Il cuore e gli ingranaggi di Italian Tech: intervista a Bruno Ruffilli
Come è la vita di chi lavora a uno dei più grandi e seguiti progetti editoriali italiani e quali sono le qualità per lavorare con lui.
Amiche e amici oggi è il momento di un’altra intervista che spero vi piaccia: quella a Bruno Ruffilli. Intervista ottenuta grazie al dettaglio non marginale che lavoro per lui da cinque anni.
Bruno è stato per anni a capo della sezione Tech de La Stampa e adesso ricopre il ruolo di coordinatore su Italian Tech, il sito di tecnologia a cui fanno capo La Stampa, Repubblica e Secolo XIX, ovvero il gruppo GEDI. Nella sua ventennale carriera ha intervistato quasi tutti quelli che vi possono venire in mente in questo settore, ma ha anche scritto di musica, arte, design. Insomma, è uno che quando parla ha sempre qualcosa di interessante da dire e non lo dico solo per evitare di perdere il posto, già reso precario dai miei refusi.
Detto questo, lascio a lui la parola.
Come si svolge la tua giornata tipo?
La prima riunione di Italian Tech è alle 10:30, ma prima bisogna naturalmente leggere mail, messaggi e rispondere, dare un'occhiata agli altri siti, tenere a mente gli appuntamenti della giornata. E controllare che in home sia tutto a posto, visto che l’aggiornamento viene fatto intorno alle 7 del mattino. Alle 10:30, appunto, c'è la riunione, molto breve: massimo mezz’ora, poi al lavoro. Buona parte del tempo lo passo tra mail e conversazioni telefoniche con uffici stampa, e con il resto della redazione, sia interni che esterni. Si va avanti durante la giornata comunicando tramite WhatsApp, poi alle 12:30 abbiamo un'altra riunione in cui presentiamo le nostre migliori news al coordinatore di tutti gli hub di Gedi. Se c’è tempo, una piccola pausa, poi il pomeriggio scorre tra mail e telefonate; se rimane un po di tempo, finalmente anche la scrittura. Alle 17:30 seconda riunione di Italian Tech. Qua facciamo un po’ il punto della giornata, proviamo a capire che cosa c'è ancora da far uscire e anche a decidere che cosa metteremo il giorno dopo in home page. Anche perché alle 18 c'è la seconda riunione di coordinamento con gli altri hub per presentare le nostre proposte per il giorno dopo. A quel punto la giornata è praticamente finita, ma siccome noi lavoriamo su notizie che molto spesso vengono dagli Stati Uniti e in particolare dalla Silicon Valley, dove ci sono 9 ore di differenza, se smettiamo di lavorare alle 18 o alle 19, in realtà la giornata è appena cominciata.
Capita spesso che ci sia bisogno di seguire eventi che succedono più tardi, come può essere il lancio di un iPhone, un meeting con Mark Zuckerberg o le comunicazioni di Elon Musk. Il quale però fa eccezione, perché twitta, comunica, esterna a ogni ora del giorno della notte.
Come riesci a gestire il flusso di informazioni, richieste, impegni per riuscire comunque a scrivere senza perdere di vista il quadro generale?
Come prima risposta mi vien da dire che in realtà il quadro generale lo perdo di vista. Però, per fortuna accade di rado, anche perché sono in costante contatto con gli altri membri della redazione e col direttore, dunque se qualcosa sfugge a uno, magari viene segnalata da qualcun altro, c’è sempre una sorta di rete di sicurezza. Di solito ce la facciamo, riusciamo a non farci scappare le notizie, e quando proprio succede, siamo bravi a recuperare in fretta. Per quello che invece riguarda la scrittura, no: mi sono rassegnato all'idea di avere sempre enormi arretrati, anche in questo preciso momento, per esempio. Il mestiere del giornalista è molto strano, a pensarci: cominci perché ti piace scrivere, diventi conosciuto a forza di articoli (e video ,nel caso), ma quanto più vai avanti e quanto più aumenta la tua responsabilità, tantomeno scrivi.
Finché non diventi direttore, e allora puoi fare quel che vuoi.
Inun mondo dove la figura del giornalista viene costantemente sfiduciata per mille motivi, come pensi si debba lavorare per riguadagnare quella fiducia?
