Cosa possiamo imparare da Indagini?
Il podcast crime di Stefano Nazzi è entrato in molti cuori e lo ha reso un personaggio. Come sempre c'è qualcosa che possiamo imparare.
Con le puntate uscite il primo aprile, dedicate ai delitti della Uno Bianca, si è conclusa la prima stagione di Indagini, podcast de Il Post condotto e scritto da Stefano Nazzi, che ha portato il modus operandi della testata nel mondo dei podcast crime.
Cosa possiamo imparare da Indagini?
Tutto e niente, a dire il vero. Tutto perché ogni successo ci offre delle idee, niente perché ogni successo è unico a modo suo.
Di sicuro ci mostra come l’ecosistema “Il Post” ormai si muova molto al di fuori del testo, con podcast, pubblicazioni, eventi, newsletter, come capita ormai a molte realtà editoriali. Anche N3rdcore, a dirla tutta: a proposito, seguite i nostri podcast! E le live!
Tutti gli elementi dell’ecosistema, pur diversi tra loro, sono accomunati dalla visione editoriale della testata principale: semplicità, chiarezza di esposizione, toni pacati. Arrivare dopo ma arrivare meglio.
Elementi che, grazie anche all’abbonamento, in qualche modo trasformano il pubblico in community. Un pubblico che, pur continuando a usufruire gratuitamente di moltissimo materiale, decide di supportare la testata per avere qualcosa di più e la sensazione di star facendo “la cosa giusta”.
Parlami, mentre pulisco casa
Quello che ho notato è che i podcast, rispetto all’articolo, sono senza dubbio più efficaci proprio nel crearla questa community. Nessuno farebbe meme su Il Post, se escludiamo il tormentone dello “spiegato bene”, ma sono moltissimi quelli su Indagini, sull’introduzione di Nazzi, ma anche quelli nati con Morning.
Il podcast è intimo perché la voce è intima, le barriere si abbassano. Chi parla diventa qualcuno che ti sta raccontando qualcosa mentre guidi, fai palestra, lavi i piatti. Se la scrittura è un gesto attivo, in cui ti impegni e ci metti anche il tuo tono di voce e la tua predisposizione alla comprensione, ascoltare ci permette di rilassarci e accettare la voce. Un po’ come lo streaming, ma con ancora meno impegno da parte del fruitore.
La prima lezione da imparare, quindi, è trovare gli strumenti adatti attorno al “semplice” testo, perché non sempre è sufficiente per creare una community. Dico “non sempre” perché ci sono casi in cui può funzionare: ma ormai, oggi, sempre meno.
Parlami, mentre tutti urlano
L’altro aspetto interessante è proprio l’approccio di Indagini: Nazzi fugge da ogni sensazionalismo, ha una voce calma, pacata, che espone i fatti, lascia la parola alle deposizioni, ai verbali, a volte evita proprio di descrivere le scene più cruente.
Spesso si prende del tempo per descrivere il contesto storico, per mostrare come la stampa del periodo decise di trattare certe storie, i tecnicismi che regolano le indagini. Elementi che sembrano di troppo, ma che sono invece interessanti perché calano la narrazione in un contesto e ti restano attaccati.
Prendersi del tempo per descrivere come è fatto un proiettile, cosa è una cartuccia, come si eseguono determinati test forensi? Perché farlo?
Perché sono nozioni che ci affascinano e ci restano attaccate: come la lista di parole longobarde di Barbero.
È l’antitesi del true crime per come lo conosciamo, quello fatto di dettagli morbosi, di effetti sonori macabri, di musichette inquietanti. Se penso a un podcast che ho ascoltato tantissimi come Demoni Urbani, dove la scrittura è spesso infarcita di moralismi, dettagli e un atteggiamento molto da “storytelling”, qua si respira aria di giornalismo vecchio stampo, fatto di citazioni, fonti e analisi.
Quello che sembrava non interessare a nessuno: e invece eccolo in cima alle classifiche dei podcast più ascoltati.
E quindi la seconda lezione che possiamo imparare è che forse, e dico forse, quando tutti urlano, quando pensiamo che possano avere successo solo messaggi urlati, polemiche artificiose, clickbait terrificanti, gossip e morbosità, ricordiamoci che è un gioco a cui non siamo obbligati a partecipare.
Ci sarà sempre un pubblico interessato ad altro, affascinato da un linguaggio differente: dalla sensazione che tu non stia giocando con i miei sentimenti, anzi, mi rispetti.
Ecco, sarebbe bello se chi scrive, invece di puntare alla rabbia, alla commozione, all’hype, puntasse a far crescere nel suo pubblico la sensazione di essere rispettato.
Parlami, prendendoti del tempo
Indagini esce una volta al mese, in due puntate da due ore. Se vi siete anche solo vagamente avvicinati alla produzione di un podcast scritto e documentato potete avere un’idea di quanto porti via una cosa del genere.
