Recensioni e reazioni
Ovvero se oggi vale ancora la pena essere quelli che per primi ti dicono se vedere o no qualcosa che moltissimi vedranno comunque e una grande banalita: le reazioni violente hanno un bel mercato.
In queste ore sono uscite contemporaneamente Obi Wan e la quarta stagione di Stranger Things, una sorta di sistema binario della cultura pop dalla potentissima capacità di attrazione che si basa ironicamente su concetti molto simili: nostalgia e una capacità di fidelizzare il proprio pubblico con una serie di personaggi che, nel caso di Star Wars, stanno venendo recuperati singolarmente in un intreccio che ricorda quello dei film Marvel (e che sta diventando un casino dal punto di vista della coerenza interna, ma di questo magari parleremo un'altra volta).
Su Obi Wan non sono uscite recensioni perché Disney non ha concesso puntate in anteprima, come era già accaduto con The Book of Boba Fett e, se ricordo bene, anche per la seconda stagione di The Mandalorian. Di Stranger Things invece sono arrivati gli episodi con un buon anticipo e quindi qualche giorno fa sono uscite recensioni un po’ ovunque. Su N3rdcore no, un po’ perché per casini vari non ho avuto tempo di finire tutti gli episodi un po’ perché più ci pensavo più mi sembrava inutile scrivere qualcosa che anticipasse la visione e preparasse lo spettatore.
L’annosa questione
“Servono ancora le recensioni” è una domanda che periodicamente visita un po’ tutti gli ambiti di chi scrive per mestiere. La risposta non è semplice e, spoiler, probabilmente non esiste, perché quando ci si confronta con un pubblico ampio ci troviamo di fronte a migliaia di pareri differenti che non possono restituire un parere completo, forse neppure un sondaggio condotto con serietà ci riuscirebbe.
Io, nel mio piccolo, ho provato a chiederlo ieri su Instagram e le risposte sono state abbastanza variegate. Il mio quesito si concentrava su un tema specifico: ha senso recensire prodotti di “ultra massa” come Obi Wan e Stranger Things? Prodotti che comunque vengono portati sui nostri schermi senza alcuno sforzo o richiesta di acquisto se abbiamo sottoscritto un abbonamento, quindi non dobbiamo decidere se spendere soldi per comprare il biglietto.
In alcuni casi mi è stato detto giustamente detto che comunque il tempo è importante e la curatela dei siti serve a spenderlo bene e se di quella persona ci fidiamo il parere lo consideriamo.
Senza dubbio è vero però quando parliamo di fenomeni così di massa resta vero? Quanta gente aspetta seriamente il parere di qualcuno per spararsi tutte le puntate di Stranger Things, se è ciò che gli piace? E se fino a questo momento non gli è piaciuto siamo così sicuri che recupererebbe tre stagioni solo per capire se chi recensisce ha torto o ragione?
I fan di Star Wars, seppur delusi da altri prodotti, veramente non si guarderebbero Obi Wan se le recensioni lo stroncassero? C’è gente che si è vista in massa Morbius anche se veniva sconsigliato da tutti.
E se veramente le recensioni sono curatela, non avrebbe più senso recensire prodotti che sono nelle retrovie del grande buffet che ci viene offerto?
E inoltre, non avrebbe più senso parlare delle cose con calma, dopo che sono uscite? Liberi dai vincoli degli spoiler, che si possono ovviamente aggirare, ma che restano un limite all’analisi?
Questo senza contare tutta quella gente che “ok ho letto la recensione ma voglio comunque farmi un parere mio”, che è un approccio giustissimo. Perché, insomma, capiamoci, davvero non guardereste un prodotto di cui siete appassionati se io vi dicessi di non farlo? Se è così mi sento lusingato.
Credo che ovviamente ci sia un sacco di variabili in gioco per cui è impossibile parlare per assoluti, anche perché non sono un Sith, ma oggi la recensione di prodotti di “ultra massa”, come li ho chiamati prima, lascia un po’ il tempo che trova, soprattutto per tutte quelle cose che di fatto non dobbiamo comprare.
Restano molto utili invece per segnalarci qualcosa che esce dal rumore pubblicitario della roba più famosa e come “consiglio per gli acquisti” quando devi magari spendere 80 euro per un gioco o una decina per il cinema, una ventina per un libro o qualche centinaio per un telefono.
Niente di tutto questo ovviamente può battere il parere di eventuali amici che si sono guadagnati la fiducia o persone influenti nel settore, ma anche in quel caso molti preferiranno vedere per partecipare al dibattito.
Ok allora perché si fanno ancora tante recensioni?
Perché, oltre a servire ad alcune persone, servono agli altri due vertici del triangolo dei media: chi produce e chi scrive. Una recensione può essere comunque un tassello pubblicitario, se il prodotto è buono, e normalmente accompagna una campagna di lancio e segue regole ben precise in cui a chi scrive viene chiesto di non dire troppo per non fare i famigerati spoiler, ovvero, tutto ciò che sarebbe importante in una analisi ragionata.