Per me c'è un solo modo per guadagnare la fiducia dei lettori ed è quello di non scrivere stupidaggini. Provare a capire il tema di cui si parla, maneggiarlo con cognizione di causa, spiegarlo bene e senza secondi fini. Una delle idee che ho portato avanti per tutto il tempo in cui sono stato responsabile della sezione tecnologia de La Stampa, e che ho portato a Italian Tech, è che non tutti possono scrivere di tutto. Tra i collaboratori, per esempio, questo è molto evidente, ce ne sono alcuni che scrivono più o meno sempre degli stessi temi, il che consente a noi di avere una persona che ha una maggiore esperienza nel settore e a loro di fare meno fatica per capire l'importanza e la veridicità di una notizia. Lo stesso con le app, i servizi, i gadget: per quanto possibile testiamo tutto, proviamo tutto, ci iscriviamo, installiamo applicazioni, e ovviamente parliamo con le persone. Cerchiamo di non raccontare le cose per sentito dire, e se proprio dobbiamo farlo proviamo ad applicare, un minimo di raziocinio, a capire bene la solidità delle fonti, per poi proporre magari una visione più personale, più declinata sull’Italia.
E come è cambiata questa figura con i social e con il bisogno, soprattutto per i freelance, di “farsi vedere” come se fossero degli influencer?
Qui dirò una provocazione, consapevole del mio ruolo attuale ma anche del fatto di essere stato per svariati anni il responsabile della strategia social de La Stampa, che era all'epoca il terzo quotidiano d'Italia. Vorrei poter dire che per i giornalisti che fanno parte di una testata grande, in realtà non è così importante essere sui social. Quelli che vedete, nel 99% dei casi affidano ad altri la loro presenza social, tranne eccezioni luminose come quella di Mentana.
Farsi vedere è anche e soprattutto uscire dalla propria bolla, e per quelli della mia generazione, ma anche della tua, non si esce andando su Twitch o YouTube (per non dire di Facebook o Twitter), ma in televisione.
Se consideriamo un esempio lampante di popolarità sui social, come Andrea Scanzi, ad esempio, in pochi si erano accorti di lui quando scriveva in prima pagina su La Stampa: senza la televisione avrebbe faticato moltissimo per avere la popolarità che ha. Se ci pensi, ci sono milioni di case di italiani dove la tv è sempre accesa, magari persone di una certa età, che ce l'hanno in funzione anche solo per compagnia, e lì sono sommerse a ogni ora del giorno da questo schermo che vomita quelle che potremmo definire notizie solo con molta approssimazione. E ci credono, perché lo dice la tv, che dà un tono di autorità anche alle cazzate più improbabili.
Come è cambiato il tuo lavoro nel corso degli anni, non tanto come incarichi o mansioni ma come strumenti e competenze da acquisire?
Da una parte molto, da un'altra parte, molto poco. Questo perché era già un lavoro che si basava sulla raccolta di informazioni da più fonti, sull’attenzione a quello che succede dall'altra parte dell'oceano. Era già un lavoro che richiedeva una competenza specifica e non interscambiabile con quasi nessuno dei colleghi. Ci sono stati cambiamenti nella velocità delle notizie, oggi molto maggiore di quanto potesse essere 10 anni fa: mi sento costretto a essere sempre vigile e attento, e così praticamente non stacco mai, non ho mai un momento di pausa. È una responsabilità grande, pesante, faticosa e che è ancora peggiorata con la pandemia e il lavoro da casa. Dal punto di vista degli strumenti e delle competenze, certo l'attenzione ai social è più rilevante di quello che poteva essere 10 anni fa, ma noi abbiamo risolto - come per molte altre cose noiose - in maniera automatica: abbiamo tutta una serie di alert che ci informano in tempo reale delle news più popolari sui social.
E ancora, tra i cambiamenti, metterei il peso maggiore che ha la parte video, ma questa difficilmente si può definire una sorpresa.
Se dovessi cercare oggi un candidato ideale per lavorare con te che profilo avrebbe?
