Parlare in pubblico col minor numero possibile di attacchi di panico
Come ho smesso di preoccuparmi delle vampate e ho iniziato ad amare il palco
Questo venerdì sono stato all’Italian Tech Week di Torino dove ho moderato una discussione totalmente in inglese sul potenziale educativo dei videogiochi, la settimana precedente ero a Milano per il Festival delle Serie Tv dove invece ho gestito una discussione sulle somiglianze tra videogiochi open world e i mondi sconfinati di certe serie tv.
Non lo scrivo per flexare, come dicono quelli con almeno dieci anni meno di me, ma per fissarlo nella memoria e ricordami che posso farlo. Essendo io un timido patologico mi fa strano pensare di essere riuscito a trovarmi a mio agio su di un palco non una, non due, ma molte volte.
Avrete intuito che vi racconterò il mio metodo per gestire questo tipo di eventi, perché se la vostra carriera andrà bene come spero stare sul palco sarà una delle opportunità che dovrete cercare di cogliere più spesso.
I motivi sono due: visibilità, quella vera, quella che vi espone seriamente a potenziali committenti, altrimenti la gente non si vanterebbe per anni anche se fa un TedX a Borgo Sanculamo, e soldi. Una persona in grado di moderare o parlare sul palco costa cara e a organizzare gli eventi sono spesso aziende che hanno disponibilità economica. Magari non sarà il vostro impiego principale, ma potrebbe essere un buon modo per arrotondare.
E poi le foto sul palco sono sempre fighe.
Abbraccia il panico
Una di quelle cose che ti dicono i motivatori di professione e la gente che spaccia corsi per stare meglio è che dovresti provare costantemente cose che ti mettono paura o ti mettono in difficoltà. Di solito le considero banalità per gente che segue gli account motivazionali su Instagram, ma stavolta hanno ragione. Almeno con me.
Il cambiamento mi piace, ma sono anche una persona pigra e tendente all’autosabotaggio, quindi cacciarmi in situazioni stressanti è uno dei miei metodi per crescere e allo stesso tempo alimentare il mio costante bisogno di novità.
Non sto dicendo di fare lavori orribili, frequentare ambienti che vi fanno stare male o fare cose totalmente lontante dalla vostra esperienza, ma “lanciarsi e costruirsi le ali cadendo” per citare Carver, oppure, come si dice dalle mie parti “o bere o affogare”.
Ecco perché ho iniziato a fare dirette, perché penso spesso a come fare podcast o li faccio, perché mi capita di dire di si a progetti dove non sono sempre a mio agio, ma ho gli strumenti per farcela, tipo l’insegnamento.
Ci sto male per settimane, diventano un pensiero ossessivo, me ne pento almeno dieci volte ma poi ne esco sempre arricchito o, nella peggiore delle ipotesi, scoprendo che quella cosa non fa per me.
Ecco perché nel 2017 ho accettato di fare un intervento a un festival di tecnologia dove dovevo parlare del mio lavoro, delle mie passioni e del mio percorso.
Un incubo. Parlare di me, valorizzare ciò che faccio e farlo davanti a sconosciuti con la probabilità non remota di parlare di fronte a un sacco di sedie vuote?
Un cazzo di incubo.
Eppure ho preparato la mia presentazione, ho passato la sera prima a ripetermela un po’ di fronte alla mia compagna, minacciando ogni volta che mi impappinavo che avrei finto un malore per non presentarmi e il giorno dopo sono salito sul palco di fronte a una ventina di persone e ho detto quello che dovevo dire.
E il mondo a continuato a girare, non sono morto, non hanno riso di me, da qual momento ho cominciato a fare sempre più interventi e moderazioni. E ho imparato qualcosa.
Ecco cosa
Conosci il tuo corpo. Stare sul palco è una cosa che riguarda la nostra fisicità, come si posiziona nello spazio e le reazioni che può avere ai momenti di imbarazzo: impara a conoscerlo. Io ad esempio ormai ho capito che nel primo minuto, quello in cui rompo il silenzio, mi arriva una fortissima vampata di calore al petto che mescola panico e adrenalina. Le prime volte questo mi imbarazzava e mi portava a perdere concentrazione, a sudare e a prolungare questo stato. Adesso so che succede, me lo aspetto e gestisco la cosa con più serenità e sparisce dopo il primo minuto.
Stai sicuramente parlando troppo veloce. A meno di non essere dotato di una capacità retorica innata o acquisita con lo studio è probabile che tu debba parlare un po’ più piano perché vuoi per l’emozione, vuoi per il voler dire tutto può capitare di iniziare con un torrente di parole. Fateci caso, fate un respiro, una battuta e continuate, non siete Eminem in Rap God o Busta Rhymes. Gesticolare invece ci sta, ci fa sembrare più apassionati e partecipi.
