delle persone che hanno lavorato prima di voi.
Anche voi a un certo punto vi romperete se non vi curate, anche voi dovrete riposarvi e anche se per qualche mese o persino anni potete pensare di riuscire a macinare pezzi senza sosta, arriverà un punto in cui colpirete un muro di faccia. Quel muro si chiama Burnout e diventa sempre più spesso ogni volta che continuiamo a scrivere e scrivere e scrivere senza fermarci perché “i freelance fanno così”.
Ecco, dopo averlo fatto a lungo posso garantirvi che i freelance non fanno così, o almeno, lo fanno, poi si rendono conto che il mito del grind, di essere sempre disponibili, di scrivere a qualsiasi ora eccetera è, appunto, un mito, e che inseguirlo è il modo migliore per farsi male, per lavorare peggio e beccarsi insulti che aumenteranno il vostro stress. Quindi alla fine non vi conviene.
Se proprio vi interessano solo i soldi infatti sappiate che è meglio un flusso costante di articoli senza impazzire che andare avanti tra fiammate di produttività e abissi di catatonia. Lo so perché mi è successo.
Disciplina con leggerezza
Cominciamo con l’aspetto più difficile di questo lavoro: siete freelance, dovete gestirvi da soli, barcamenandovi tra scadenze, proposte, idee, pitch, richieste di pagamento, distrazioni. Per farlo è importante avere disciplina, ma come vi raccontavo tempo fa anche la disciplina può diventare fonte di stress se per stargli dietro vi dannate l’anima.
Quindi, la cosa più difficile ma più importante da trovare è il giusto bilanciamento tra essere persone disciplinate e sapersi perdonare quando le cose non vanno come avevano programmato. Un modo più facile per cercare di arrivare a questo equilibrio è l’antica massima che non serve disperarci per le cose che non possiamo controllare. Se non riuscite a scrivere perché salta la luce o ci sono dei casini pazienza, se non scrivete perché avete passato il pomeriggio a cazzeggiare… ok, ma domani allora testa bassa e pedalare.
È un po’ come andare in palestra: un giorno per riposare i muscoli ci sta, ma se i giorni diventano due o tre rischiate di perdere tutto ciò che avete guadagnato. Perché anche il ritmo è importante per il nostro cervello.
Evitate lo tsunami
Seconda cosa: evitate l’effetto tsunami. L’effetto tsunami è un nome che ho appena inventato per una cosa che mi capita spesso e che riguarda gli imprevedibili flussi del lavoro.
Ci sono settimane in cui tutto sommato c’è poco da fare e settimane in cui improvvisamente c’è una scadenza in più, arriva la telefonata per una cosa da fare velocemente, il motorino è fermo, dovete andare in posta, c’è da richiamare quello che non sta pagando e improvvisamente su di voi si staglia l’ombra di una onda anomala di impegni e distrazioni. Purtroppo, a me capita spesso in queste situazioni di fuggire verso qualcosa che mi faccia stare meglio: un pomeriggio a giocare o dipingere miniature, oppure, peggio, mettermi a guardare i social per ignorare l’onda.
In questi casi una possibile soluzione è quella di fare una cosa, una cosa sola.
E poi quella dopo.
E poi quella dopo.
E poi quella dopo.
Non fare tutto, ma qualcosa avrete fatto.
E senza rendervene conto lo tsunami sarà alle vostre spalle, come la paura che attraversa Paul Atreides mentre recita il mantra per superare il gom jabbar e sopportare il dolore nella scatola. C’è anche un altro modo per evitare gli tsunami: quel pezzo che potete fare “con calma”, fatelo adesso, che non ci sono rompimenti di scatole.
C’è la vita e c’è il lavoro
Il grande problema e la bellezza del mio lavoro è che è quasi completamente aderente alla mia vita. Ciò che guardo, quello che leggo, dove viaggio, cosa sto facendo diventa tutto parte di una narrazione che è legata alla mia produzione di articoli, video, interviste, dirette eccetera. È una deriva che la mia professione ha preso (a meno che tu non sia con lo stipendio fisso) che non amo molto ma la musica è questa e cerco di ballarla al meglio che posso finché riesco a farlo.
Il problema di questa deriva è che se non trovi dei momenti di stacco dal lavoro sei sempre a lavoro. Sempre. La sera, la mattina, a pranzo, quando sei in vacanza. E se non sei a lavoro ti senti in colpa perché qualcuno ti frega l’idea, non produci, il mondo intero non conosce la tua opinione.
L’unica soluzione anche qua è avere disciplina. Quando lavori, lavora duro, con i metodi che preferisci (io sto cercando di rimanere fedele alla tecnica del pomodoro, ovvero 25 minuti di lavoro e 5 di pausa per almeno due ore) ma forzati a staccare. Stacca a pranzo, stacca a cena, stacca mezz’ora nel pomeriggio. Pensa come se fossi in un ufficio, mantenendoti comunque un certo grado di flessibilità. Anche perché se ti piace scrivere dopocena e cazzeggiare la mattina e per te funziona… chi sono io per dirti di no?
Riconosci i segni del burnout
Prima scrivevi così bene, adesso sembra di nuotare nella melassa. Sei irritabile, ti ossessioni, pensi a cosa andrà male, quello che scrivi fa sempre schifo, i testi sono pieni di refusi, dormi male, poco e il lavoro si accumula.
