Due parole prima di capire come mettervi sul palco.
Sappiamo tutti che prima di entrare nel vivo bisogna pur fare una introduzione, però fidati, serve anche questa.
Ciao, chiunque tu sia, questo è il primo numero di Heavy Meta, una newsletter che parla di scrittura, creazione contenuti e, oddio, persino giornalismo e tutto ciò che gira attorno, con particolare riferimento a quella che potremmo chiamare “Cultura Pop”. Cosa potrebbe essere la cultura pop lo vediamo più in basso.
Perdona gli eventuali refusi, faccio del mio meglio ma sono un pessimo auto-rilettore.
Che c’entra il palco? Poi ci arriviamo.
Perché nasce Heavy Meta? Innanzitutto, perché mi piaceva il nome, ma l’idea è anche di dare indietro un po’ delle cose che ho imparato in più di 10 anni di lavoro. Le cose giuste, le cose sbagliate, le buone pratiche, gli errori, i trucchetti del mestiere, le schifezze che mi capita di vedere e i bei momenti. L’idea è quella di offrire un po’ di spunti parlando di quello che so meglio: ovvero la produzione quotidiana di contenuti, l’approccio con le redazioni, i vizi e le virtù.
L’idea sarebbe di uscire con cadenza settimanale, tutti i sabati mattina, con questa ricetta: analizzare un tema principale, darvi almeno un consiglio utile, raccontarvi cosa sto facendo in questo periodo o cosa sto leggendo/giocando/guardando, qualche link e poi ci vediamo la settimana successiva.
Il paradosso di questo spazio è che arriva proprio nel bel mezzo di una profonda crisi produttiva, soprattutto per quanto riguarda la scrittura. Vado live tutti i giorni, analizzo moltissime informazioni, faccio mille cose ma dopo l’uscita di Vivere Mille Vite (sì, ho scritto un libro che parla di famiglia, padri, videogiochi e altre cose, casomai non lo sapessi) è come se improvvisamente avessero messo una diga al fiume di scrittura che mi aveva accompagnato in tutto questo periodo.
Ero uno capace di scrivere almeno due pezzi buoni al giorno in certi momenti e adesso, se va bene, esulto calcisticamente se riesco a farne due a settimana che non mi fanno schifo.
Come mai è successo questo? Magari lo scopriremo nel corso di questa newsletter? Come conto di uscirne? Con un po’ di Karma, sono convinto che facendo del bene, aiutando chi magari cerca qualche consiglio o ha voglia di analizzare come funziona oggi il mercato (bada bene: mercato) delle notizie e dei contenuti i miei “muscoli della scrittura” torneranno a funzionare.
In effetti, quello che ho appena detto contiene già un piccolo consiglio: forniamo agli altri un contesto, raccontiamogli chi siamo e diamo un gancio narrativo a quello che vogliamo raccontare.
Riuscirà Lorenzo a riprendere a scrivere con costanza? Lo vedremo e nel frattempo, se avete voglia di seguirmi vedremo insieme cosa succede oggi nel mondo del giornalismo pop, perché escono certe notizie, perché è completamente deragliato, come si può cercare di fare altro e quanto sia difficile farlo, come proporsi per quel lavoro che vi piace, come gestire il momento in cui sbatterete la faccia per terra (succederà, fidatevi) e come mai dovrei in verità dissuadervi dal voler fare questo lavoro, ma non lo farò.
Magari potrei intervistare qualcuno, lungo il cammino, perché io ho fatto tante cose, ma c’è chi ne ha fatte altre e penso che ci sia un grande valore nelle esperienze differenti. Perché questo mondo è pieno di storie simili ma anche molto, molto differenti, perché per quanto ognuno di noi possa esercitare un certo controllo ci sarà sempre la botta di culo o la sfiga feroce che prenderà quel controllo e se ne farà un solo boccone.
Non posso dirvi che andrà tutto bene e che il treno che aspettate arriverà in stazione, ma se passerà forse vi aiuterò a mettere le cose giuste in valigia.
