No, non era meglio il libro
Con l'uscita de Gli Anelli del Potere parliamo un po' dello spinoso tema degli adattamenti? Ma sì dai, roviniamoci il fine settimana!
È stata una settimana abbastanza intensa per quanto riguarda il mondo della cultura pop, sia che vi piacciano le serie tv che seguiate il mondo dei videogiochi perché entrambi questi regni hanno offerto ampio spazio per tantissime discussioni, anche molto accese, quindi questa settimana potremmo fare una delle cose che mi ero prefissato di portare avanti in questa newsletter: sfruttare i fatti della settimana per capire come possiamo lavorare meglio. Oggi ci dedicheremo agli adattamenti e la prossima settimana parleremo di come si parla quando qualcosa è già uscito e viene reinterpretato, ovvero di remake, remaster eccetera.
Parlando di adattamenti vi sarà giunta all’orecchio l’arrivo su Prime Video de Gli Anelli del Potere, ovvero un adattamento di una piccola parte del grande affresco di Tolkien che parte dal Silmarillion e culmina ne Il Signore degli Anelli. L’adattamento di Amazon si basa infatti su una minima porzione di appunti incompiuti e storie laterali rispetto al corpo principale del racconto. Una scelta furba per avere spazio di manovra ma che è stata adottata anche per poter negoziare i diritti direttamente con gli eredi di Tolkien e non la società, recentemente acquisita da Embracer Group, che invece può fare praticamente tutto con i libri e i personaggi principali. Altra curiosità è che la serie è di otto episodi perché l’accordo di questa società copre solo le serie tv che superano questo numero, misteri delle licenze.
Superando le polemiche che hanno accompagnato ogni trailer e che stanno infiammando le varie bolle social, quello di cui mi interessa parlare è come la stampa e il giornalismo pop si avvicina agli adattamenti.
“Ma questo nel libro non c’era”
Uno dei metri di valutazione principale di questo genere di prodotti è l’aderenza al testo originale. Sia esso un libro, un videogioco, un gioco da tavolo o una attrazione di un parco giochi (ricordiamoci sempre che Pirati dei Caraibi nasce per questo motivo, oltre che da un adattamento fallito di Monkey Island).
Ecco sotto questo punto di vista è bene notare che l’aderenza al testo è un po’ come l’uso di alcune spezie, lo notiamo solo se ne conosciamo il sapore e se ci dà fastidio, altrimenti ci passiamo sopra serenamente, anche perché ci sono decine di adattamenti nel cinema di libri che conosce solo una parte del pubblico.
Il passo successivo, il passo su cui spesso faccio incazzare le persone, è che secondo me l’aderenza al testo è inutile, è un falso mito, è una roba a cui ci attacchiamo quando abbiamo deciso che non devono toccarci l’orticello. Non dovremmo neppure prenderla in considerazione.
Credo che le cose debbano funzionare a sé stanti, non perché ricalcano qualcosa che conosciamo e ci piace. Ecco perché sono contro l’idea dei libri o dei fumetti da leggere per “prepararsi” alla visione
Se vogliamo qualcosa di perfettamente aderente al testo originale, beh abbiamo il testo originale. Le opere che ricalcano perfettamente la loro fonte, penso al film di Sin City, non servono a niente, non aggiungono e non tolgono una virgola al panorama culturale.
Anche perché libri, videogiochi, film, fumetti, audiolibri e compagnia narrante raccontano le cose in modo differente. Nei libri puoi permetterti digressioni e storie che magari non rendono a schermo, un videogioco avrà delle sezioni tutorial che di certo non metterai in un film (e infatti nell’imminente adattamento seriale di The Last of Us hanno chiaramente detto che taglieranno certe parti dove al giocatore bisognava introdurre il sistema di combattimento), e spesso una serie tv ha bisogno di ganci narrativi chiari e personaggi su cui far ruotare le vicende in maniera palese, altrimenti il pubblico si perde.
La morte di ogni critica è la frase “ma era meglio il libro”.
Pensiamo anche al concetto di traduzione, o di doppiaggio, per anni, soprattutto nel nostro panorama culturale, questi due fenomeni hanno adattato e filtrato gli originali, spesso modificandone il significato per venire incontro allo spirito dell’epoca (che non è una tendenza moderna, checché ne dicano gli impauriti dal politicamente corretto).
Nel XVII secolo in Francia si parlava addirittura di traduzioni “belle e infedeli come certe donne” (sì, lo so, è una espressione sessista, ma i tempi erano quelli), perché erano fatte per risultare piacevoli al lettore e introdurlo ai classici piuttosto che per rispettare il testo originale. Questi adattamenti a volte andavano anche a smussare le parti più controverse o i sottotesti sessuali, sempre per lo stesso motivo. Il loro obiettivo non era essere testi di studio, ma opere di intrattenimento. Una scelta ovviamente opinabile e che oggi risulterebbe assurda, ma tradurre è sempre un po’ adattare e anche sempre un po’ tradire, anche perché l’alternativa sono i testi in stille Cannarsi.
