Quel pasticciaccio brutto di Rotten Tomatoes
Gli aggregatori di voti sono comodi e hanno molto successo, ma come tutte le cose comode hanno un prezzo nascosto. In questo caso, la trasparenza e l'impoverimento del dibattito.
Qualche giorno fa leggevo un articolo de Il Post che spiegava come mai alcune persone amano così tanto comprare la cancelleria. In poche parole, ha a che fare con la nostra voglia di ordine, di organizzazione, di ripartenza e, aggiungo, forse è anche qualcosa che ci riporta ai momenti in cui calibravamo la nostra immagine a scuola scegliendo zaini, diari e quaderni con la cura di un alchimista in cerca della pietra filosofale dell’approvazione sociale.
In poche parole, è un'altra vittoria del simbolismo e degli oggetti che portano con sé un valore maggiore di ciò che effettivamente sono. Devo ammettere che poche cose mi hanno dato soddisfazione in questo periodo come comprare degli astucci per organizzare tutto il materiale per le produzioni video, uno zaino, anzi due, e altre borse per tutti i giorni, una bella penna e dei blocchi per appunti.
Niente male per uno che di appunti scritti ne prende pochissimi eh? Ma ammetto che su questa cosa ci sto lavorando, sia nello sforzarmi di prenderli, perché mi rendo conto che costringono il cervello a una concentrazione e una economia dell’ascolto differente, sia nell’apprendere le tecniche con cui vengono presi e organizzati. A tal proposito, aspettatevi nelle prossime uscite qualche spunto per voi.
Piccola ennesima nota sulla completa deriva del giornalismo di settore: molti siti hanno riportato l’indiscrezione secondo cui GTA VI, nuovo attesissimo capitolo della saga Rockstar, costerà 150 euro. Bastano veramente trenta secondi di pensiero critico per capire che è una tonante cazzata, ma tutti i siti hanno comunque riportato la notizia. Mica te li vuoi perdere ‘sti click no?
Vabbe’ cominciamo.
C’è del marcio nei pomodori
Se vi piace il cinema e bazzicate un po’ i gruppi o gli spazi dove se ne discute è probabile che sappiate già cosa è Rotten Tomatoes, per tutti gli altri: parliamo di un aggregatore di voti e recensioni di film e serie tv nato 25 anni quasi per scherzo e che nel tempo è diventato importantissimo nell’economia di chi lavora nell’industria cinematografica a ogni livello e, ovviamente, per gli spettatori.
Per i produttori e i PR è fondamentale che i film rientrino tra quelli “certified fresh”, ovvero che hanno ricevuto la maggior parte di votazioni favorevoli e parte del pubblico consulta il sito prima di scegliere quale biglietto comprare.
Il problema di Rotten Tomatoes, e di molti aggregatori, è che impoverisce il dibattito, depotenzia la critica, azzera le sfumature e, soprattutto, può essere manipolato.
Prendiamo un film qualunque, al momento dell’uscita e nelle settimane successive viene recensito da un numero variabile di persone che assegnano un voto o esprimono un giudizio. Questi voti, se fai parte dei siti o delle persone che fanno parte del campione di riferimento, vengono inseriti tutti nella stessa pagina e comparati seguendo una media, vedremo, molto discutibile. Ma i problemi iniziano già alla base.
Rotten Tomatoes, infatti,
non fa alcuna differenza all’interno del suo campione. Quindi il voto di una persona esperta e formata vale quanto quello di un content creator che magari ha raggiunto un vasto pubblico grazie alla sua passione ma non ha gli stessi strumenti di analisi.
Inoltre, Rotten Tomatoes è un sistema binario, o un film è Fresh o è Rotten. Per quanto venga riportata la percentuale di “freschezza”, se le tue recensioni sono sopra il sei vieni percepito molto meglio rispetto a un film con mezzo punto in meno che improvvisamente diventa “marcio”. Questo vuol dire che un film può incasellare tutti sei ed essere comunque 100% Fresh.
Spesso per ottenere una classificazione iniziale bastano poche recensioni, anche quattro o cinque, che ovviamente non sono assolutamente un campione rappresentativo della media di giudizi di un film.
Questo sistema è facilmente sfruttabile: si fa un’anteprima cercando di selezionare voci “amiche” a ridosso dell’uscita di un film così da avere una settimana di lancio con voti positivi e poco importa se quando escono altre recensioni o col passaparola la situazione si assesta.
Succede in tutti i campi e credo sia anche inevitabile che il marketing sfrutti la situazione.
Leggo su Vulture, da cui ho preso la maggior parte delle informazioni, che ci sono addirittura degli strumenti per cercare di elaborare in anteprima il punteggio su Rotten Tomatoes, così da inserirlo nei piani marketing o aggiustare in corsa il film.
Ah, un ultimo dettaglio: Rotten Tomatoes è di Fandango, Warner Brothers ha alcune quote di Fandango.
Calma piatta
Ora, penso sia abbastanza semplice capire come mai questo sistema abbia impoverito il dibattito. In un’epoca in cui generalmente le persone hanno poco tempo, leggono di fretta e si appoggiano a piattaforme pensate per catalizzare e monetizzare solo le emozioni più estremi questo tipo di informazioni sono senza dubbio le più facili da fruire e discutere.
