Ciao Buzzfeed News: grazie di tutto, ma anche di niente
Siti che hanno rivoluzionato, in peggio, il settore, siti che nascono, siti che muoiono.
Ci sono settimane in cui mi guardo allo specchio già con l’ansia di cosa trattare in questo spazio e settimane in cui gli argomenti mi vengono serviti senza troppo sforzo. Per fortuna, questa è una di quelle: ma anche purtroppo, perché di solito vuol dire che è successo qualcosa di brutto.
No, non sto parlando della campagna dedicata all’Italia con la Venere Influencer. Forse sarà l’unico spazio in cui non ne sentirete parlare in questi giorni.
Siti che vanno, siti che vengono
Come muoiono i siti d’informazione? Ammetto che studiare il fenomeno è un po’ una mia fissa.
Dipende molto dalle cause della morte. A volte ci sono chiusure improvvise, nette, che inghiottono tutto come un buco nero in cui finiscono anni di lavoro. Ma a volte sono così nette che il dominio è pagato ormai per tutto l’anno e il sito resta là: tipo lapide.
È il caso di Eurogamer, di cui vi avevo già parlato, cristallizzato nella sua ultima news di saluto e nella recensione finale di God of War Ragnarok.
Poi ci sono siti di cui la morte non viene annunciata, ma ci clicchi sopra ti ritrovi in una casa stregata, o in uno di quei racconti con le barche in mezzo al mare completamente vuote in cui l’equipaggio è sparito senza lasciare traccia, magari divorato da un Kraken o dalle sirene.
Sto parlando di Mashable Italia, versione italiana del sito generalista tech data in licenza al gruppo GEDI, che non si aggiorna col regolarità da inizio anno Un paio di articoli a febbraio, uno a marzo e poi linea piatta. In home page c’è roba di dicembre.
Voi avete sentito notizie della chiusura di Mashable Italia? Io no. Eppure parliamo chiaramente di un sito morto, che magari genera ancora traffico grazie alla SEO e per cui magari vengono venduti spazi pubblicitari.
Ed è un sito morto sul serio, non svuotato di senso come altri siti generalisti che ormai mettono notizie un tanto al chilo e pensano come i ristoranti del centro storico: quelli che preferiscono fregare i turisti che costruirsi una clientela.
Un caro amico sostiene che siano siti a scadenza, fatti per espandere il business editoriale su linee parallele, senza appesantire la testata principale. Zattere da abbandonare al momento opportuno, ma ovviamente prendete questa informazione con tutti i guanti del caso. Insomma, non querelatemi: la realtà non è mai solo bianca o nera. Ci sono anche le sfumature.
Ma per dei siti che se ne vanno, ecco dei siti che arrivano: Hollywood Reporter arriva in Italia, come mostrato ieri in pompa magna. Dirige Concita de Gregorio e ci lavorano (alcune) persone che stimo tanto. Anche giovani, incredibile.
Credo che lato cinema diventerà presto una voce importante (anzi, lo è già): forse sarà più complesso capire come riuscirà a ritagliarsi spazio nelle altre forme di intrattenimento che sono meno il suo focus, tipo i (per ora latitanti) videogiochi, ma spero che venga dato modo a chi ci lavora di esprimersi al meglio, senza pregiudizi sul settore.
A dirla tutta, già il fatto che Hollywood Reporter Roma (sì, Roma) scelga di dare un piccolo spazio ai videogiochi mi pare già una cosa buona.
Per adesso leggiamo le classiche dichiarazioni d’amore e unità dei primi giorni, spero seriamente che duri, perché abbiamo bisogno di spazi che durino, e non l’ennesimo progetto che doveva spaccare tutto e invece dopo un anno inizia a mandare tutti a casa.
Ah se per caso vi state chiedendo: “ma per questo nuovo sito non sono usciti degli annunci per candidarsi o cose così?”. No, chi doveva sapere lo ha saputo, oppure lo ha scoperto e si è mosso con discrezione.
Funziona così.
Buzzfeed News chiude
Ma passiamo all’argomento cardine, ovvero la chiusura di Buzzfeed News: il tentativo (riuscito) di Buzzfeed di sedersi al tavolo buono del giornalismo americano e vincere Premi Pulitzer utilizzando i soldi di sondaggi, gattini e gossip.
