Il cappio della SEO sembrava una bella cravatta
Una puntata di notizie sparse che tanto sparse non sono, ma anche un premio.
Qua mi capita spesso di raccontarvi cose brutte, perché purtroppo il giornalismo in questo momento è pieno di cose brutte, ma oggi iniziamo con una piccola bella notizia: ho vinto un premio.
Ogni anno DStars Connect, un evento dedicato al mondo dei videogiochi, assegna vari premi, tra cui quello a chi nel giornalismo mainstream si è distinto in qualche modo. Anche quest’anno l’ho vinto io e tra i nominati c’erano colleghi bravi altrettanto se non più di me. L’unica cosa che posso dire è che, forse, rispetto ad alcuni io sono solo un freelance, mentre loro no, oppure fanno altre cose e la scrittura è un di più, oggi, un posizionamento.
Non è una nota polemica, se volessi esserlo direi che mi spiace non vedere in lizza le bravissime colleghe che conosco, ma non faccio io le nomination.
Semplicemente è lo stato attuale e non è un modo per sminuire loro e farmi sentire più fico, dico solo che è stranissima la situazione in cui io, che di fatto sono un freelance con molta meno influenza e potere decisionale, un precario che può essere spazzato via in un secondo, possa vincere un premio.
Avevo detto che volevo iniziare con una nota positiva e invece eccomi qua a mugugnare.
Ok, come non detto, facciamo che me la godo, cercando di meritarmela.
Un buon modo per farlo è raccontarvi questo settore. Oggi ho in mente un piccolo percorso di notizie. Cominciamo.
Nerdismo in contrazione
Qualche settimana fa è emersa la notizia che Funko se la passa male. Così male che per tagliare i costi butterà in una discarica, in puro stile Atari, milioni e milioni di dollari di merce. Sì, costa meno mettere dei Funko sottoterra che regalarli a dei bambini o degli adulti infantilizzati con dubbi gusti. Il tutto mentre i Funko più rari vengono pagati cari e amari.
Per non farsi mancare niente Funko, dopo aver cercato di variare la sua offerta acquistando Mondo, un’azienda nota soprattutto per i suoi bellissimi poster, ha mandato a casa un po’ di gente proprio di Mondo, soprattutto gli artisti che si occupavano dei poster. Praticamente come acquistare un editore di fumetti e mandare via i disegnatori.
In questa notizia per me c’è senza dubbio un simbolo. Non solo quello di un’azienda che passa di moda dopo aver prodotto tanta plastica che adesso finirà sotto terra, ma anche un certo ritirarsi dell’onda di un nerdismo geek collezionista mordi e fuggi che in questi anni ha dettato i tempi a tutto il settore dell’intrattenimento. Magari esagero. Ma di sicuro un certo mondo dell’intrattenimento sta sentendo un po’ la corda che si tende.
Come se la cava Twitch?
La risposta breve è: non bene. La risposta lunga è che Twitch in questi mesi ha vissuto lo stesso brusco risveglio di molte compagnie tech che durante la pandemia hanno visto incrementare moltissimo base utenza e giro di soldi e nel 2022 si sono improvvisamente rese conto che era una condizione transitoria.
Per inciso, nello stesso periodo le persone ricche sono diventate ancora più ricche, ma per rimanere tali devono licenziare l’equivalente di una piccola città.
Il risultato di queste previsioni fin troppo ottimistiche è stata una vera strage di licenziamenti che ha colpito decine di migliaia di persone. La sola Amazon credo sia ampiamente sopra le 15.000 persone licenziate.
400 di queste lavoravano per Twitch che, stando a un lunghissimo articolo, in questi anni si è seduta molto sugli allori di una concorrenza quasi del tutto inesistente e ha spostato l’onore di racimolare soldi quasi esclusivamente sugli streamer, rivoluzionando il sistema di monetizzazione, ritagliandosi una fetta più ampia degli abbonamentu e spingendoli a usare le pubblicità, che sono forse il modo migliore perché qualcuno smetta di seguire uno stream.
Senza contare che in pochi vogliono fare pubblicità su Twitch quando YouTube costa meno ed è più efficiente.
Si parla molto anche di ciò che Twitch fa per aiutare a crescere chi fa streaming e l’unica risposta possibile è: non molto. A oggi è praticamente impossibile crescere su Twitch se non siete già abbastanza noti o qualche pesce grosso non decide di sponsorizzarvi.