Una consiglio per iniziare a capire meglio questa professione però posso darvelo e arriva da una storia che ha ricondiviso Davide Costa, autore, amico, amante del caffè: al di là di tutto molte persone che hanno iniziato a lavorare nel settore della scrittura articoli o creazione di contenuti non sono stati semplicemente (o solo) le più brave, le migliori o quelle con la strategia a prova di bomba. Magari lo erano anche, ma non è stato solo quello a farle arrivare là dove sono adesso. Spesso hanno iniziato sostituendo qualcuno che aveva mollato per mille motivi.
Magari quella persona ha cambiato lavoro, magari si è stancata, magari è andata in maternità, magari è andata in pensione (beata lei), magari che ne so.
A volte si viene scelti non perché persone migliori o preparate, ma perché semplicemente siamo gli unici rimasti in piedi. Quindi resistete, almeno un po’, prima che la situazione diventi pericolosa. E ricordatevi che la meritocrazia è spesso una parola che serve solo a farvi lavorare di più.
E mentre resistete, forse abbatteremo questa diga che sta bloccando la mia scrittura.
Il panorama
Cominciamo con le cose semplici, si fa per dire: la situazione attuale del giornalismo pop.
Negli ultimi anni è andata consolidandosi una galassia di siti più o meno grandi che parlano di ambiti specifici o della totalità di quella che potremmo definire “cultura pop”.
Di cosa parliamo quando parliamo di cultura pop? La risposta può variare in base all’esperienza di chi la dà. La parola“cultura pop” è stata ormai da tempo sdoganata per definire quella che una volta era erroneamente definita la “cultura nerd” quando invece avrebbe più senso chiamarla “cultura geek” ovvero la discussione e l’analisi di temi legati a fandom (aka gruppi di appassionati) più o meno grandi. Per certi versi questa definizione nasce dal bisogno di staccarsi un po’ dai connotati negativi della parola nerd, soprattutto in Italia, per aumentare in qualche maniera l’aura intellettuale attorno a quello che scriviamo.
E poi in fondo non è neanche una definizione sbagliata, anche se i confini sono rarefatti, grazie anche all’opera di Umberto Eco (e prima di lui Warhol) e altri intellettuali che hanno cercato di distruggere le barriere tra alto e basso, perché non conta l’opera, conta l’approccio. Se è quello giusto puoi anche parlare di Mike Bongiorno e riconoscere l’impatto di Batman su determinati fenomeni sociali.
Si chiama postmoderno, bellezza.
In soldoni, la cultura pop è un calderone in cui puoi far finire più o meno tutto dai fumetti alle serie tv passando per i videogiochi, giochi di ruolo, da tavolo, miniature e film. Sul cinema la questione è un po’ sfumata perché ovviamente a meno che non sia un sito specializzato si parla di cinema “popolare” che vuol dire tutto e niente tra i cinecomic e un film indipendente.
Anche Uomini e Donne, Il Grande Fratello e un sacco di roba che non ci piace è cultura pop, non solo quella che una volta chiamavano nerd, mi spiace.
Per certi versi la “cultura pop” di questo tipo è sempre esistita: negli anni ’80 e ’90 abbiamo avuto una galassia di riviste specializzate, soprattutto sul cinema e i videogiochi e alcuni contenitori tendenzialmente per giovani e ragazzi come Cioè, ma anche per adulti come Tv Sorrisi e Canzoni, Max e così via. Poi è arrivata internet, sono cambiati i consumi delle informazioni e il modo in cui quelle informazioni venivano finanziate e pagate. Lentamente ma costantemente il fiume carsico del web ha corroso il sistema senza la capacità di rimpiazzarlo perfettamente con uno nuovo.
E mentre alcuni fan site diventavano rapidamente i nuovi punti di riferimento (molti siti che vedete oggi come Everyeye, Eurogamer, Movieplayer, Lega Nerd nascono come produzioni dal basso del Web 1.0 per poi consolidarsi in prodotti editoriali veri e propri) e la vecchia guardia cercava di stare al passo il mainstream è crollato.