E questo inevitabilemente ammazza tutte le discussioni su film, ma anche videogiochi, serie tv che non rientrano immediatamente nei due estremi merda/capolavoro. Non si riescono più ad analizzare e spesso neanche a vedere opere che magari non ci piacciono ma fanno anche alcune cose interessanti.
Io stesso controllo gli aggregatori per farmi un’idea di massima delle impressioni attorno a un gioco (ma più spesso per avere un posto solo dove leggere tutte le recensioni), il problema è che questo sistema ci impedisce di maturare un senso critico più sfumato.
In un certo senso il problema è lo stesso dell’economia del click. Così come ogni visita sul sito vale allo stesso modo, non importa se ottenuta con un contenuto ragionato, il clickbait, sfruttando rabbia o indignazione o altro, allora tutte le recensioni valgono allo stesso modo e si non dà importanza alla competenza, a bias personali e alle voci che magari sono più in grado di aiutarci nel sviluppare un senso critico.
E non è finita qua. Leggo su IGN che in queste ore è emerso un piccolo scandalo legato al film “Ophelia” secondo cui un’agenzia PR avrebbe lavorato per aggiustare le votazioni negative del film. E lo avrebbe fatto sia pagando recensioni di spazi meno letti, ma comunque considerati da Rotten Tomatoes per fare media, sia chiedendo ad alcuni recensori di postare eventuali pareri negativi su siti non controllati da quest’ultimo.
Questo un caso particolarmente evidente è di una gravità devastante perché va a minare tutto un sistema di analisi che già di per sé non godeva di buona salute e che negli anni è stato ampiamente messo in crisi da modelli economici disastrosi, capitalizzazione delle emozioni, fandom isterici e così via.
Ma anche se, per fortuna, non mi sono mai trovato di fronte a casi di frode così palesi come questo, in generale gli aggregatori sono diventati uno strumento potente, fin troppo potente e purtroppo facilmente manipolabile.
In base al voto raggiunto su Metacritic ad esempio possono venire assegnati dei bonus aggiuntivi a chi ha lavorato a determinati progetti e un sacco di gente apre questi siti, guarda il numeretto e forma il suo pregiudizio. È un sistema alimentato dalla nostra voglia di semplificazione e che è cresciuto anche grazie alla facilità con cui gli individui possono lasciare pareri su internet.
E anche nei videogiochi può capitare che un prodotto venga fornito ai recensori in modo che non ci sia troppo tempo per elaborare un giudizio critico approfondito. Memorabile in questo caso la mancanza di codici per console di Cyberpunk 2077 per la stampa: non si voleva far capire subito che il titolo era ingiocabile su console.
Se avessi avuto un centesimo per ogni volta che un lettore ha saltato a pie’ pari una recensione di due o tre pagine per guardare il voto (e magari insultarmi perché non corrispondeva all’idea che lui si era fatto di un gioco che non aveva provato) probabilmente potrei finanziare N3rdcore per i prossimi dieci anni.
E poi i voti, piaccia o meno, fanno comodo. Sono un momento di discussione, sono ottimi per calibrare il successo o meno di un prodotto, d’altronde sono numeri. E per quanto a chi scrive possa piacere abbandonarli, difficilmente se ne andranno. Se ne parla da anni.
Che poi sarebbe anche legittimo ci fossero, se il contesto attorno fosse più sano.
Non credo ci sia una soluzione a lungo termine per lo stato delle cose. Il nostro cervello ama le scorciatoie, odia perdere tempo, odia la complessità, e la complessità non fa mai troppo bene al marketing.
Non so se chi scrive, produce video lunghi, podcast e cerca di ricordare che esistono delle sfumature verrà ascoltato ancora per molto. E non è neanche una questione di occuparsi solo di prodotti “alti”, perché c’è tanta bellezza nell’intrattenimento di ogni tipo, se ci educhiamo a vederla, ma ogni volta in cui lo facciamo freniamo di qualche secondo il progressivo decadimento dell’industria culturale.
Quindi, per quanto vi sembri assurdo e per quanto sia faticoso, continuate a spammare la complessità, o almeno dubitate di quando tutto è troppo semplice, cercando di tenere alla larga chi vi propina costantemente notizie discutibili o si fa piacere ogni prodotto.
LINK?
The Equalizer 3, il film che ci parla anche del piatto tipico del sud Italia: il kebab.
Forse le faccette stupide nei thumbnail di YouTube hanno i giorni contati e sono molto felice.
Momento archeologia videoludica perché si
(Vorrei parlare del "pubblichiamo lo stesso qualsiasi cazzata, che alla peggio fa click", ma non serve. Invece mi sono accorto solo ora del "voiceover" qua su Substack, niente male!)
Lorenzo scusami, dov'è il voto a Rotten Tomatoes! Senza voto io non leggo nulla!
Comunque, lo "scandalo" di Rotten Tomatoes ha dato molto da pensare anche a me: non tanto per i parallelismi con il mondo dei videogiochi, quanto più su un discorso etico: possibile che ci sia così tanta passione per il denaro e così poca per chi si fida di te?
Il problema è capitalizzare sopra la fiducia.
Sinceramente ogni giorno che passa mi sembra sempre più tutto incentrato sui numeri e sui soldi.
Anche basta.
Sia chiaro: non schifo i soldi. Anzi, mi servono che non ho mai una lira. Però ci sono modi e modi per guadagnarseli e accettare pagamenti per pilotare delle recensioni che vanno a finire su aggregatori mi pare un po'... troppo.