C’è un libro molto bello che vi consiglio caldamente, se volete leggere le storie più interessanti dei media americani moderni e contemporanei come Buzzfeed, Vice, Facebook, New York Times e Washington Post: si chiama “Mercanti di Verità” e racconta per filo e per segno nascita e crescita di queste aziende. Le idee, i contesti e i principi che le hanno portate al successo, i personaggi che le hanno guidate.
In soldoni, che ci piaccia o meno, Buzzfeed è stata la pietra angolare di Internet degli ultimi 10 anni, come minimo, assieme all’esplosione dei social. Esplosione che ha cavalcato e che ha contribuito a rendere ancora più potente.
Buzzfeed è la creatura di Jonah Peretti, che ho scoperto essere fratello di Chelsea Peretti, aka Gina Linetti di Brooklyn 99. Peretti è un personaggio molto interessante perché ha di fatto cambiato il modo in cui si fa comunicazione e in cui i siti producono notizie, ma non è assolutamente odiato o conosciuto come Mark Zuckerberg, nonostante lo si possa ritenere altrettanto responsabile dell’imbarbarimento del dibattito.
Ok, forse “imbarbarimento” è un po’ forte: diciamo del cambiamento.
Due cenni storici
Questo perché Peretti è stato uno dei primi, attorno al 2001, a capire come stava cambiando Internet, come stava cambiando la comunicazione e come stavamo cambiando noi. È stato uno dei primi, se non il primo, a capire il concetto di viralità, a rifarsi alla teoria dei meme di Dawkins (la trovate ne Il Gene Egoista), ad analizzare i dati e le letture, a intuire che su internet si stavano formando varie subculture di gente che voleva contenuti nuovi, leggeri e piacevoli e che tutto questo poteva essere mescolato con roba più seria.
Ha capito che Internet era un crogiuolo in cui potevi mettere di tutto, senza preoccuparti se la notizia di una sparatoria finiva tra un test per capire quale principessa Disney sei e i migliori abiti del Met Gala.
E intuisce tutto questo trollando la Nike sul suo programma NikeID. Avete presente la possibilità di mettere un nome sulle scarpe personalizzate? Lui chiese di poter mettere “sweatshop”, che è la parola con cui vengono definiti i laboratori di persone sottopagate che assemblano Nike.
L’azienda rifiuto e lo scambio di mail, sempre più surreale e sarcastico, andò avanti un po’: poi lui iniziò a far girare la cosa tra gli amici, che lo mandarono ad altri amici, finché non fu invitato in televisione a parlarne.
Questo gli permise di entrare in contatto con Arianna Huffington, con cui gettò le fondamenta di un'altra colonna dei contenuti internet degli ultimi quindici anni e ottenere i soldi per il suo Buzzfeed Lab in cui analizzare costantemente cosa piaceva alla gente, cosa gli sarebbe piaciuto e le alchimie di un post “virale”.
Il botto però arrivò nel 2011, in sinergia con la vertiginosa crescita di Facebook e, ovviamente, l’arrivo di grandi investitori.
BuzzFeed News arriva un anno dopo e fa subito le cose sul serio: la redazione si riempie di firme prestigiose, premi Pulitzer e pubblica inchieste di altro profilo, reportage politici.
È l’unico giornale a stare fin da subito alle calcagna della campagna elettorale di Trump, forse perché per certi versi sono fatti della stessa pasta: serietà e cazzeggio. Il Pulitzer arriva nel 2021 per un'inchiesta sulla detenzione dei mussulmani in Cina, ma nel frattempo sono numerosi gli articoli resi possibili da roba tipo “30 motivi per avere una relazione con uno chef”.
Come BuzzFeed ha cambiato il panorama
Gli studi di Peretti gli hanno permesso prima di molti altri di capire cosa volessero veramente le persone su Internet: intrattenimento leggero, cose da condividere, emozioni forti, quiz divertenti.
La formula non si distanzia molto da un magazine per giovanissimi, sono convinto che Cioè, in qualche modo, avesse una struttura simile, ma tenerla sempre aggiornata intuendo cosa avrebbe funzionato sì.
E quindi quizzettini, articoli lista, meme, ma anche la possibilità di creare le tue liste e condividerle con tutti e, chissà, magari pure diventare rivale. Titoli orribili, eccessi, roba sbattuta in prima pagina senza alcun tipo di deontologia, tutto fa brodo. Letteralmente “Welcome to the Internet” di Bo Burnham.
BuzzFeed, ben prima degli influencer, ben prima di chi fa informazione ma evita accuratamente di definirsi giornalista, per evitare ogni problema deontologico o con le sponsorizzazioni, ha capito con grandissimo cinismo che a nessuno sarebbe importato niente, bastava continuare a consumare.