Nazzi, inoltre, beato lui, scrive anche per Il Post: quindi somma l’attività di scrittura a quella autoriale.
Indagini è così bello anche e soprattutto perché si prende del tempo, perché sono stati scelti casi in cui il materiale era ampio e disponibile e il polverone del giornalismo giustizialista si era già posato.
Ogni puntata nasce da un certosino lavoro di ricerca e collage che va avanti per giorni. Purtroppo il rovescio della medaglia potrebbe essere che, a un certo punto, i casi recenti e con tantissimi elementi passati in giudicato finiranno: ma tutto finisce.
In un epoca di contenuti fast food poter disporre di due sole puntate mensili le rende incredibilmente preziose, fa salire l’hype, aizza la curiosità della community e trasforma ogni puntata in una sorta di evento.
E quindi la terza lezione è che la bellezza a volte richiede lentezza, richiede cura, e quella cura, col pubblico giusto, verrà apprezzata e sarà un valore aggiunto.
Parlami, tu che hai qualcosa da dire
Valore aggiunto è anche la figura di Nazzi. Siamo di fronte, credo, all’anti-influencer: un giornalista di cronaca nera serio, posato, preciso, con alle spalle anni di carriera lunga e onesta in quel “centrocampo del giornalismo” (definizione che mi è venuta così) che è la cronaca nera.
Un libro alle spalle sui crimini di cui parla anche in Indagini, ma non certo qualcosa di promosso in stile content creator, ospitate, o dibattiti accesi nei programmi televisivi.
Ha una buona voce, ma un po’ nasale e lontana dalla perfezione di certe dizioni. Di sicuro carica di identità.
Insomma, uno che ha sempre fatto il suo, e che per sua fortuna, o vuoi per l’età in cui ha iniziato, ha potuto farlo senza dover troppo scendere a patti col farsi vedere. Vai sul posto, scrivi, consegni il pezzo. Ovvero come pensavo sarebbe stata la mia carriera di giornalista.
Poi approda a Il Post, nasce questo podcast e a 62 anni diventa improvvisamente uno di cui vorrei l’autografo: probabilmente oggi è una delle persone più quotate e desiderate nel mondo dell’informazione italiana.
Eppure lui era là, già lavorava, probabilmente molto bene, senza che nessuno si fosse mai posto il problema di dargli ancora più valore. Forse è colpa degli argomenti trattati, forse il suo carattere. Forse ci piace perché non sembra voler per forza vendere la sua presenza. Magari un giorno lo scoprirò, se avrò l’occasione di intervistarlo.
La quarta lezione arriva di botto, con la quinta. Siamo ossessionati dal farcela, farcela il prima possibile, quando siamo giovani, tutto e subito. Ma, a volte, tutto ciò che possiamo fare e continuare a far bene il nostro lavoro senza renderci conto che ce l’abbiamo già fatta. Perché Nazzi era già un ottimo professionista prima di Indagini e prima dei meme. Me ne rendo conto adesso, mentre ve lo scrivo.
Lui ce l’aveva già fatta ed è solo un mio pregiudizio a farmi a pensare che ce l’abbia fatta solo dopo essere stato “scoperto”.
La quinta lezione, però, è che a volte abbiamo proprio bisogno di qualcuno che ci scopra, che ci dia fiducia, che punti quel riflettore sul cammino professionale che abbiamo fatto. Abbiamo bisogno di trovarci al momento giusto col nostro bagaglio di esperienza e trovarci con un Francesco Costa che sta pensando a un podcast crime.
Ecco perché quella di Indagini è una bella storia. Ma non fa “sistema”, come non lo fa Il Post: che è una bellissima idea, un bellissimo progetto, ma non dimostra che un altro mondo è possibile.
Resta una peculiare eccezione di un sistema che premia ancora oggi metodi discutibili.
Sono premi che non ambisco a vincere, preferisco scrivere per gente che, forse, capisce che la rispetto.
Linkini!
Ho scritto un pezzo bello lungo sulle differenze culturali tra videogiochi Giapponesi e USA. Si tratta degli appunti di una lezione che ho tenuto al liceo e mi son divertito a giocare anche su una impaginazione più chiara, vista la lunghezza.
Ho visto “Air”, il film sulla storia del rapporto tra Jordan e la Nike. Bello ma super paraculo.
Musk, che ha bloccato ogni condivisione per i tweet che contengono link di Substack, avrebbe svelato i meccanismi dell’algoritmo di Twitter, che tanto potrà cambiare dopo cinque minuti.
Parlando di cultura: manca personale nei musei italiani.
Cinque lezioni che andrebbero tenute a mente a mo' di mantra quotidiano.