Listen all y'all, it's a sabotage
Convivere con l'idea che tutto sommato quella cosa che hai appena scritto non è un granché, ma ormai l'hai scritta. Sì, anche questa.
Quali sono le cose della vostra personalità che non sono necessariamente positive, ma con cui avete fatto pace?
Quelle che proprio non riuscite a scrollarvi di dosso e in un certo senso avete accettato perché fanno parte di voi e vi definiscono forse più dei pregi?
Comincio io: fin da bambino sono stato accompagnato da frasi del tipo “Sembra sempre che stai pensando ad altro”, “Non sei qui con la testa”, “Quando ti parlo sembra che tu stia pensando ai fatti tuoi”. Non so se sia perché sono uno che parla continuamente con sé stesso, se è una questione di volto, prossemica, o se effettivamente sono incapace di una concentrazione assoluta ma ormai è così. Do per scontato che le persone penseranno sempre che io sia altrove con la testa ed è sicuro uno dei motivi per cui mi odiano.
La seconda frase che accompagna da anni è “Pensavo di starti sul cazzo”, che non è proprio il massimo quando sei un freelance che dovrebbe puntare sul fare rete e tessere una serie di relazioni e contatti.
In parte credo sia colpa del mio carattere schivo che tramuta il mio non voler disturbare le persone in una serie di frasi brusche e dirette facilmente scambiabili per fastidio.
In parte ho paura sia colpa della faccia che mi ritrovo, una faccia che quando sta facendo qualcosa che lo interessa o lo rilassa assume una espressione accigliata e vagamente cupa.
Insomma, ho la resting bitch face.
Non mi pare un granché
Recentemente ho scoperto un altro lato con cui fare i conti: non riesco a capire bene quando una mia cosa è buona per gli altri o no.
A dire il vero non è una grande novità, internet e mi ha abituato a una certa imprevedibilità dei risultati. Per cui quel contenuto in cui hai messo il cuore o che ritieni interessante se lo vede solo mia madre mentre la battuta scema pensata sul cesso diventa improvvisamente una roba virale, anche se per me era solo una battuta sul cesso.
Questo per me è un problema perché quando scrivi avere più o meno il polso di quanto ciò che stai producendo sia buono, o almeno decente, è parte del bagaglio di abilità ed esperienza che accumuli nel tempo. Finisce quindi che spesso mi ritrovo a dire "mah, non mi pare un granché" e poi magari arrivano commenti di persone a cui il pezzo è piaciuto, condivisioni e così via.
Non so questa cosa quando è iniziata, non so se sia colpa di insicurezze personali, lo stress della vita da freelance, la sindrome dell'impostore, che ormai se non ce l'hai sei fuori moda, se sia il contraltare della paura di monstarsi troppo la testa e quindi diventare ciò che ho sempre disprezzato fatto sta che quel pensiero è là.
E c'è anche in questo momento eh? "Ma che diavolo sto scrivendo questa roba personale e ombelicale che non interessa a nessuno, con questo stile un po' zoppicante?".
Se c'è una cosa che ho imparato, e che spero possa aiutarvi, è che con certi pensieri ci devi convivere come con una cicatrice, un tic o quei dolori che ti prendono quando cambia il tempo. Non li devi curare, non li devi cacciare, perché tanto tornano, devi imparare a gestirli, come l'ansia di salire sul palco. Alla fine, finiscono per definirti più dei lati positivi, che poi quelli spesso passano o sono temporanei, come i fiori in un giardino, come diceva Leonard Nimoy.
Sì, sono consapevole del paradosso di vivere scrivendo e pubblicando mentre penso che tutto sommato quello che scrivo non sia un granché,. Ma mi pare ci sia un sacco di gente che fa cose bellissime e incredibili che pensa, tutto sommato, di non aver fatto niente di speciale.
Un modo per gestire la situazione è coltivare una buona rete di amicizie che fanno da canarino nella miniera. Ovvero, persone a cui, se c'è tempo, se hanno voglia, leggono quello che scrivi e ti danno un parere esterno. Ovviamente non sto parlando di editor professionali a livello editoriale, persone che, secondo me, vanno sempre ascoltate perché di certo non vogliono far uscire un libro brutto con il loro nome e hanno tutto l'interesse ad aiutarvi, anche quando vi bastonano.