Qualsiasi streamer, salvo pochissime eccezioni, vi dirà infatti che gli spettatori sono calati, che gli investimenti dei marchi sono calati (si parla, ad esempio, di un grande ridimensionamento di PlayStation, che anche in Italia aveva investito forte, e la stessa Amazon Prime Video sembra aver iniziato a fare live… su YouTube) e che in generale Twitch appare un po’ stagnante.
Purtroppo, Twitch resta comunque il posto al momento più sensato su cui fare streaming. Sia per utenza, sia per strumenti, sia per impatto culturale.
L’ho capito dopo una settimana su YouTube che ha tantissimi problemi per il tipo di contenuti che faccio io. In parole povere, bastava commentare in diretta un trailer per rischiare la chiusura coatta della live.
Nel frattempo, alcune fonti dichiarano che i tagli di Twitch abbiano colpito anche gli accordi con gli streamer, che si sono visti decurtati migliaia di euro da propri contratti annuali. (Twitch stipula questi contratti con persone che portano molti abbonamenti, che restano tutt’ora una delle principali fonti di reddito). Si vocifera anche di una vendita dell’azienda a Microsoft.
Io la vedo improbabile, almeno nel breve periodo. Sia perché Microsoft ha altre gatte da pelare con le acquisizioni, sia perché vorrebbe far crollare il sistema degli abbonamenti Prime, ovvero quelli gratuiti per lo spettatore, e non c’è integrazione col Game Pass che tenga. Ma tutto può essere.
Un’ultima foto
Sempre nell’ambito delle chiusure di Amazon, tra i molti siti posseduti da Bezos c’era anche DPReview, ovvero Digital Photography Review, un sito che andava avanti dal 1998 e acquistato da Amazon nel 2007. In tutti questi anni DPReview era diventato un punto di riferimento per la grande comunità di appassionati di fotocamere, lenti e così via. Diciamo pure che era il sito più visto al mondo.
Tuttavia, dal 10 aprile 2023 il sito sarò chiuso, resterà disponibile per la lettura nei mesi successivi e poi sparirà del tutto.
24 anni di lavoro e manco il gusto di ritrovarsi dopo qualche anno in un mercatino delle pulci tra le riviste del passato.
La chiusura riguarda anche DPReview TV, il relativo canale YouTube con 411.000 iscritti.
Viene da chiedersi: se neanche essere il migliore della tua nicchia ti mette al riparo dalla chiusura, cos’altro può farlo? E siamo proprio sicuri che fra tutte le misure di contenimento dei costi eliminare il più importante sito di fotografia sulla rete fosse proprio la mossa giusta?
Spero solo, anzi, ne sono certo, che queste persone con anni di esperienza e competenza alle spalle possano trovare un nuovo impiego in un altro sito.
“Caro freelancer”
Un altro caso interessante lo segnala Alessandro Palladino di
. Si tratta della fredda cronaca di come muore un sito: tra scroscianti applausi del reparto marketing e degli esperti SEO.Mike Straw era un giornalista di PC Invasion, sito tech/videogiochi inglese, ruolo che ha ricoperto fino a lunedì scorso, quando si è improvvisamente trovato sbattuto fuori dai vari strumenti di coordinamento aziendale.
Guardando nella posta si è accorto di una mail arrivata la notte prima che iniziava con “Caro Freelancer” e spiegava che, a causa del collasso della Silicon Valley Bank, Gamurs, azienda che aveva comprato PC Invasion nel settembre del 2020, aveva deciso di ridurre i costi e chiudere con effetto immediato il rapporto di lavoro. Ma poteva stare tranquillo, non era colpa delle sue capacità!
Nel resto della sua analisi Straw evidenzia, al di là dei modi brutissimi con cui lo hanno cacciato, un grande problema nato in questi anni. La dipendenza quasi totale dei siti dal traffico SEO e quindi dai contenuti che piacciono alla SEO, scritti come vuole la SEO e pensati guardando costantemente Google Trends.
Un panorama che non è solo noioso e che porta a siti che danno più valore a notizie clickbait e consigli da due soldi rispetto al costruirsi un vero pubblico, ma che rende anche deprimente, umiliante e privo di sfide il lavoro di chi è dentro.
Mi ricorda il periodo in cui lavoravo per un grosso sito italiano di tecnologia e cultura e mi veniva chiesto tutti i giorni di macinare articoli con “le cinque cose che”. Un lavoro monotono, noioso e deprimente fatto di parole sempre uguali, ricerche su internet e ossessiva attenzione a eventuali ricorrenze di vecchie serie da cui cavare cinque curiosità.
