Quando vuoi fare il giornalista e finisci a fare la guida
Per molti siti internet le soluzioni e le guide sono una strategia affidabile per ottenere visite, il resto arriva dopo.
Da un po’ di tempo accanto allo storytelling si è affiancato lo storyselling, che ne è la sua mutazione ancora più pericolosa, o forse semplicemente il cadere del velo: non ci interessano le storie, ci interessano i soldi.
Storyselling vuol dire letteralmente venderti una narrazione, di me stesso, del mio lavoro, di qualcosa che può darmi un vantaggio economico. Una narrazione in cui posso apparire come vittima, carnefice, oggetto misterioso. E lo stesso posso fare con soggetti terzi.
L’importante è che ci sia sempre qualcosa da vendere, qualcosa su cui fantasticare e fare congetture, a cui appassionarsi come una telenovela, in un arco narrativo che non si chiude mai ma che rimbalza in avanti non appena tocca terra, spinto da nuove informazioni e dalla capacità di cavalcare il tema.
Pensiamo a Kate Middleton: si opera, sparisce, nascono i complotti, pubblica la foto artefatta e si scusa, aumentano i complotti, pubblica un video, continuano le discussioni, le analisi, i dibattiti online e offline. Adesso, schiantata dalle pressioni, ha dichiarato di avere un tumore, poraccia, e magari se lo sarebbe pure tenuto per sé, ma questo non fermerà le analisi, elucubrazioni e le discussioni di siti e social.
L’obiettivo è fare ciò che internet ha sempre fatto bene: creare community attorno a qualcosa, qualsiasi cosa, che poi alimentano il dibattito e forniscono introiti a chi quelle storie le vende, ci lucra, le sfrutta.
Funziona col gossip più bieco, funziona con le voci di corridoio sui film o sui videogiochi, funziona anche a livelli, presunti, più alti, tipo le sparate di Elon Musk.
L’importante è non chiudere mai la storia, anzi, è il collasso della narrazione, della struttura classica con inizio, sviluppo e fine. Perché le storie si concludono e le mettiamo da parte ma noi non vogliamo metterle da parte, al massimo dimenticarle. Ci piace stare in un flusso costante in cui siamo noi a decidere se passare ad altro. Il doomscrolling ce l’abbiamo nella testa e la dopamina è il nostro unico credo. La verità? Un accessorio.
The gift that keeps on giving, come dicono gli inglesi, anzi The gift that keeps on selling.
Dal giornalismo al servizio clienti
La settimana scorsa si parlava di burnout e situazioni che ti cambiano sotto gli occhi senza che tu possa fare niente se non andartene, così che l’azienda non possa essere accusata di mandare a casa la gente.
Immaginate di lavorare in un sito di critica culinaria che improvvisamente si mette fare solo ricette, anzi, a tradurre ricette prese in giro. Immaginate che il Manifesto si metta a creare guide in stile Aranzulla per far quadrare i conti.
Immaginate aver dedicato anni di lavoro e formazione per ritrovarvi di fronte a queste decisioni editoriali, e magari qualche grande testa in rete fa spallucce e dice che è il mercato, che va così, che c’è la crisi, che in fondo non gli piaceva neanche tanto quindi meglio così.
È un po’ quello che è successo a Kotaku, da quel che leggo su Aftermath, sito che sta rapidamente entrandomi nel cuore per i suoi report sul giornalismo videoludico di settore.
Pare infatti che Kotaku potrebbe presto cambiare drasticamente la sua linea editoriale passando da sito di recensioni, notizie e editoriali a macchina per sfornare trucchi e soluzioni per i videogiochi. E i segni di questo cambiamento sarebbero già ben visibili.
In questi anni già un po’ di gente se n’è andata da Kotaku, impoverendo ovviamente l’offerta editoriale, ma parliamo comunque di uno dei siti più letti e che, piaccia o meno, negli anni ha coperto moltissimi scandali e temi importanti come le molestie, la sindacalizzazione del settore e così via.
Ancora non c’è niente di ufficiale. La notizia ci arriva da Jen Glennon, che ha rassegnato le dimissioni dalla carica di responsabile editoriale perché non si riteneva più in linea con le scelte dell’editore.
Credo fermamente che la decisione di “invertire” la strategia editoriale di Kotaku per declassare le notizie a favore delle guide sia fondamentalmente fuorviante data l’attuale infrastruttura del sito”, ha scritto Glennon. “[Questa decisione è] direttamente contraddetta da mesi di dati sul traffico e mostra un sorprendente disprezzo per la sostentamento dei restanti scrittori ed giornalisti che lavorano qui”.
Nell’articolo leggiamo anche che alla redazione di Kotaku è stato chiesto di creare 50 guide al mese (immagino si stia parlando di 50 articoli in cui si spiega ai giocatori su come fare qualcosa) mentre la homepage, che prima mostrava editoriali, articoli e notizie adesso dedica molto spazio a trucchi e soluzioni.
Onestamente dubito che ci sarà mai una comunicazione ufficiale in merito, di solito non accade mai, le cose, semplicemente, cambiano.
Quindi magari tu sei entrato in un sito perché ti piaceva parlare di videogiochi con uno stile diverso dal solito articolificio ed eccoti a scrivere una bella guida. Non ti piace? Quella è la porta.
Non è la prima volta che ci sono forti attriti fra un sito della galassia G/O Media, ex Gawker, e il suo staff, dovuti a licenziamenti, cessioni, cambi di rotta, ingerenze nella linea editoriale per creare contenuti più graditi agli sponsor e in generale differenze di vedute tra due cose che sembrano sempre più nemiche: fare un sito con contenuti decenti e far quadrare i conti.