Giocate a carte scoperte. Inutile fare i rigidi professionisti se siete tesi come una corda di violino. Il risultato sarà una conferenza senza emozioni se non un formalismo controllato. Ditelo che siete emozionati, il pubblico lo accetterà e probabilmente dopo tutto andrà meglio.
Preparati. Scegliere questo lavoro vuol dire fare i compiti a casa tutta la vita e gli eventi dal vivo sono le interrogazioni. E alle interrogazioni è meglio arrivare preparati. Solo che questo non vuol dire automaticamente studiare tutto a memoria, i nostri cervelli non lavorano tutti allo stesso modo. C’è chi ha bisogno di una scaletta estremamente dettagliata e chi no. Io ad esempio mi preparo alcune “boe” attorno a cui navigare, argomenti principali che voglio toccare e che guidano il discorso. Se dovessi imparare a memoria uno script preciso a memoria, come si fa nei TedX, probabilmente andrei nel panico, ma posso parlare un’ora di quasi tutto se ho almeno due o tre punti fermi. Se poi dovete moderare un panel è ancora più facile: preparatevi degli argomenti per valorizzare gli altri e limitatevi ad alzargli le palle che loro dovranno schiacciare.
Sappi come iniziare. Siete nel panico? Capita, lo abbiamo capito. Ma un buon modo per abbassare subito la tensione è studiarsi almeno l’inizio del discorso, una presentazione, una battuta iniziale. Ecco, il trucchetto della battuta io lo suo spesso, non mi importa se la gente ride ma almeno faccio capire subito che tipo di persona sono e la possibilità di scherzare ogni tanto mi permette di portare le cose su un piano che conosco.
Guardate il pubblico. Non li potete ignorare, rassegnatevi, sono là, sono in silenzio e vi stanno guardando. Ovviamente non potete fissarli tutti ma può essere utile concentrarsi su un campione del pubblico. Ad esempio, mi è capitato di parlare di fronte a una platea variegata che conteneva persone di molte età. Per capire come stavo andando fissavo costantemente un paio di anziani, un uomo di mezza età, un ragazzo e una ragazza. L’obiettivo era farli annuire almeno una volta e usarli come “cartine tornasole” sull’attenzione. Concentratevi su chi sembra ascoltarvi, vi darà sicurezza. No, immaginarli nudi non aiuta a calmarsi, distrae e basta.
La pratica rende… migliori. No, perfetti non lo saremo mai, ma continuando a lavorare sulle vostre capacità di esposizione aiuterete il vostro cervello a continuare a fare il suo lavoro mentre parlate, suggerendovi spunti, battute, deviazioni e domande interessanti. Ci sono un sacco di modi per aiutarlo: fate dei piccoli video dove esponete un argomento cercando di non annoiarvi, una corso di improvvisazione o teatro. Io faccio live tutti i giorni anche per quello e devo dire che mi aiutato a far diventare naturale qualcosa che prima non lo era.
Accettatevi. Ho capito che certe sensazioni non mi abbandoneranno mai finché faccio questo lavoro. I pensieri ossessivi che mi prendono giorni prima che l’evento inizi, l’ansia che sale via via che sia avvicina il momento in cui salgo il primo gradino per salire su un palco. Ma anche quel favoloso senso di soddisfazione quando scendi, è tutto finito e le persone si complimentano, e che si trasforma in una droga di cui ne vorresti di più subito dopo. (Lady Gaga direbbe “I live for the applause”).
Ecco, ho capito che certa roba non se ne andrà mai, che sono fatto così e che l’ansia e le vampate di calore saranno sempre là. Però posso imparare a controllarla, posso avere la consapevolezza che sia uno stato passeggero e che ho affrontato di peggio, molto peggio.
Ho accettato che una parte di me è programmata così, forse quella parte ha altri lati positivi e dopo un po’ è disposta a lasciare il controllo all’altro me, quello che sa parlare di tutto, che fa la domanda giusta, che sa tenere il ritmo di un dibattito suonando quella musica a orecchio, in modo quasi istintivo.
Quella parte di me che sul palco adora starci, mettendo in crisi i miei lati timidi, che però sono anche quelli abbastanza empatici da saper entrare in sintonia con pubblico e intervistati.
Linkini!
Sara Mazzoni e il suo glossario dell’horror sono un buon esempio di pezzo che non scade mai
Il panel di cui parlo all’inizio.
Come è usare un tamagotchi nel 2022 che per giunta è dei BTS.