Cosa ho imparato scrivendo un libro? Che devi spegnere i social
Guarda, credimi, vorrei che ci fosse un'altra soluzione ma purtroppo non c'è. Ti tocca, ma la cosa bella è che devi farlo per poco.
Doverosa premessa: questo non è un articolo contro internet, contro i social che ci rendono persone orribili, contro la distrazione. Non sono qua per dirvi che i social sono brutti, che ci rubano i dati, erodono la nostra attenzione e la nostra capacità creativa dandoci in cambio l’illusione di contare qualcosa e di essere costantemente in vetrina. Sono cose note e stranote su cui sicuramente siete informati almeno quanto me e potete prendere le vostre decisioni da persone adulte senza che io stia qua a farvi la paternale.
Detto questo, ci sono però dei momenti in cui tutto ciò di cui avete bisogno è recuperare la vostra concentrazione e di mettere quelle fottute parole su un fottuto schermo, sul taccuino, dove vi pare. I giochi sono fatti, la scadenza è vicina (e forse siete pure tra quelli che lavorano bene soltanto quando la deadline incombe) e non ci sono più molte scuse che il vostro cervello possa trovare per non fare ciò che va fatto. Però dovete aiutarlo a entrare nel giusto stato mentale.
Ad esempio, nel momento in cui scrivo è venerdì, sono le 17:44, fra poco devo uscire per un impegno e ancora la newsletter non è pronta, anzi, che dico, fino a venti minuti fa non avevo chiaro neppure l’argomento di cui volevo parlarvi. O meglio, quelli che di solito mi appunto come ispirazione non mi piacevano e stavo continuamente rimbalzando tra qualche ricerca su internet per far partire gli ingrenaggi e i gruppi telegram, con qualche occasionale sbirciatina a Instagram. Un cocktail letale.
Poi, improvvisamente, ho capito che dovevo parlavi proprio di questo: di come imparare a gestire quelle piccole trappole che ci mettiamo di fronte al cammino per rallentarci un po’ e farci vivere tutto di fretta. Trappole che incrocio ogni giorno e in cui casco volontariamente, perché il mio cervello, come quello di tutti, adora distrarsi.
La soluzione breve: staccate tutto per 25 minuti e vedete come va, ma staccatelo sul serio.
Cure marittime
Mentre pensavo a come mettere giù quello che vi volevo dire mi è tornato alla mente il periodo in cui ho scritto un libro.
Messaggio promozionale: per quei molti che non lo sapessero nel novembre del 2020 è uscito Vivere Mille Vite: Storia Familiare dei videogiochi per effequ, un libro pensato a settembre dell’anno precedente e uscite in pieno secondo lockdown, con somma gioia mia e dell’editore. Ma di quanto sia dura promuovere un libro, almeno per me, ne parliamo un’altra volta.
Per come sono fatto io non appena è stata fissata la scadenza di lì a 14 mesi la mia testa, dopo aver messo giù un indice di massima degli argomenti ha serenamente ignorato l’idea di scriverlo fino a Gennaio.
Arrivato il 2020 ho scritto un po’ del capitolo introduttivo per placare le voci nella mia testa che iniziavano a rumoreggiare, però poi è arrivata la pandemia, i lockdown, la paura di morire, la paura che morissero le persone vicine a me e, come dire, la mia capacità di mettere la testa sul libro è stata clamorosamente ridotta.
Questo però non ha risolto il fatto che il libro doveva comunque uscire.
Come ne sono uscito allora? Semplice, no, semplice un cazzo, però mi sono guardato allo specchio e per una volta ho deciso quella che Stephen King considera una delle principali risorse di chi scrive: la capacità di fissare una routine di tempo e spazio in cui lavorare senza distrazioni.
Nei mesi in cui era evidente che la situazione libro era ormai arrivata a Defcon 2, ovvero luglio, ho avuto la fortuna di ritrovarmi al mare, a Punta Ala, nei luoghi dove ho trascorso la mia infanzia e adolescenza nel modo più felice e spensierato e dove i videogiochi rappresentavano parte del mio vissuto. Non posso negare che questo abbia influito sulla mia capacità di entrare in contatto con la mia storia personale e i miei sentimenti e mi abbia permesso di scrivere, ma questo riguarda me, cosa poteva esserci di universale in tutto questo?
La capacità di imporsi una routine. La temibile organizzazione di cui vi parlavo la volta scorsa.
A proposito, mi hanno detto che forse quello di cui parlavo io era uno scontro tra “organizzazione e creatività” più che tra “organizzazione e caos” in parte è vero, in parte credo proprio che fosse un problema di organizzazione e caos, perché ovviamente la creatività può arrivare da entrambe le parti, come vedremo ora.
