È un business di emozioni & chill
Oggi un po' di flusso di coscienza sulla questione delle emozioni come contenuto e sulle sorprese nel report di YouTube
La vita è quella cosa che succede mentre fai piani dicono quelli saggi, o comunque qualcosa del genere. Quindi mentre te pianifichi una settimana di live e articoli da scrivere la sorte ride e ti piazza due giorni di infiammazione agli occhi che sballano completamente il calendario e già che c’è ti faranno male anche il sabato mattina.
Insomma, anche a questo giro, mi devo scusare per il ritardo con cui vi arriva questa newsletter, ma, e questo spero vi resti come consiglio: per quanto sia importante essere puntuali è molto più importante non fermarsi, non cedere al “vabbe’ per questa settimana passi”.
E quindi non fermiamoci.
Questa settimana il mio piccolo mondo pop ruota attorno a due eventi che sono slegati tra di loro, ma neanche troppo. Da una parte l’ennesima dimostrazione di tossicità da parte di alcune frange minoritarie ma fastidiose delle community di videogiocatori e dall’altra l’epica conclusione della quarta stagione di Stranger Things. In entrambi i casi e come vedremo in molti altri casi, mi è balzato all’occhio che la principale moneta di scambio pare essere l’emozione, la condivisione di emozioni e il bisogno di suscitare emozioni.
Le emozioni sono una delle principali monte di scambio per il giornalismo culturale, pop e classico. E per giornalismo intendo anche tutto quel “sommerso” fatto di gente che scrive e lo fa su testate non registrate, blog eccetera. Sarebbe bello dirvi che tutto ruota attorno ai contenuti, alla nostra capacità di scrittura, alla forza delle nostre idee ma la realtà dei fatti è che tutto si riduce alle emozioni che sappiamo veicolare, più che alle tesi che possiamo argomentare.
Prendiamo il caso della tossicità dei “gamer”. In queste ore Ron Gilbert, uno dei padri di Monkey Island, ha deciso di non aggiornare più la comunità sul nuovo capitolo in sviluppo perché sommerso di commenti negativi e sprezzanti. Non parliamo di critiche argomentate ma offese, insulti, qualche minaccia. Negli stessi giorni Cory Balrog, che si occupa del nuovo capitolo di God of War, ha prima chiesto alla fanbase di calmarsi e di non seguire troppo ciò che dicono i sedicenti bene informati, poi ha riportato un fatto abbastanza aberrante: c’è chi ha mandato foto del proprio pene alle sviluppatrici del gioco per cercare di avere novità sulla data di uscita.
Sì, non voglio commentare oltre i risvolti psicologici di questa notizia.
Comunque, questo genere di problemi, che poi diventano notizie, che poi diventano dibattito social e quindi contenuto poggiano i loro fetidi piedi sulla cosiddetta “cultura dell’hype” e, in parte, sulla disintermediazione operata da anni fra chi fa le cose e chi fruisce le cose. I siti che infatti oggi riportano costernati la notizia delle foto mandate alle sviluppatrici, facendo anche un po’ la morale al pubblico, sono gli stessi che su quelle notizie date un po’ a caso dagli insider ci campano da anni. Così come i giornali che campavano di isteria da covid poi erano gli stessi a dirti di stare calmo o a far notare che c’era isteria da covid.
L’emozione è la notizia, la reazione è la notizia. Tutto ormai è la notizia.
Linee editoriali che per scelta precisa e bisogno di click da far vedere agli inserzionisti hanno deciso serenamente che vale tutto. Perché così possono stare al passo con creatori di contenuti che per imboccare il proprio pubblico gli danno in pasto le emozioni che si aspettano.
E se una persona è anche un minimo credibile perché ha azzeccato alcune previsioni allora si può riportare come notizia. Anzi, capita addirittura che venga riportata come notizia il fatto che giri un rumor, ma che quel rumor è falso.
Un po’ come la storia del Corsivo, è un segno della totale rinuncia a fare da filtro nei confronti dei propri lettori, riportandogli semplicemente tutto ciò che capita, perché non si sa mai, perchè tanto lo fanno gli altri, perché se non stai al passo ti superano.
In particolare, la cultura dell’hype, quella che si basa sul montare costantemente aspettative, sull’attesa, sul “non è forse l’attesa del videogioco il videogioco stesso?” non ha generato fino a oggi niente di buono, se non portali dove tutto ciò che non riguarda “ciò che sta per arrivare” viene letto pochissimo e generazioni di giocatori con le aspettative pompate al massimo che poi restano molto spesso delusi.
E cosa c’entra Stranger Things? Beh anche là alla fine è tutta una questione di emozioni. Stranger Things è forse uno dei prodotti culturali più noti di questi anni e questo lo rende anche uno dei principali generatori di contenuti a prova di bomba. Pensiamo al ritorno di fiamma con Running up that hill e milioni di content creator che chiedono al proprio pubblico quale canzone li salverebbe da Vecna, tutti i remix che abbiamo fatto di quella scena, tutto il dibattito su chi potrebbe morire nelle ultime puntate, su quale canzone avrebbe suonato Eddie nel sottosopra.
