Eurogamer Italia: come muore una rivista web
All'improvviso Eurogamer Italia ha chiuso i battenti, cerchiamo di analizzare le cause leggendo fra le righe
La settimana scorsa Heavy Meta si è presa una pausa a causa di Lucca Comics & Games. Se avete visto qualcosa delle mie attività avrete anche capito che era inevitabile, viste le ore sul palco, in diretta e in giro per stand e strade nel fiume di gente. Magari settimana prossima vi racconto come gestire un evento del genere. Ma non possiamo non parlare di altro.
La notizia è arrivata ieri all’improvviso, come spesso accade nel settore dell’editoria, che sia l’annuncio di una nuova testata o la fine di un percorso: Eurogamer Italia chiude i battenti. Il comunicato ufficiale sul sito riporta un commento molto breve non firmato, che però non dice tutto, anzi non dice niente, sulla situazione in cui è evoluta questa situazione, per conoscerla meglio bisogna andare su Facebook a leggere, anche tra le righe, nelle parole di Stefano Silvestri, che ha guidato la rivista dal 2009, un anno dopo la sua fondazione, e in quelle dei collaboratori.
Piccola premessa: se escludiamo l’esordio su Gamesblog ho fatto su Eurogamer molti dei primi e importanti passi nel settore del giornalismo videoludico. Grazie a Eurogamer ho fatto i miei primi press tour, ho visto la Gamescom e l’E3 e per quanto negli ultimi anni mi fossi completamente allontanato, soprattutto dalla visione globale di Silvestri, ero comunque in qualche modo sentimentalmente legato allo spazio che mi ha visto esordire.
Stava bene fino a un momento fa
La notizia della chiusura di Eurogamer arriva come il più classico dei fulmini a ciel sereno perché, apparentemente, il sito godeva di buona salute. Certo, come tutte le pubblicazioni pop di questi anni faticava a tenere il passo con un pubblico che si è in gran parte spostato su YouTube e Twitch e segue più singoli content creator che portali di informazione, a volte le notizie erano date col gusto un po’ clickbait o “trigger” per scatenare reazioni indignate, col tempo si era aperto alle recensioni di film e serie tv, ma tutto sommato non c’era niente che non si vedesse in tutto il resto dell’offerta di settore.
Parliamo di un sito che fino al giorno prima era aggiornato costantemente con notizie, approfondimenti e recensioni, come quelle di God of War e Call of Duty. Non era insomma un sito “zombie” che vivacchiava a malapena mentre si riempiva costantemente di notizie ridicole e totalmente fuori contesto.
Gli accessi erano tutto sommato buoni in linea con una pubblicazione di medio livello, anche se le dichiarazioni di “terzo sito italiano di videogiochi” sono probabilmente eccessive, almeno stando al confronto tra Eurogamer e altri siti di videogiochi tramite Similarweb. Insomma, la situazione non era drammatica.
Attenzione: per “non drammatica” secondo gli standard italiani si parla comunque di un sito in cui le persone che ci lavorano vengono pagate poco rispetto alla mole di lavoro che fanno. Ad esempio, Eurogamer pagava, quando ho iniziato, 20 euro a pezzo, che fosse una recensione di quattro pagine o un editoriale da due, e a quanto pare era ancora così. Non so quanto venivano pagati i newser, ovvero chi si occupava giorno per giorno di riempire il sito con le ultime notizie.
E se 20 euro vi sembrano poche sappiate che è abbastanza nella media non solo per il settore del gaming, ma per l’informazione tutta.
E allora cosa è successo? Eurogamer è morto di morte naturale? Sì e no.
Da una parte, per quanto molte delle dichiarazioni di oggi vogliano puntare il dito contro la dirigenza, ma qua ci arriviamo dopo, è impossibile non vedere nei mutati assetti del settore parte della causa.
Come scrive anche Silvestri “… in questo arco temporale sono cambiate le regole d’ingaggio, e così come l’online a suo tempo ha segnato il declino della carta stampata, l’avvento dei nuovi media ha fatto sì che il settore abbia spostato gradualmente negli anni i propri budget altrove, spesso con abnormi sproporzioni tra investimenti e resa.”
Tradotto: la maggior parte delle aziende di settore e non una volta spendevano i loro budget pubblicitari distribuendoli nei siti, oggi spendono al massimo nei primi due, Everyeye e Multiplayer e il resto viene utilizzato sui content creator o progetti interni che scavalcano la stampa, ma il ritorno sull’investimento di queste scelte è tutto da vedere.
I mutamenti del settore sono sotto gli occhi di tutti, da almeno una decina di anni, ma anche l’incapacità dell’editoria digitale di creare un sistema economico stabile, soprattutto da noi. O, per dirla con Antonio Moro, creatore di Lega Nerd che oggi ha iniziato un percorso personale completamente diverso “L'editoria online, almeno in Italia, non ha mai raggiunto il grado di maturità che ci si sarebbe aspettati, almeno da un punto di vista economico ed etico. E ora ne paga le conseguenze.”
Ma al di là della questione pagamenti, chi lavorava in Eurogamer parla di un sito in salute, strangolato soprattutto dalle scelte di una dirigenza che negli anni, consapevole del fatto che un sito non sarebbe bastato, hanno provato altre strade. Strade che sono senza dubbio necessarie, perché, oggi, con un solo sito internet, non vai molto lontano, e questo vale anche per chi sta in cima.
Non voglio addentrarmi troppo in un ginepraio molto complesso, e che probabilmente in queste ore viene scrutinato anche in sede legale, ma Eurogamer era parte di una piccola costellazione di attività che facevano capo alle stesse persone e alla Elemental Multimedia.