Per scrivere il libro avevo organizzato così il mio tempo: la mattina niente scrittura, solo mare, passeggiate, lettura (tendenzialmente saggi sul videogioco), altre robe di lavoro da sbrigare eventuali, ma nessun pensiero sul libro se non sapere su cosa sarei andato a scrivere dopo, per lasciare che la mia testa ruminasse l’argomento in modo inconscio.
Dopo pranzo aprivo il computer, mi mettevo in un tavolino all’aperto e scrivevo tutto quello che mi veniva. La sera dopo cena rileggevo e aggiustavo il tiro se c’era bisogno. Le parole venivano da sole perché tutta la mia giornata era pensata per catalizzare quel momento, per far si che quando mi mettevo a sedere nel giardino il mio cervello fosse già pronto a lavorare, anzi, non vedeva l’ora di scaricare sulla tastiera tutti gli spunti ricevuti. Spesso la frase di inizio del capitolo mi è arrivata mentre tornavo a casa ciabattando. Partire così vuole dire partire lanciati.
Mi rendo conto che non sempre si può lavorare al mare, circondati da un bellissimo panorama e dalle tue memorie di giovinezza, ma così facendo nell’arco di un mese avevo praticamente finito tutto quello che c’era da fare, tanto l’ultimo capitolo, scritto ad agosto, mi ha richiesto quasi lo stesso tempo che c’è voluto a scrivere tutti gli altri.
Stacca tutto per 20 minuti
Ma cosa c’entrano le distrazioni? Alla fine pure al mare puoi fare del sano doomscrolling e cazzeggiare su Telegram no? Anche perché quando King scriveva “On Writing” i social non c’erano, quindi la creazione di uno studio era più che sufficiente per evitare le distrazioni e creare uno spazio per la mente, ma ora no, anzi, il mio studio è spesso un crogiuolo di distrazioni
E allora?.
Il fatto è che c’era un altro aspetto importante che mi è venuto in mente solo ripensando recentemente a quei giorni di scrittura felice: dove lavoravo il telefono prendeva male, se volevo dare una controllata ai social dovevo alzarmi, uscire di casa e trovare uno spazio dove ci fosse almeno il 4G. La refattarietà della costa maremmana al ventunesimo secoloa ha fatto tutta la differenza del mondo, perché ero inconsapevolmente scollegato da notifiche, aggiornamenti, mail, possibilità di cazzeggio, foto di gente al mare come me, richieste di ogni tipo.
Purtroppo, non è facile ottenere lo stesso tipo di ascetismo digitale in un contesto lavorativo normale e quotidiano. Parte del mio lavoro è fatto anche dall’essere raggiungibile e dal tendere un orecchio per eventuali notizie che posso proporre prima degli altri, ma come dicevano gli antichi “quando ce vo ce vo”.
Non importa se ci riuscite da soli, se dovete mettere la modalità aereo, se volete utilizzare strumenti che vi blocchino i social, se volete farvi tenere il telefono da qualcuno che lo chiuderà in un cassetto e vi darà la chiave dopo mezz’ora ma alla fine il segreto del fare le cose è tutto qua.
Dovete rinunciare per un po’ a quella bellissima scarica di dopamina che può darvi un video buffo su Tik Tok dopo un sacco di video deludenti (ve la butto là: e se i social dovessero essere volutamente noiosi e deludenti per spingerci a continuare a scrollare finché non arriva qualcosa che ci piace?)
Fermate i social, non per una giornata, non per un pomeriggio, vi basta un’ora, anzi, vi basta la classica tecnica del pomodoro: 25 minuti di lavoro a cannone, 5 di pausa, altri 25 e così via. Giuro, davvero, basta questo. E più lo fate più il vostro cervello capirà che quando iniziate deve andare in best mode e aiutarvi. Ovviamente non basterà sempre, a volte forzarsi su un articolo che non viene non ha senso ma nella maggior parte dei casi sì.
Questo pezzo l’ho scritto così, dopo aver cazzeggiato un’ora e mezza ed essermi reso conto che o fermavo tutto o mi sarei ritrovato a scriverlo la mattina dopo di corsa. Ho spento il telefono, messo un timer di 25 minuti sul browser e ignorato tutto il resto. Ci ho messo esattamente 28 minuti a finire, non ho fatto neanche la pausa perché sentivo che la scrittura scorreva bene e avrei chiuso presto.
Provateci, e poi mi dite. Come sempre aspetto i vostri spunti!
Link in chiusura, come sempre
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