Il candidato ideale deve intanto avere una grande flessibilità mentale, il che vuol dire poter passare senza particolari difficoltà dal lavoro di desk a quello di scrittura, ad esempio. Il desk è fondamentale per noi, proprio perché abbiamo molti collaboratori esterni, e c'è bisogno di dare una coerenza a tutto quello che viene pubblicato. Questo richiede inserire dei link, ritoccare lo stile di qualcuno, correggere errori e sviste. E più di tutto, avere una prospettiva generale che identifichi l'approccio di Italian Tech alle materie che trattiamo, potremmo chiamarlo un tono che è solo nostro.
Se invece ragioniamo su un collaboratore che scriva un contributo per Italian Tech, la prima cosa non è banale è che sappia scrivere in italiano, un italiano per tutti e non soltanto per gli addetti ai lavori.
E la seconda, che è collegata con la prima, è che si ponga delle domande su quello che scrive, sia nella forma sia nella sostanza, e dunque cerchi di capire perché sta usando un luogo comune e nel caso farne a meno. Oppure decidere scientemente che quel modo di dire in quella posizione lì è esattamente quello che serve. Una cosa che in questo momento ci manca, è un'apertura a quella che potremmo definire - per mancanza di parole migliori - diversità. Vorrei una redazione in cui fossero rappresentate persone diverse, con esperienze e background, storie, prospettive, ambizioni, sentimenti, i più vari possibili. Mi piacerebbe che ciascuno portasse la propria personalità in quello che fa, fosse anche la più noiosa delle recensioni di uno smartphone. Al momento non è così, se non in minima parte: c’è moltissimo da fare, per tutti e non solo per noi.
Come ci si bilancia tra quello che si vuole scrivere e quello che devi scrivere perché lo stanno cercando tutti su google?
Siamo piuttosto liberi nella scelta delle cose di cui ci occupiamo. Lo siamo in virtù del fatto che Italian Tech ha buoni introiti pubblicitari, e questo ci consente poi di scrivere cose anche non così popolari come magari altri sono costretti a fare. Dunque la scelta dei temi per noi è abbastanza autonoma, e credo che si veda anche nell'impostazione del sito. Detto questo, non viviamo su un'altro pianeta, dunque naturalmente l'attenzione per quello che circola su Google, Twitter, Facebook e tutto il resto è costante, come dicevo, però proviamo sempre a dare una nostra prospettiva su quello che succede, a entrare nelle conversazioni con il nostro punto di vista. E ci fa ancora più piacere se siamo noi a farle partire, ovviamente.
Se potessi scrivere di quello che vuoi, senza alcun tipo di pressione o algoritmo, cosa scriveresti?
Se potessi scrivere quello che voglio, con ogni probabilità non scriverei cose diverse da quelle di cui mi occupo ora. Ho intervistato di recente Sundar Pichai e credo che per chi fa il mio lavoro questa sia comunque una bella soddisfazione. Alla lista di nomi importanti con cui ho parlato potrei aggiungere Reed Hastings, il fondatore di Netflix, ma pure Brian Eno, Jeff Bezos, svariati vicepresidenti di Apple, importanti designer, scienziati, scrittori, filosofi e così via. Vorrei raccontare di più casi in cui la tecnologia cambia davvero la vita: apre nuovi modi di pensare, supera barriere, regala emozioni.
Un ultimo consiglio per chi in qualche maniera vorrebbe lavorare con te o per te?
Oltre al rispetto dei congiuntivi e alla competenza, una caratteristica che accomuna chi lavora per Italian Tech è la capacità di spaziare in campi molto diversi, fare collegamenti, costruire interfacce.
L'ultima cosa che oggi vorrei è una persona capace di scrivere di tecnologia e basta.
Qualche link in chiusura
Ti diamo anche le basi per dipingere miniature.
I migliori videogiochi del 2022, per ora, secondo Polygon.
Il Post spiega a vostro padre cosa è OnlyFans.
Cuphead è un bel gioco e soprattutto è stato fatto cercando di non far impazzire chi ci ha lavorato.
Complimenti per l'intervista, si entra proprio nel clima di una redazione e di un mestiere calato nel pratico e nel contemporaneo. E il "Cominci perché ti piace scrivere, ma quanto più vai avanti meno scrivi" è puro #mindblowing