Parlando di adattamenti, pensiamo ai cartoni Disney classici, che prendevano fiabe spesso cruente e toglievano gli aspetti più macabri per un pubblico di bambini. Lasciamo perdere poi tutto il Marvel Cinematic Universe, che va totalmente per la sua strada o The Boys, che forse è l’esempio più bello di come si adatta qualcosa al presente senza timori reverenziali (e poi tanto The Boys se lo sono letti in pochi rispetto agli spettatori della serie, quindi hai pochissimi cultori del sacro testo originale).
Se guardo Sandman poi c’è poco da dire, dell’adattamento di quello che veniva considerato un prodotto non adattabile si è occupato Gaiman stesso e lo ha fatto proseguendo lo spirito dell’opera: diversità, sensibilità, lirismo onirico. Con tutti i limiti che una serie tv ha rispetto a un fumetto, soprattutto in termini di cose si può vedere a schermo. Lo stesso motivo per cui molti costumi dei supereroi a fumetti vengono adattati.
Le logiche commerciali da sempre guidano queste scelte, scandalizzarci solo quando ci toccano personalmente è qualcosa che può fare il lettore, non noi che dovremmo raccontargli l’opera. Anche perché, ribadisco, l’aderenza ai testi è una rigidità che si accende e si spegne convenientemente in base a quanto l’originale ci interessa.
È così che ti ritrovi la gente che piange per il “politicamente corretto” di Pinhead interpretato da una attrice transessuale quando Barker, che dava al personaggio un ruolo molto più marginale nel racconto che ha fatto partire la saga, lo descrive come asessuato e con voce femminile.
Ma quindi ci facciamo andar bene tutto?
E quindi dove mettiamo la barra? Dove iniziamo a dire che questa cosa non ci sta bene perché non è come il testo originale?
Accettare il cambiamento non vuol dire che non si possano far notare particolari che stridono, ci sono sempre degli elementi da mantenere perché abbia senso l’utilizzo di un certo tipo di ambientazione. Un buon adattamento non è una opera “vagamente ispirata a” deve comunque conservarne uno spirito, per quanto adattato al mezzo di comunicazione.
Ad esempio, nel Signore degli Anelli mi aspetto che ci sia un discorso sulla corruzione del potere, che i nani siano fieri e cocciuti e che un elfo sappia combattere con stile e conservi una certa “eleganza” di fondo, non mi aspetto Elrond che balla su un tavolo e rutta.
Sono anche disposto a vedere anche Galadriel che si butta in mare di fronte a Valinor per farsela tutta a nuoto fino alla Terra di Mezzo, per quanto il gesto sia assurdo.
Perché? Perché “sperarci senza alcuna sicurezza” è un tema abbastanza ricorrente per Tolkien e in quel momento Galadriel non è disposta ad accettare di andarsene, tanto da compiere un gesto irrazionale e stupido. Sul punto “ma quella non è Galadriel perché è troppo impulsiva e non un’elfa saggia” invece se ne può discutere, ma il personaggio nella serie è pensato così e così funziona, all’interno della serie.
Se penso, invece, all’adattamento di Halo avrebbe avuto senso conservare l’idea di un protagonista che non si toglie mai il casco, perché parte della sua mitologia. Tuttavia, è qualcosa legato all’immedesimazione del giocatore e avrebbe cozzato con l’ansia dei produttori di film e serie tv di farci sempre vedere bene i volti di attori e attrici, altrimenti ci manca il legame empatico (e infatti anche le serie Marvel hanno progressivamente abbandonato maschere e identità perché gli attori coinvolti sono parte del successo).
Personalmente ho odiato questa scelta, perché toglie a un personaggio caratterizzato da poche semplici regole le uniche cose che lo rendono unico e lo separano da un eroe generico, anche perché il concetto di maschera nel teatro e nel cinema sono ben presenti, ma pare che la serie sia andata bene.
Riassumendo
Quindi, quali sono secondo me i punti cardine quando andiamo a recensire un adattamento?
1) L’opera deve funzionare in quanto tale, non in quanto derivazione di un altro racconto.
2) Considerando che da sempre tutti si adatta, tutto deriva e tutto rimescola, lasciamo la fedeltà all’originale fuori dalla porta.
3) Ricordiamoci comunque sempre che quando un’opera viene modificata per adattarsi ai tempi presenti è sempre una esigenza commerciale e solo in seconda battuta un gesto di sensibilità sociale.
4) Un prodotto che ricalca perfettamente l’originale potrà titillare la nostra voglia di vedere a schermo le parti di un libro, ma non serve a niente
5) Cerchiamo di non mettere nel giudizio i nostri bias personali perché nell’adattamento non c’è quella cosa che ci piace tanto.
6) Quando stronchiamo qualcosa siamo sicuro di non farlo proprio per quei bias? Magari nascondendoli dentro il giudizio di merito?
7) Un buon adattamento condivide con l’originale lo spirito, l’essenza, non per forza tutti i dettagli.
8) Cerchiamo di capire anche la storia del prodotto, se possibile, a volte certi tagli vengono eseguiti per motivi indipendenti dalla fedeltà di adattamento.
9) Mezzi espressivi diversi hanno bisogno di strumenti differenti per raccontarci una storia, metterli a paragone è spesso un esercizio vuoto.
10) Cercate di non farvi trascinare nelle polemiche, ne guadagnerete in salute.
Linkettini finali
Davide Costa scrive di “Our Flag Means Death”.
E Luca Annunziata de Gli Anelli del Potere.