Tra queste attività, oltre a una fiorente accademia di sviluppo videogiochi, c'erano anche la gestione di eventi e influencer sotto il marchio Mindblast. Non mi è chiaro quanto fosse ancora in piedi di tutto questo, ma il sito in cui si parla di gestione di eventi, tra cui la parte gaming del Romics, e di alcuni influencer è ancora in piedi.
Forse a questo si riferisce Silvestri quando dichiara che “la testata è stata messa in secondo piano rispetto ad altre iniziative, sulla carta strategiche e sensate ma che purtroppo non hanno dato i risultati sperati. Per quanto un sito editorialmente solido e che va avanti per conto proprio possa indurre a distogliere lo sguardo in favore di nuovi business, Eurogamer Italia avrebbe richiesto maggiori attenzioni in questi ultimi anni”.
E oltre a scelte manageriali che non hanno dato i risultati sperati in un panorama competitivo feroce, dove tutto cambia in neanche un anno, pare che Eurogamer, come un albero che sembra solido e poi crolla all’improvviso, fosse malato dall’interno.
Anche qua mi rifaccio alle parole di Silvestri che dice “… alcune tensioni all’interno della società che detiene la licenza italiana di Eurogamer Italia (che è un franchise) hanno portato a una vera e propria paralisi amministrativa, risoltasi solamente in tempi recenti, che ha finito per scaricarsi una volta di più sullo staff.” In soldoni: una lotta intestina per la gestione di Elemental ha paralizzato i pagamenti, che già non dovevano essere particolarmente ricchi, peggiorando la situazione.
E quindi per un po’ Eurogamer è andata avanti perché le persone che ci lavoravano hanno provato a tenere in piedi la baracca al meglio che potevano finché “arriva un momento in cui insistere nel portare avanti certe situazioni rischia di trasformare involontariamente chi è vittima di un sistema, in chi quel sistema lo perora”. E penso di non essere mai stato più d’accordo di così con Silvestri.
A questo punto la voce è arrivata a ReedPop che forse è cascata un po’ troppo dalle nuvole per essere un’azienda che dovrebbe sapere costantemente lo stato di salute delle proprie licenze, con il conseguente stop alle pubblicazioni e revoca della licenza di Eurogamer Italia.
Chi ha ucciso dunque Eurogamer Italia?
Difficile dirlo da fuori e difficile capirlo senza avere sottomano i bilanci e senza aver parlato con tutte le parti in causa, che giustamente in queste ore cercando di mantenere il massimo riserbo per evitare ripercussioni legali.
La mia ipotesi, al di là del sito apparentemente in salute, è una tempesta perfetta di concause in cui la vera miccia è l’essere parte di un franchise. Eurogamer non poteva permettersi di vivacchiare a basso regime come magari fanno altre realtà, doveva produrre utili da corrispondere mensilmente alla casa madre.
Poi c’è da precisare ancora una volta che un sito che ottiene buoni risultati dal punto di vista degli accessi, ma paga 20 euro e ha una dirigenza bellicosa e instabile, non è un sito in salute, ma al massimo una di quelle famiglie disfunzionali in cui tutto può andare a gambe all’aria per una battuta sbagliata al pranzo di Natale.
Nella concorrenza con gli altri siti e nella sempre più evidente trasformazione della figura del giornalista in quella di un ibrido tra Content Creator, presentatore e scrittore, Eurogamer sembrava un po’ indietro. I contenuti video latitavano, idem la presenza su Twitch, nonostante il coinvolgimento di personalità con un buon seguito come Lara Arlotta e altre figure legate al mondo gaming.
È vero che niente batte una buona SEO ed Eurogamer ce l’aveva, ma quando devi cercare di diversificare questo non aiuta, soprattutto se punti ai soldi delle aziende che scelgono anche in base alla personalità di chi devono sponsorizzare. Questo non vuol dire che il sito andasse male, aveva una sua solida base utenti, ma semplicemente non bastavano per crescere ulteriormente.
Poi ci sono ovviamente le scelte di una società che ha usato Eurogamer come porto sicuro da cui far partire progetti e quei progetti non sono andati bene, capita. Sono molte le realtà editoriali che utilizzano eventi e altre forme di guadagno per avere marginalità maggiori. L’idea non era sbagliata, lo fa Wired, lo fa il gruppo GEDI e molti altri. Un sito, un banner, non generano altrettanti utili. E in un settore così a rischio basta una scelta sbagliata per scaldare gli animi e finire a parlarsi tramite avvocati. Purtroppo è andata male, se a causa dell’incompetenza, della competizione o della sfortuna non posso saperlo.
E poi c’è chi alloca i budget, che ovviamente sceglie in base ai soldi che ha in tasca, cercando di usarli al meglio, seguendo le direttive che arrivano dall’alto. E oggi che il branded content la fa da padrone un sito internet che non sia al top non può competere né coi numeri di chi sta in cima né con l’appeal (e, ancora, i numeri) del singolo content creator, che al momento è in cima alla catena alimentare.
La mia ipotesi è che Eurogamer fosse un signore un po’ in là con gli anni che tutto sommato se la passava con dignità, in una palazzina di un quartiere che stava subendo un processo di gentrificazione. L’amministratore di condominio ha cercato di attirare nuovi giovani e abbienti affittuari con un loft al piano di sopra per stare al passo col mercato immobiliare e buttando giù qualche muro ha fatto crollare la palazzina.
Ovviamente, se ci sono persone che hanno lavorato a Eurogamer e vogliono arricchire questo pezzo, anche in forma anonima, contattatemi pure.
Linkini!
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