Organizzazione contro Caos
Di come sia importante fare piani e sia altrettanto importante capire quando non seguirli più e viceversa.
Nel prossimo anno scolastico della Scuola Internazionale di Comics di Firenze molto probabilmente avrò alcune lezioni dedicate alla scrittura e alla creazione di contenuti per magazine e riviste. L’idea mi piace molto ma come tutte le sfide relative all’insegnamento (in questa scuola già insegno Storia dei Videogiochi e in passato ho tenuto alcune lezioni allo IED di Milano) mi genera sempre un certo grado di preoccupazione.
Non tanto perché io non sappia insegnare, come sa chiunque abbia fatto l’errore di chiedermi qualcosa sulle miniature ho una buona parlantina e sono un oratore coinvolgente se l’argomento mi tocca personalmente, ma perché nonostante questa newsletter io ho sempre regnato nel caos e nella produzione senza troppa programmazione.
Ovvio, se ho delle scadenze per un articolo e me le segno, così da consegnare in tempo, o in un tempo ragionevole se non ho una scadenza fissa, ma per il resto suono la mia musica a orecchio e questo mi fa pensare che sia complesso insegnare il mio metodo, visto che spesso non c’è.
Sono quello che ti spiega le ricette facendo le dosi a occhio. Come le nonne.
Conosco molte persone che si organizzano preparando severe scalette da rispettare, che programmano le ore della giornata dividendole tra lavoro, formazione personale, risposta alle mail, burocrazia varia e tempo per gli altri o per la casa. E questo metodo per loro funziona molto bene. Conosco anche persone che quando devono scrivere qualcosa creano scalette ben precise degli argomenti che vogliono toccare, dividendo l’articolo in momenti e sezioni, così da non dimenticarsi niente.
Mai fatto niente di tutto ciò.
Quando scrivo mi basta avere un buon inizio e poi seguire il flusso di quello che vogliono dire, eventualmente in seconda lettura correggo e sposto qualcosa. Allo stesso modo la mattina mi alzo e guardo quale potrebbe essere la cosa più impellente da fare. E questo non lo dico per dire che sono bravo, perché sono migliore degli altri e posso ridere del loro bisogno di organizzarmi. Semplicemente, funziono così, se dovessi organizzarmi prima il testo, come fanno alcuni ottimi autori e autrici, a me probabilmente verrebbe una merda, mi sentirei ingabbiato, così come loro avvertirebbero l’horror vacui di muoversi in un testo senza le loro boe di riferimento. Allo stesso modo se passassi molto tempo a organizzarmi mi ci vorrebbe così tanto a gestire la cosa che finirei per non scrivere, tanto non sono abituato.
L’organizzazione è qualcosa che riguarda molto di più chi scrive libri, che però sono un argomento che non mi compete, visto che quando ne ho scritto uno io la mia unica scaletta è stata decidere i titoli dei vari capitoli per poi procedere con una scrittura il più possibile spontanea in sessioni di un paio d’ore.
Probabilmente molti freelance in questo momento stanno scuotendo la testa e vi capisco tutti e tutte perfettamente, perché credo di essere una sorta di nemico naturale dell’ordine e dell’organizzazione. Se vuoi farmi un regalo inutile puoi scegliere tra un paio di sci e un’agenda e forse il paio di sci una volta potrei provare a metterli per il puro gusto di capire se riesco almeno ad andare a spazzaneve.
È giusto? No, penso di no, perché credo che un’organizzazione più rigida del mio tempo mi aiuterebbe molto, soprattutto nei momenti in cui le cose da fare sembrano così tante da portarmi in uno stato di agitazione in cui, alla fine, non combino niente. Quindi la mia “non organizzazione” ha si dei lati positivi, perchè funziona, ma anche alcuni rovesci della medaglia.
Tutti in questo caso mi consiglierebbero di spezzare i muri insormontabili degli impegni in mattoni e muretti più piccoli, cosa che ogni tanto riesco a fare spontaneamente, ma un’organizzazione più ferrea forse mi aiuterebbe.
D’altronde, come dice Tyson “Tutti hanno un piano finché non prendono un pugno in faccia”.
Una giornata molto sbagliata
E così giovedì sera prima di andare a letto ho deciso di organizzare il mio venerdì in precise fasce orarie: le prime ore della mattina sarebbero state dedicate alla scrittura di un pezzo che devo consegnare e alla formazione personale, ovvero la lettura di un libro che parla proprio di come aumentare la propria concentrazione. Infine, avrei dedicato un’oretta alla preparazione della Rassegna Stanca per andare live alle 12. Dopo pranzo, ancora scrittura per due ore, poi magari un po’ di relax, un altro po’ di lettura, da decidere se di un saggio o il manga di Chainsaw Man, oppure un po’ di videogiochi.
Mi sembrava un piano perfetto e in effetti, sulla carta, lo era.
Poi la mattina mi sono alzato, mi sono ricordato che per lo streaming volevo provare a giocare a qualcosa, quindi ho testato la scheda di acquisizione, che non ha funzionato, facendomi perdere un’ora. Questo mi ha fatto saltare la prima ora di scrittura e mi ha demoralizzato perché non stavo seguendo il piano, quindi il mio cervello ha deciso di prendersi una pausa cazzeggiando su internet e leggere le notizie della giornata, altra mezz’ora persa, a quel punto era troppo tardi per trovare la giusta concentrazione necessaria per scrivere o studiare il testo che mi ero prefissato per la mattina, fanculo.
Sono passato direttamente alla preparazione della diretta, ma c’erano poche notizie, quindi la frustrazione di non aver rispettato gli impegni presi si è sommata a quella di avere pochi contenuti per un’ora di diretta. A mezzogiorno non avevo assolutamente voglia di far partire la Rassegna Stanca ma ho dato un morso al terribile atteggiamento che stava montando e almeno quella l’ho fatta.