Non so dirvi quando, probabilmente è stato un po’ come quando cresci e improvvisamente i giocattoli che ti piacevano non li vuoi più, ma a un certo punto internet ha totalmente sballato le coordinate e gli insiemi in cui ci eravamo racchiusi. Se prima per capire cosa guardava una persona giovane “media” ti sintonizzavi (e vendevi pubblicità su) MTV adesso ognuno di noi si costruisce un palinsesto di notizie, video, canzoni, musica, reel attraverso più piattaforme, con gradi di attenzione differenti, seguendo consigli di amici o gente famose, a volte totalmente a caso e, spesso, con “l’aiuto” di algoritmi.
Col crollo del mainstream, l’invecchiamento di Generazione X, Xennial e Millennial (diciamo la gente tra metà anni ’70 e inizio anni ’80, per comodità) e la nascita di generazioni con accesso alla rete fin dalla nascita la richiesta di cultura pop e cambiata. La questione è complessa e si appoggia su rivoluzioni sociali legate al benessere, al mercato del lavoro e dell’istruzione ma diciamo che molte barriere tra le passioni infantili e quelle adulte sono crollate.
Parlare di fumetti, Star Wars, montare un Lego e giocare ai videogiochi sono gesti che hanno lo stesso diritto di leggere un libro o guardare un film d’azione (e va benissimo così). E se vogliono posso mettere a 40 anni una maglietta di Super Mario perché adesso è post-postmoderna.
Si parla spesso di Big Bang Theory come dello show che ha sdoganato certe mode, certi linguaggi e certi temi ma per me BBT più che la causa è un sintomo, è uno show che è stato fatto perché qualcuno ha capito che adesso quelle cose si potevano fare. La cultura nerd/geek, da sempre una cultura del consumo, non ha “vinto” è stata inglobata dalla cultura del consumo più grande perché i suoi esponenti hanno iniziato ad avere qualche soldo in tasca.
E intanto i siti che se ne occupavano crescevano perché le persone non sono a compartimenti stagni e apprezzano che qualcuno gli dia informazioni su più ambiti.
Nel frattempo, dopo una iniziale periodo di vacche non grasse, ma almeno decenti, rapidamente i modi per tenere in piedi un sito di informazioni pop sono diventati sempre più complessi. È aumentata la concorrenza, è diminuito il pagamento delle campagne pubblicitarie, e di conseguenza il pagamento di scrive. In alcuni casi persone che una volta semplicemente scrivevano per diletto si sono ritrovate a gestire persone, budget, aziende vere e proprie, hanno visto decollare la loro popolarità via via che il web cresceva, sono arrivati i social network e far cliccare le persone sui propri siti è diventata una questione di emozione, non di contenuti.
L’ho fatta molto breve, ma è stato un cambiamento complesso che si è sostanzialmente basato su un costante impoverimento del dibattito, del mercato, dell’etica e dei soldi a disposizione e del potere. Nel mercato della cultura pop l’indipendenza è molto complessa perché è un mercato che consuma velocemente e l’accesso prioritario a determinate fonti è subordinato a un dialogo con quelle fonti.
Dialogo che fa parte del giornalismo ma che nel giornalismo pop vuol dire gestire un equilibrio complicato tra chi scrive, chi legge e chi ti deve invitare all’anteprima o darti il contenuto in tempo per poterne scrivere. E questo non vale solo per i grandi siti, ma anche per il singolo freelance.
Quindi voi.
Oggi fare questo lavoro vuol dire sgomitare in un settore dove la domanda di gente come voi è molto più alta di quanto si possa assorbire, dove gli sfruttatori abbondano e poche, pochissime persone riescono a farlo come lavoro “vero” e quando va bene è un hobby pagato, se non addirittura uno schema di piramidale.
Scusate, volevo dirvelo, dovevo dirvelo prima di continuare.
Perché sì, forse avrete fortuna, ma tendenzialmente la vostra carriera sarà fatta di articoli pagati e non di forfettari, di capacità di stare sul mercato, di ibridare la vostra condizione di giornalisti con quella di “creatori di contenuti”, perché il vostro lavoro sarà un po’ quello delle band che cercano un posto dove suonare: se avete già un po’di pubblico è più facile che quel palco si trovi.
Nelle prossime settimane vedremo come fare a farvi suonare. Non sarà facile, però sarà interessante.