Ma soprattutto ha capito che bisognava parlare di Internet come se fosse un posto fisico, reale, una città in cui scovare notizie che non lo erano tra Reddit, 4Chan, Facebook e la strada.
Tutto questo supportato da un altro colpo di genio di Peretti: un modello pubblicitario in gran parte basato sul “native”, ovvero contenuti promozionali messi in mezzo a quelli classici, scritti appositamente per gli investitori e magari non troppo facili da distinguere dal resto.
Peretti è stato anche uno dei primi a capire che con i social non bisognava postare ciò che la gente avrebbe apprezzato, ma ciò che la piattaforma avrebbe gradito e proposto alla gente. Che ciò che offriva Buzzfeed era esattamente ciò che ci arrivava in faccia nel newsfeed di Facebook: gattini, meme, tragedie, polemiche, gossip. Che avremmo consumato tutto pur di non fermarci cinque minuti a pensare.
La parola Doomscrolling non esisteva, ma già lo facevamo.
Ben Smith, oggi fondatore di Politico e all’epoca uno dei fiori all’occhiello di BuzzFeed News, sostiene che il lettore ideale del progetto era egualmente interessato a sapere di che colore era quel famoso vestito diventato virale e gli abusi nelle carceri americane.
Io però credo candidamente che non fosse così.
Purtroppo, ogni media sa di dover reggere i progetti più virtuosi con quelli più visti. Funziona così dalla notte dei tempi e anche oggi tantissimi content creator si ritrovano a fare cose buffe o ridicole per fare massa, sperando che poi qualcuno guardi anche i loro contenuti più “seri” e si stupiscono quando qualcuno li identifica come clown.
Ecco penso che BuzzFeed fosse esattamente questo: una sorta di clown che ci faceva tanto ridere e che ogni tanto si fermava, si toglieva il trucco per ricordarci che nel mondo ci sono anche cose importanti e che noi ascoltavamo con la speranza che poi tornasse a fare il giro della morte sul triciclo.
Credo fosse il modo con cui Peretti lavava la sua coscienza sporca, quella che senza scrupoli metteva le foto di celebrità nude con keyword pornografiche per beccare più traffico.
Senza dubbio le inchieste e i Pulitzer dimostrano che la qualità c’era, ma anche quella qualità ha un prezzo: tapparsi il naso, non pensare che molto spesso le cose più virtuose che facciamo sono tenute in piedi da tutto il resto.
Insomma, era l’ennesima riprova che la qualità, il giornalismo di un certo tipo, ma anche quello meno impegnato ma che non punta per forza alle emozioni difficilmente può campare da solo, se non in qualche eccezione.
Il compromesso è inevitabile, anche se c’è chi se ne approfitta.
Adesso quel modello si è inceppato, vuoi perché il pubblico si è stancato ed è cresciuto, vuoi per pessimi investimenti, vuoi perché la sua principale fonte di traffico, Facebook, è ormai una landa radioattiva di gente invecchiata e incazzata. Il nuovo potenziale pubblico se ne sta su TikTok, dove non puoi dirottare traffico su un sito.
Il tramonto di BuzzFeed News, ma anche il ridimensionamento di BuzzFeed stessa, è perfettamente in linea col lento, ma costante, ricambio che Internet sta vivendo in questo periodo. Vox Media ha licenziato il 7% della sua forza lavoro e Vice cerca disperatamente un compratore da tempo.
Non so come andrà a finire ma so che se per i prossimi dieci anni faremo a meno di listine, titoli orribili e la viralità come unico valore che conta, forse starò meglio.
Di sicuro sto bene qua.
Linkini finali? Yes!
Cominciamo con N3rdcore, la rivista che ho l’onore di gestire assieme un sacco di gente talentuosa.
Il film di Super Mario? More like il film del fanservice.
intervista gli sviluppatori di un gioco a base di... rape.Poker Face sembra una serie molto bella e appena arriverà da noi farà il botto.
parla di Tupperware e declini in un pezzo affilatissimo. parla di packaging del the. e la viralità su Tik Tok dei piccoli commercianti.
Personalmente vedo sempre più difficili le realtà editoriali a meno che non abbiano una forte impronta specifica. Ci stiamo spostando sulla personalizzazione/settorializzazione totale e gli aggregatori funzionano fino a un certo punto ecco.
No, vabbè, il fondatore di Buzzfeed è il fratello di Gina 🤯