Forse è il momento di aggiornare questo spazio, così almeno togliamo un po’ di iscritti, come accade sempre a ogni uscita.
A ottobre dell’anno scorso citavo Dorothy Parker e la sua frase “Odio scrivere, amo aver scritto” e mai come oggi sento queste parole sulla pelle, perché è arrivato il periodico momento in cui piuttosto che scrivere due righe mi tagliere le dita. A dire il vero è un bel po’ che va così e magari ve ne siete accorti perché credo sia un mese che non scrivo qua sopra. O forse non ve ne siete accorti perché nella maggior parte dei casi l’idea che gli altri siano là ad aspettare le nostre parole è solo nella nostra testa.
In questi giorni m’è pure scappata di bocca la frase “ma lo sai che non mi ricordo l’ultima volta che mi sono divertito a scrivere o che ho scritto qualcosa di gusto?”. Forse potrei essere un pelo melodrammatico e catastrofico, tendo a esserlo, ma in effetti non riesco a ricordare l’ultima volta in cui le dita hanno iniziato a scorrere sulla tastiera e mi sono sentito bene. Forse, dico forse, l’articolo su Doom di qualche tempo fa che in effetti tutto sommato è stato piacevole, ma per scrivere quelle righe ho fatto una fatica boia.
E devo dire che questa sensazione arriva in un momento particolarmente complesso perché, insomma, ci sarebbe un nuovo libro all’orizzonte, Quel che non è salvato è perso, annunciato qualche giorno fa. Libro per cui un po’ un po’ di gente si è dichiarata contentissima mentre io guardavo quella (bellissima) copertina come si guarda un menù estremamente complesso che hai promesso di preparare per una cena di gente che ti stima e tu non hai la minima idea di come ne uscirai.
Non lo scrivo solo per egomania, perché sono melodrammatico e per buttare fuori le mie paturnie, sport di cui detengo varie medaglie d’oro, ma perché spero sempre che le mie situazioni siano situazioni condivise da chi decide di fare questo cammino e magari, magari, fa piacere non sentirsi soli. (E poi si per melodramma, egomania e buttare fuori le paturnie)
E poi spero sempre che quando scrivo di non aver voglia di scrivere io scacci fuori questa maledizione e la voglia mi torni, a volte succede.
Però sì, ecco, è palese che da moltissimo tempo l’idea di farlo mi fa sentire come una persona che ha amato per anni correre le maratone e adesso non vorrebbe manco fare quattro passi per un gelato all’angolo. Senza dubbio anni e anni di scrittura giornalistica precaria hanno il loro peso, ma forse c’è altro, forse anche il nuovo lavoro c’entra qualcosa.
“Faccio il copy”
Da febbraio ho iniziato a lavorare come copywriter per un’agenzia pubblicitaria qua a Firenze. Un lavoro che è arrivato come un salvagente e che mi ha catapultato nel magico mondo delle persone che hanno uno stipendio mensile, degli orari e un ambiente che non li sfrutta.
Una esperienza nuova per me, lo ammetto, che mi ha quasi fatto sentire viziato, un po’ come quei video virali dove prendono i senza tetto e gli danno una ripulita, ma in cui sto anche lavorando in modo molto diverso rispetto al giornalismo.
Perché sì, si scrive e si usano le parole, ma il giornalismo e il copywriting sono uguali come rugby e football americano: si danno le botte e si usa una palla ovale ma tutto il resto è completamente differente.
Innanzitutto: ci si innamora molto meno di idee e parole. Lavorando spesso su frasi brevi, gare e molte proposte nel corso della settimana capita molto più spesso di buttare fuori idee, frasi, slogan e concetti che poi vengono cambiati, stravolti, eliminati o che, banalmente, non incontrano il gusto del cliente, che sceglie altre agenzie.
Se la scrittura, anche di un articolo, è un lavoro abbastanza autoriale dove il tuo stile deve emergere e devi potare la pianta della scrittura come se fosse un bonsai, la scrittura per il copywriting mi è sembrata più un mettere a posto le siepi con un decespugliatore in cui, al massimo, poi vai a rifinire di cesoie.
Inizialmente fa molto strano buttare là delle idee e delle frasi e vedere che dopo mezz’ora si è già passati ad altro perché il cliente ha scelto proprio quell’idea che ti piaceva meno, ma dopo qualche mese ci si abitua e si inizia a vedere le parole per quello che sono, forse, mattoncini colorati che puoi cambiare, l’importante è che funzioni la costruzione, senza innamorarsi troppo del suono delle tue parole.