Ovviamente fate un po' un bilanciamento tra chi non vuol deludervi e chi invece è estremamente rigido. I danni che possono fare le persone sempre positive e o un feedback troppo rigido sono equiparabili e non sempre è facile uscire sia dall'idea che vada tutto bene sia dalla sensazione di fare schifo esattamente come dicono.
Che poi ogni tanto prendere qualche brutto feedback fa anche bene eh? Tempo fa ho letto che Faulkner prese una sonora bocciatura per la bozza del suo terzo romanzo, Sartoris (originalmente titolato Bandiere nella Polvere). E per pesante intendo "Non dovresti proprio proporre questo manoscritto altrove perché ti danneggerebbe". Dopo lo shock iniziale propose alla casa editrice di mandare un altro manoscritto a breve e continuò a scrivere. E, mentre le cose che lui amava profondamente, come Sartoris, venivano scartate o, come L'Urlo e il Furore e Mentre Morivo, amate dalla critica e basta, fu con Santuario, romanzo cattivissimo che anticipa il pulp e scritto senza "cuore" ma solo sperando di far soldi che il successo arrivò realmente. La storia è sempre la stessa, ma quella storia forse non sarebbe la stessa senza quella prima bocciatura.
A rendere la situazione ancora più complessa ci si mette l’attuale sistema dei media in cui, non so se lo avete notato, nessuno ha veramente idea di come si raggiunga il successo, cosa sia di valore e cosa non lo sia e si va avanti più o meno per tentativi, botte di culo e fidandosi di ricerche di mercato che prontamente falliscono.
Detto questo, se qualcosa che ho scritto riceve complimenti non è che li schifo o li ignoro, anzi, vi invito come sempre a dire agli altri quando qualcosa vi piace perchè un complimento può fare veramente tanto (non quanto un bonifico, ma tanto) e aiutare nei momenti peggiori persone di cui ignorate i retroscena. Però a volte quei complimenti, per me, si azzerano quando inizio il pezzo successivo. Mi sento buono solo come l’ultimo piatto che ho servito, come gli chef.
Col tempo però ho sviluppato una specie di piccolo vademecum che ogni tanto mi ricordo di guardare quando non riesco a tenere a bada quella brutta sensazione.
1) Tutto sommato sono anni che scrivi e continuano a fartelo fare, qualcosa di buono deve essere venuto fuori.
2)Non dare mai per scontato che il tuo problema sia solo una questione personale, anche perché non è che sei così unico, tanta gente vive le tue medesime situazioni e magari leggerlo fa bene.
3) Non sei qua a scrivere ogni giorno un capolavoro, anzi, fare il giornalista di professione vuol dire soprattutto essere costanti, non eccezionali ogni tanto.
4) Nessuno è sempre eccezionale, neanche le persone veramente brave a scrivere.
5) Sospetta quando una cosa ti piace troppo o troppo poco.
6) Se proprio fa schifo si riscrive, non succede niente e il mondo continuerà a girare.
Link?
Fra poco esce una serie antologica su Primevideo, si chiama Secret Level, ho raccontato le mie impressioni.
Mentre sulla Rai ho parlato devi videogiochi come forma di resistenza, raccontando i casi di Stalker 2 e Dreams on a pillow.
30 anni di PlayStation riassunti per Italian Tech, mi sento veramente vecchio e va bene così.
Qua ho parlato di Sim Ant, un gioco bellissimo, non ammetto repliche.
E qua semplicemente trovate le notizie interessanti delle cose di cui mi occupo anche io.
Credo che il tuo vademecum abbia un valore he va anche oltre la professione dello scrittore o del giornalista e sicuramente lo adotterà nella mia esperienza da insegnante. Dobbiamo ricordarci che siamo tutti diversi, che abbiamo diritto alle nostre fragilità e insicurezze (che spesso, come dici tu, non sono solo nostre) e ricordarci tutte quelle volte che qualcuno ci ha detto che facciamo bene il nostro lavorio, senza pensare di essere arrivati, ma nemmeno pensando che sia sempre un caso fortuito.