Dopo pranzo il giramento di scatole si è trasformato in un vero e proprio attacco d’ansia, che ho cercato di mitigare prima buttandomi sui letto a scrollare Vinted compulsivamente in cerca di miniature scontate e poi giocando, ma mi sono fatto prendere la mano e alle cinque non avevo ancora scritto una parola.
Per fortuna mi sono ricordato le parole che mi aveva detto un’amica e collega, Fabrizia Malgieri, all’interno del gruppo redazionale di N3rdcore. “Porta a casa almeno una roba che devi fare, basterà”, quindi ho trovato un briciolo di amor proprio e ho chiuso il pezzo in due faticose ore. Quindi, sull’onda dell’entusiasmo, sono riuscito anche a finire questa puntata.
Ah nel frattempo un altro cliente mi ha chiesto di mettere mano a un pezzo urgentemente, così da pubblicarlo il prima possibile. Cosa che non ho fatto ma che mi ha ovviamente distratto perché ho cercato almeno di capire come fare ciò che mi è stato chiesto e quando farlo.
Perché vi racconto questo aneddoto deprimente? Beh intanto perchè raccontarlo lo esorcizza, mi ricorda che in fondo sono piccole cose per cui dovrei preoccuparmi di meno, che bastava evitare quel piccolo errore iniziale per non dare il via a una concatenazione di eventi stressanti che sul momento mi sembravano terribili e oggi molto meno.
Ma anche perché le giornate così capitano e capitano soprattutto quando siete in una fase sperimentale, in cui state magari trovando o facendo evolvere il vostro metodo. E di fasi sperimentali ne avrete parecchie.
Forse vi ricorderete uno dei pilastri su cui nasce questa newsletter: recuperare la passione, ma anche il rigore della scrittura, due cose che dopo il libro e due anni di pandemia e stress vari sto facendo molta fatica a recuperare. Sto vivendo una fase sperimentale io stesso. E nel parlavi di ciò che potrebbe servirvi faccio il punto su ciò che serve a me, ricordandomi magari che in fondo non sono così male.
Be water, my friend
Di sicuro mi sono reso conto, per adesso, di una cosa: il mio metodo, ovvero l’assenza di metodo, uno stile piratesco di scrivere ciò che in quel momento mi viene meglio senza curarmi troppo di cosa viene domani, ha funzionato bene finora, ma probabilmente adesso è la mia più grande zavorra, perché mi impedisce di vedere il futuro con chiarezza, essendo troppo occupato a gestire il qui e ora. Se non programmo la rotta, se vivo solo delle isolette che che posso scorgere navigando, probabilmente non arriverò mai all’isola del tesoro (sempre che ci sia e che non sia semplicemente una tappa nel percorso, cosa probabile).
Allo stesso tempo, l’organizzazione per ora non mi appartiene, anzi, mi frustra e spesso abbandonarla per cercare di occuparmi del qui e ora è importante, perché voglio essere ricordato per come scrivo, non per la mia capacità di catalogare le cose che devo fare o la celerità con cui rispondo alle email. Però so che ne avrò bisogno e so che tutto sommato “questo dolore mi sarà utile” perché è evidente che il mio caos, da solo, non basta per generare una stella danzante conosciuta come “fonte di reddito continuativo che non ti faccia venire l’ansia ogni semestre”.
Quindi sì, organizzazione, ma con la consapevolezza ogni tanto di doverla abbandonare. Be water, my friend, direbbe Bruce Lee.
Quello che posso dirvi quindi oggi è che forse riuscirete a fare al meglio ciò che fate quando troverete il vostro punto di equilibrio tra caos e organizzazione, perché entrambi i mondi hanno tanto da offrire. Dal caso di un articolo improvvisato può scaturire una gratificante creatività, così come l’organizzazione può darvi la sicurezza di lavorare al meglio. Però quel punto potete conoscerlo solo voi, l’importante è che funzioni, ma è importante anche provare a guardarsi dall’esterno per capire se sta funzionando o semplicemente ormai siete come quelli che si sono abituati a camminare gobbi e non pensano di andare dal fisioterapista, anche se i massaggi faranno male.
Ripensando quindi alla mia ansia iniziale, forse non posso insegnare un mio metodo, non avendone uno così ben schematizzato da poterlo tramandare, ma posso senza dubbio raccontarvi come gestire i vostri stati d’animo mentre insieme cerchiamo di campare scrivendo.
Anzi, ditemi un po’, cosa vi piacerebbe sentire nelle prossime puntate. Siete più di cento, avrete qualcosa da dire anche voi!
Qualche link in chiusura
Un sacco di articoli vi spiegano quali fumetti dovreste leggere per “capire” She Hulk, la nuova serie Disney+ (e magari un giorno dirò cose contro questi articoli) ma nessuno pare spiegare esattamente il personaggio. Ci pensa Polygon.
L’happywashing del Jova Beach Party
Un interessante lista di vantaggi del “Solutions Journalism” ovvero un giornalismo costruttivo e non solo “di lamentela” che mi ha passato Massimiliano Di Marco, con l’occasione vi invito a seguire la sua newsletter che parla di videogiochi con taglio molto giornalistico.
A proposito di quel "avrete qualcosa da dire anche voi!", ti butto lì un argomento che forse è un non argomento e non te ne fai d'una sega: cosa consiglieresti di fare a chi non scrive e non vuole fare per lavoro, se volesse scrivere cose? Di sicuro ne abbiamo già parlato e mi hai già dato consigli, ma magari (sì, lo so, "ma magari" non si dice) potrebbe essere un argomento interessante per un episodio di Heavy Meta?