E onestamente, vuoi perché abituato a scrivere tanto, vuoi perché comunque da giornalista scrivi degli altri e lo fai usando un tono consono a chi ti pubblica, mi sono adattato abbastanza bene all’ambiente. Forse la parte più complessa è spiegare perché hai usato quella frase o quell’idea, perché “mi pareva la cosa più sensata e quello bravo a scrivere sono io, non tu” non funziona molto con i committenti.
Magari ci tornerò su questo lavoro, perché, secondo me, ci son tante cose da dire sullo strano processo creativo di dire cose che ti piacciono in equilibrio con quello che vogliono le persone che ti pagano, ma in un modo diverso dal giornalismo.
L’emergenza del cavernicolo
Ma per tornare sul punto: ho l’idea che scrivere meno, senza l’ansia della paga a pezzo, senza l’ansia di tante cose, mi abbia fatto venire voglia di scrivere meno in generale. Può anche essere che sia una fase momentanea, non lo escludo.
Ma se è vero che funziono bene solo quando ho una pistola alla tempia, ora non sento più il tocco freddo della sua canna sulla pelle e questo potrebbe aver cambiato qualcosa nella chimica del mio cervello.
Non sento più l’emergenza dell’uomo primitivo che la mattina si alza e sa che deve tirare giù un mammuth o non si mangia, ho scoperto le gioie della coltivazione e della pastorizia e forse l’ascia di selce preferisco tenerla nella caverna.
Non aiuta il fatto che la gente legge sempre meno, che ho sempre di più la sensazione di buttare là articoli nel vuoto siderale, mentre se faccio un reel su Instagram la gente è felice, commenta e scambia idee.
E alla fine sì, mi piace scrivere, ma mi piace soprattutto che in qualche modo ci sia una chiacchiera attorno a quello che produco, che percepisca l’impatto di quello che faccio. So che potrò sembrare boh, meschino, piccolo e assolutamente contrario al grande mantra di chi scrive soprattutto per sé stesso.
Ma io scrivo per gli altri, non solo per me, scrivo perché mi piace(va?) e perché mi piace essere letto.
E oggi queste sensazioni non riesco a trovarle nella scrittura, o forse le sento meno. Alla fine è un mese e passa che non scrivo qua dentro, forse perché mi sono stancato pure io di fare la Cassandra che dice che il giornalismo è messo malissimo, che non ci si campa più, che il mondo è in mano a troll e provocatori.
Però ora che ci penso, se la pistola alla tempia ha mollato la presa, quella al fianco del libro da finire mi sta pungolando. Adesso devo capire se mi riesce lo stesso miracolo di finirlo in un’estate. Se non sentite più niente di me è perché sto nascondendomi dalla casa editrice.
E poi vorrei fare, fare, fare sempre mille cose, i video, gli articoli, i reel, dipingere miniature, montare gunpla, giocare. E poi fare nulla. Gestire una testa che da una parte è una fornace e dall’altra un ghiacciaio.
Spero di rileggerci settimana prossima, tanto dipende solo da me, magari parliamo del crollo di Freeda e, si spera, del marketing spacciato per attivismo. Sempre che non ci siano altre cose più interessanti, o cose che vorreste sentire, nel qual caso, scrivete qua sotto!
Link?
Nell’ultima puntata di Altri Mondi ho parlato di Dante che viene riscoperto in Giappone grazie a un videogioco gacha
Poi si continua con La Mappa del Tesoro!
Su N3rdcore abbiamo parlato di Attack on Titan, che fa ancora paura per il finale, Pesci Piccoli 2, 28 Anni Dopo e il film sulla Formula 1 che pare bello bello.
E infine, le newsletter da seguire.
Per quel che conta, io sono statǝ felice di rileggerti!
Mi sono iscritto Lorenzo, ora DEVI rimanere e produrre 😁
Scherzi a parte, é fisiologico avere delle battute d'arresto, anche per qualcosa che amiamo fare
Personalmente, trovo che accettare la cosa piuttosto che sentirsi perennemente in difetto possa servire proprio per ritrovare stimoli e motivazioni e magari anche cogliere l'occasione per sperimentare qualcosa di diverso
Buon proseguimento, qualunque cosa farai