In questo caso specifico l’ex direttore dice che i dati sul traffico non giustificano il cambio di rotta ma in generale è bene notare che consigli, guide, tutorial e guide all’acquisto costituiscono spesso l’architrave di molti siti tech e videoludici, per non parlare del sostentamento economico.
Quando ero agli inizi del mio percorso e lavoravo per Eurogamer uno dei miei compiti principali era proprio la creazione di guide traducendo testi inglesi ed eventualmente mettendoci del mio e mi veniva spesso detto che erano fondamentali per garantire un flusso costante di visite. Non sono una soluzione magica per tirare su i numeri, magari non bastano da sole, ma aiutano nel lungo termine.
Le guide sono contenuti che durano nel tempo, anche ad anni di distanza, a differenza di recensioni, news ed editoriali, hanno un lungo tempo di permanenza sulla pagina, e questo piace alla SEO, e possono essere prodotte mettendo un tizio sottopagato a tradurre contenuti esteri senza farsi troppi scrupoli. Anzi, oggi puoi mettere un tizio a rivedere una traduzione fatta con Chat GPT.
E poi ci sono le guide all’acquisto di hardware, monitor, webcam, tastiere, giochi, ovviamente con un bel referral per arrotondare.
Ah vi posso assicurare che scrivere guide fa schifo, è una roba noiosa, lunga, anti-creativa ma in cui devi comunque essere preciso altrimenti è un casino. Sono oggetti editoriali che non ti lasciano niente, non ti arricchiscono, non fanno curriculum, forse ti lasciano giusto un po’ di metodo organizzativo.
Che per carità, senza dubbio è una scelta che può avere senso per tenere la barca a galla ma alla fine la deriva è sempre la solita: ti porta a pensare in un contesto di crescita infinita in cui se non cresci ogni anno di quanto ti aspetti vai nel panico, tagli o adotti strategie radicali.
E si finisce per lavorare sempre più pensando i contenuti solo in modo che piacciano a Google e agli inserzionisti e a eventuali finanziatori.
Zero contenuti problematici, zero rischi lato PR, solo guadagno, una manna da cielo. Che se ci pensate è anche come lavorano molti content creator: opinioni sicure, certificate e ammesse dai brand.
Un po’ diversa è la situazione e l’opinione di chi magari vorrebbe parlare di videogiochi, fare critica, discuterne come oggetti culturali, con tutti i pro e i contro, senza essere sempre proni e compiacenti con le aziende, anche magari in maniera discutibile, come si fa su Kotaku, ma con un piglio editoriale.
Ecco quello, di solito, piace un po’ meno. E infatti, sia in Italia che all’estero, i siti assomigliano sempre di più a delle succursali di Amazon inframezzate con news che in verità sono chiavi di ricerca SEO, con picchi imbarazzanti tipo “Come si spegne PlayStation 5?” o “Quanti sono i film di Star Wars?”.
Si passa quindi da un contenuto giornalistico/d’opinione a un contenuto di servizio, pensato sopratutto per le macchina. Non siamo più autori e autrici, siamo camerieri di particelle d’informazione. Servizi clienti che devono spiegare al tizio un finale semplicissimo perché la SEO dice che è la soluzione più efficiente per tenere il tuo posto di lavoro.
Se preferite un’immagine più romantica, siamo le guide locali del paese che devono ripetere sempre la stessa cosa a milioni di turisti diversi e che magari invece vorrebbero raccontarti un po’ di più di cose anche meno note.
Poi magari un giorno affronteremo anche il tema del successo di video e articoli che ti spiegano i finali o altre cose semplicissime per un pubblico che non ha tempo di seguire tutto ma vuole poter sapere come è andata per non uscire dal dibattito.
Però poi vi voglio vedere a tenere in piedi una redazione felice e motivata fatta solo di gente che deve scriverti i 30 posti dove trovare l’oggetto del gioco per completare una missione o che deve spiegare come si aggiorna una console. Oppure, un grande classico, la ricerca scientifica dai toni vaghi con cui si riempieno le sezioni “scienze” di molte testate.
Forse un bel giorno, quando le IA ci avranno sostiuito del tutto, torneremo veramente a scrivere.
E se pensate che tutto sommato Kotaku non vi piaceva o non vi interessa perché parlate d’altro ricordatevi che oggi tocca a lui, domani potrebbe toccare a voi, certi meccanismi dell’editoria sono trasversali e indipendenti dall’argomento.
Link e altre cose
Cosa abbiamo raccontato su N3rdcore in quesa settimana?
CapitanTroll ha parlato di WWE2K24, insomma, il wrestling.
Io ho rispolverato un vecchio articolo su Birdo, personaggio del pantheon di Super Mario che è diventato simbolo delle persone trans.
Alessandro invece parla di Rise of the Ronin, quindi samurai e PlayStation.
Sulla Rai invece mi sono dedicato a Dragon’s Dogma 2, gioco che sto molto apprezzando, nonostante stia ricevendo un sacco di critiche per l’utilizzo di microtransazioni. Che ha anche senso, ma il discorso è più complesso di una polemiche social, come sempre.
Su Valigia Blu invece ho scritto dei 50 anni di Dungeons & Dragons.
Parla di Kaiju Girl Caramelise, che anche a me è piaciuto molto e ci mette delle interessanti chiavi di lettura.invece ci parla della mezza stagione delle console.
dice sempre cose affascinanti che non pensavo di voler conoscere, tipo il perché le pubblicità di auto son quasi tutte uguali.
Questa notizia è falsa, o almeno, decisamente da ridimensionare, ma ne parliamo magari settimana prossima, anche del modo in cui recepiamo le notizie scientifiche.
Cosa sto leggendo? Questo.
Bello il pezzo su Birdo! Buon weekend