È tutta emozione, è tutto hype, è tutto fandom, rito, culto.
Un culto in cui è normale che il finale sia visto assieme alla propria community in diretta, col commento. Ma visto che non si può mostrare niente della serie sullo schermo fondamentalmente il pubblico deve tenere un occhio alla serie sul proprio schermo e uno alla facciona dell’influencer che urla, commenta, si esalta. E ovviamente deve urlare, esaltarsi e commentare perché la premessa è tutta là: seguitemi, vi spaccerò un po’ di emozioni, seguimi e quella tua voglia di rabbia, felicità ed emozione arriveranno da me, per procura, al limite potresti ridere perché esagero.
Però seguimi, cazzo.
Lo stesso principio di quando condividiamo un articolo solo perché ci fa incazzare. E probabilmente condividi più cose ridicole o che ti fanno incazzare che articoli che ti piacciono. Pensaci.
Sono le reaction, bellezza, ma soprattutto le emozioni violente e forti che quelle reazioni provocano.
Una volta ti avrei detto che contavano solo loro ma, a quanto pare, ti avrei detto una cazzata. Vediamo perché.
La cultura del chill
Di recente YouTube ha pubblicato il suo report annuale sulle tendenze della cultura pop e sul consumo di contenuti all’interno della piattaforma. È un documento molto interessante che ci dice cose che se analizzi il settore forse conosci dà un po’. Ad esempio, che il mainstream, qualsiasi cosa sia, conta sempre meno. Che le persone danno valore a ciò che conta per loro, che sia una roba nota a tutti o no, e in alcuni casi non siamo interessati al fatto che qualcosa ha valore per gli altri, basta che lo abbia per noi. Ed ecco perché guardo costantemente video di Fail come forma di antistress.
Il report dice anche che la cultura pop e la sua fruizione evolvono attraverso tre forme di creatività: la creatività che coinvolge una comunità, ad esempio chi vuole contenuti a tema Marvel o Stranger Things e trova chi glieli dà, definendo addirittura la figura del “Professional Fan” che è un po’ ciò che siamo tutti quando cerchiamo di monetizzare le nostre passioni.
Poi c’è la creatività “multi format” ovvero quella che piace perché mescola più forme di interazione: contenuti lunghi e corti, streaming e podcast, video e testo, ma soprattutto i meme e remix, dei remix dei remix. Il report sostiene che il 63% degli intervistati della Gen Z hanno iniziato a seguire account dedicati esclusivamente ai meme nell’ultimo anno. Anche perché i meme a volte forniscono loro oggetti culturali che ignoravano che amano, ad esempio le canzoni dei video su Tik Tok.
E infine, eccoci al dato che mi interessa: la Response Creativity, ovvero la creatività che serve a generare nell’utenza una risposta emotiva che si adatta ai loro bisogni psicologici ed emozionali. È una tendenza che già era in crescita, ma che la pandemia ha reso ancora più forte e sto parlando dei contenuti chill, quelle cose che ti fanno credere di essere in un altro posto, che ti danno buone vibrazioni.
Un altro dato interessante è che i giovani sembrano rilassarsi anche con l’horror e la sua capacità di esplicitare le paure e rendere i traumi meno… traumatici. Anche se le varie generazioni apprezzano tipi di horror differenti. Ma anche là, è tutta vibe.
Il “vibing”, cioè l’entrare in risonanza con qualcosa fa tanto anni ’70 ma è importantissimo per un sacco di gente e pare che i contenuti rilassanti siano una delle forme di contenuto più sottostimate, mentre si afferma sempre di più la categoria dei “Comfort creators”. E se pensi al boom della roba ASMR non viene neanche da stupirsi. Ma qua siamo oltre l’ASMR, siamo al “mangio di fronte allo schermo perchè in qualche modo questo rilassa il mio pubblico e lo fa sentire “a casa”.
Una categoria che si rafforza grazie al legame parasociale che si crea tra pubblico e creatori di contenuti e che forse potremmo imparare a fare nostra.
Forse dopo anni di emozioni forti e di facce esagerate nelle anteprime di video e instagram è arrivato il momento di “chillare” un po’. E se penso a streamer come Kenobit, che dell’atmosfera accogliente ha fatto un punto di forza, ma anche di ciò che cercavo di fare durante la pandemia con la Rassegna Stanca su Twitch, penso che questo abbia senso.
Ti lascio con una domanda: e se nel tuo prossimo articolo cercassi di creare una atmosfera rilassata? Magari funziona.
Come sempre, qualche link
Su N3rdcore siamo un po’ saturi di Star Wars.
Ma seguiamo anche l’Indiana Jones dei tempi moderni.
Una tizia si è inventata la storia russa, per anni su Wikipedia.
L’articolo si chiama “The rise of Minion Culture” e non serve altro per condividerlo.
Mi piace l'idea di "atmosfera rilassata" in un articolo, rispecchia un po' il mio stile, quello che cerco di fare quando scrivo. Credo che il linguaggio giornalistico scritto stia cambiando, si stia evolvendo anche per competere con il temibile linguaggio visivo che spadroneggia sui social. L'importante è che non si snaturi, deragliando come vedo, purtroppo, sempre più spesso...