Mi sa che quel bellissimo momento in cui scrivevi per 3000 testate e tutto funzionava alla grande è finito. Quel momento in cui guardavi tutti dall’alto basso perché eri il new kid on the block che macinava pezzi alla grande è lontano.
Il burnout arriva per tutti e può avere molte forme. Anche perché ogni freelance è una persona che incassa delusioni, brutte giornate, stanchezza, paghe da fame, che per un po’ sono controbilanciate dall’entusiasmo, dalla luna di miele col tuo lavoro e con i viaggi spettacolari. Poi però quell’entusiasmo ci sta che sia logorato dai conti da quadrare, dai pagamenti in ritardo, dalla semplice stanchezza fisica o dal banale fatto che anche la cosa più bella del mondo quando diventa lavoro comunque perde qualcosa.
A me è successo di andare in burnout, e forse qualcosa di più, a fine 2019, quando un committente ha improvvisamente deciso che per tutto dicembre non si accettavano più articoli da esterni. Non è stato tanto quello a piegarmi le gambe ma il fatto che era l’ennesima volta che succedeva.
Mi è successo quando mi sono reso conto che pur essendo arrivato in alto non avrei mai avuto la tranquillità di un contratto stabile.
Mi è capitato quando ho dovuto lottare per avere i miei soldi.
Tre cose posso dirvi di sicuro sul burnout: il limite lo conoscete voi, e purtroppo capiterà che per riconoscerlo dobbiate superarlo.
Dal burnout non è detto che ci si salvi da soli.
Nei casi più gravi serve l’aiuto di qualcuno che ha studiato per risolvere questo genere di problemi.
Per le situazioni meno complesse una rete di amicizie e di interessi aiuta, ma ognuno ha il suo metodo. C’è chi riduce un po’, chi si sfoga con qualcuno e poi passa, chi deve mollare improvvisamente per evitare di ricarderci subito.
Io preferisco quello del cerotto strappato. Bloccare tutto quello che sto facendo, o ridurlo al minimo, per 24 ore e fare altro. Cosa? qualcosa che mi renda felice senza rendervi produttivi, ma che non annulli del tutto la mia testa, che non mi renda troppo passivo. Qualcosa che non debba per forza essere numerato da like, visite o chissà cosa. La pittura, giocare a qualcosa, camminare, leggere. Serie tv e film ok, ma occhio a non cadere nel binge.
Ecco, questa è forse la cosa più importante: fate qualcosa che sia solo vostro, che non sia un contenuto per i social, per affermare la vostra identità di freelance. Qualcosa che non abbia secondi fini se non la vostra distrazione.
Sappiate anche che quel singolo momento non basterà, ma potrebbe essere il momento da cui iniziare a curare meglio ciò che fate come un lavoro, più che una passione. Perché è la passione che ti fotte, mentre col lavoro siamo sempre in guardia.
Quindi siate appassionati quando scrivete, fate una diretta, vi informate su qualcosa, vi proponete un nuovo editore, ma ricordatevi che è un lavoro.
E quindi chiudiamo sempre con Conrad.
“Il lavoro non mi piace - non piace a nessuno - ma mi piace quello che c'è nel lavoro: la possibilità di trovare sé stessi. La propria realtà - per se stessi, non per gli altri - ciò che nessun altro potrà mai conoscere.”
PS
Tutte le cose che vi ho detto vanno benissimo, ma niente sostituisce l’aiuto di uno specialista e chiederegli aiuto non deve essere vissuto come una vergogna (però vi succederà, fidatevi). Considerate l’idea di allocare parte del vostro risicato budget per questa cosa, se sentite di averne il bisogno.
LINKINI
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Grazie Lorenzo, ottime parole. Pezzo che sento moltissimo. Vedo che alla fine certe costanti (anche cronologiche) ritornano per tutti.
Personalmente c'ho messo ANNI a capire cosa/come/dove non andava bene e governarmi con perizia (anche con un aiuto specialistico di qualche tempo). Sono tutte esperienze che NON dovrebbero accadere. Ma accadono, a causa del barbarismo e barbonismo economico in cui viviamo immersi in questa società di merda, lasciami usare il francese.
Improvvisamente nemmeno un anno fa ho scoperto che guidare e manutenere una motocicletta è il mio karma, la mia valvola di sfogo perfetta, la mia gioia più pura e libera. Riuscire a godere di sensazioni prettamente fisiche, materiali, solitarie, e poter badare con le mie stesse mani ad un oggetto che amo per questo potere che ha... e che non ha nulla a che vedere con il mio lavoro o la mia formazione pregressa è un'epifania sorprendente! Torno libero quando ci salgo su, e uso ogni possibile scusa per salirci su. Mi rendo conto che non è una moda passeggera, anzi forse proprio perché l'ho trovata da adulto la coltivo di più con tutte le scomodità e difetti che implica muoversi su due ruote tutto l'anno.
Ho trovato il mio metadone per non finire nel loop di grinding, frustrazione, depressione, cupio dissolvi.
Non so se è giusto ma ehi, funziona!
Sei letteralmente “lo zen e l’arte della motocicletta”