Purtroppo mi rendo perfettamente conto dell’importanza della SEO, un cappio in cui tutta l’informazione ha messo il collo perché sembrava una bella cravatta. A oggi resta il modo più efficace per attirare traffico di ogni tipo, più di qualsiasi influencer che linka il tuo pezzo e più del passaparola.
Ma che senso ha impegnarsi, cercare di scrivere in modo interessante, provare nuovi pezzi e cercare nuove idee se tanto tutto ciò che non è nei canoni della SEO viene cestinato?
Capisco gli alti volumi di click, ma che pubblico ne viene fuori? Per noi freelance meglio aprirsi una bella newsletter e usare il passaparola, costruendo una community, dico io! (A proposito, ogni volta che lo fate questo spazio cresce tantissimo e io vi ringrazio!).
Stiamo vivendo un processo di svuotamento di significato che mi ricorda veramente tanto quello che vedo accadere attorno a me in moltissimi siti italiani. La mia idea è che nulla cambierà finché non ci sarà un botto grosso.
E se nessuno clicca più?
Quel botto potrebbe arrivare prima o poi grazie o per colpa delle IA. No, non sto parlando dei siti che si riempiono di articoli scritti dalla prossima versione di ChatGPT (Non so se avete letto dell’esperimento de Il Foglio che ha riempito il sito di articoli scritti da una IA e ha invitato i lettori a capire quali fossero. Se il messaggio voleva essere “Il Foglio vale tanto quanto degli articoli precompilati, o almeno tanto vale chi ci scrive” complimenti, missioni compiuta),
Sto parlando del fatto che, semplicemente, il click come gesto per leggere potrebbe sparire.
Su
ho letto un'interessante analisi di come potrebbe andare a finire adesso che le IA stanno piano piano entrando nei motori di ricerca, trasformandoli sempre più in motori di creazione di contenuto.È una evoluzione che parte da quando Google ha introdotto gli snippet, brevi porzioni di testo che a volte contenevano già la risposta di cui avevamo bisogno o permettevano comunque un’ulteriore scrematura. Non sto parlando tanto di quelle tre righe dopo un link ma quando chiedete i cinque migliori qualsiasi cosa e la classifica appare già all’interno di Google, evitandovi il click.
Immaginatevi come andrà a finire quando un motore di ricerca potrà prendere ciò che ha imparato leggendo nei siti e risputarlo fuori con un buon margine di errore, senza costringerci alla riprova. Forse i click non spariranno ma verranno molto, molto ridimensionati.
Anche perché queste piattaforme, esattamente come i social, avranno tutto l’interesse a tenerci all’interno del loro soffocante abbraccio. Sia mai che ci venga l’idea di regalare la nostra attenzione ad altro.
E quindi avremo meno investimenti pubblicitari, ancora meno soldi per un settore ridotto male e così via.
Una parte di me dice che, tutto sommato, se tornassimo a scrivere perché ci piace scrivere bene, evitando logiche di profitto, forse non sarebbe così brutto.
Ma la parte di me che scrive per vivere non è così d’accordo.
Tuttavia, è palese che questo scenario ha bisogno di proteggere ed esaltare le fonti di informazione originali primarie, altrimenti il sistema diventerà una sorta di bestia che mangia, vomita e rimangia i suoi stessi contenuti senza mai attingere a qualche succulento piatto di novità. Perdonate l’immagine forte, ma finirà esattamente così.
E intanto noi e gli editori saremo costretti a reinventarsi di nuovo. Oppure sarà il momento in cui finalmente i contenuti di qualità verranno nuovamente premiati come accadeva in passato.
Voglio essere ottimista, tanto se sono pessimista finisce solo che scrivo peggio e, onestamente, con tutti gli attestati di stima, le mani tese di questo periodo e il supporto che sento forte da voi in questa Newsletter, che compie fra pochi giorni un anno, sarebbe da sciocchi scrivere peggio.
Link finali
Penso che dovresti dare un’occhiata a questo bellissimo progetto: Zona Warpa.
Piggy sembra un horror molto bello.
ha fatto una roba bellissima e molto Heavy Meta: comparare le varie recensioni di un gioco per vedere come se ne parla in Italia e nel resto del mondo. Forse ve lo avevo già linkato, ma non importa. parla male, giustamente, del bisogno ossessivo di migliorarci.C’è questa idea per i funghi di Super Mario veramente macabra che ci ricorda quante idee assurde emergono nel game design.