Le recensioni servono a chi scrive, perché comunque sono contenuti SEO cercati da qualcuno, quindi servono ai siti grossi o particolarmente bravi con la SEO, e sono contenuti che stabiliscono il tuo posizionamento nel settore. Se vai alle anteprime o ti arriva roba da recensire allora fai parte di un gruppo di persone che in qualche maniera hanno intercettato l’attenzione dei marchi e quindi sei “affidabile”.
Non a caso un’altra polemica che va a ondate riguarda ad esempio i codici dei videogiochi più attesi e tendenzialmente i siti più importanti arrivano prima, poi via via a scalare fino ai pesci piccoli e ovviamente chi arriva primo ha più tempo per produrre e consolidare il proprio potere. Ma questo può valere anche per la possibilità di intervistare personalità famose. Il Pr vuole i numeri e andrà da chi i numeri li ha, alimentando una cerchia ristretta.
Poi le recensioni sono pur sempre un parere e i pareri generano dibattito, soprattutto se ci metti un voto. Inoltre, quel voto magari finisce in un aggregatore tipo Metacritic e anche quello fa sempre comodo. Infinte, almeno da quello che ho capito, molti vanno a cercarsi le recensioni in un secondo momento, per vedere se sono allineati con i pareri che stimano.
Dal mio punto di vista, così come sono oggi, sono oggetti un po’ inutili nel mare magnum dei contenuti che vengono prodotti. Utili, come dicevo, se devo scovare qualcosa fuori dal coro, ma solo per quello. Hanno tante controindicazioni perché spesso vengono prese come pareri che devono confermare il proprio bias a chi legge, altrimenti sei ovviamente un incompetente. Sono formule e riti ormai vecchi e stantii in cui spacchettiamo il prodotto e vediamo via via quello che ci piace e quello che no senza troppi guizzi. Inoltre un sacco di gente, banalmente, non legge, o va dritta al voto, o prende il parere lapidario di persone di riferimento.
Mi annoio a leggere le mie, figuriamoci quelle degli altri. Poi può capitare che ne scriva se proprio sento che mi va di dire qualcosa, alla fine mi piace scrivere. Sarà colpa del fatto che ormai è qualche anno che faccio questo lavoro? Non lo escludo, ma credo che abbiano veramente poco impatto rispetto ad altri modi che possono esserci per parlare di quello che ci circonda.
Poi, le recensioni hanno spesso la tendenza a essere prive di scambio, perché io ho visto qualcosa e tu no, preferisco il dibattiti che scaturiscono dopo.
È sbagliato che le recensioni siano posizionamento? No, basta farle bene e cercare di essere equilibrati, ma, se posso permettermi, non sparite dietro al prodotto, non cadete nel tranello della “recensione oggettiva”. Che cavolo vuol dire “recensione oggettiva”?
Se ci sono difetti palesi dal punto di vista tecnico ok, te li devo dire. Inquadrature sbagliate, cali di frame rate, telefoni che scaldano troppo e così via, ma non siamo esseri privi di emozioni che devono valutare un prodotto in base a fattori totalmente asettici. O almeno, non è sempre possibile tenere fuori sé stessi dal giudizio. Ogni parere porta con sé un punto di vista, una emozione, un turbamento e, oltretutto, se abbiamo detto finora che nel settore è importante emergere per ciò che scriviamo e per il nostro carattere, perché difficilmente possiamo prescindere dall’essere dei personaggi, che senso ha fare recensioni oggettive e spersonalizzati che si perdono nel grande mare di pareri tutti uguali, magari scritti scimmiottando lo stile di quello bravo?
E perché non si fanno allora più approfondimenti a posteriori, ma si corre sempre dietro al day one? Quelli sembrano piacere un sacco. Ma ovviamente sempre per la SEO, sempre per stare dietro al contenuto, perché una volta che qualcosa è uscito la recensione la cercano in dieci e l’approfondimento 10 meno 5 o peggio. Perché se non recensisci forse esci dal giro buono dei pr e non fai neppure le anteprime, le interviste e tutto il resto. E poi gli approfondimenti costano tempo, forse anche più tempo di alcune recensioni, e chi te lo paga quel tempo?
Quindi fatele se volete, sono pur sempre un esercizio per tenere affilato il giudizio. Tuttavia, se possibile, evitate di triggerare la gente tanto per. E qua arriviamo a un’altra grande moneta di scambio del settore: la rabbia.
Psycho Trigger, se se se
Una cosa di cui non avevamo ancora parlato, o forse sì, in questa newsletter è una delle armi più potenti che i creatori di contenuti hanno a loro disposizione: il trigger. Cosa vuol dire trigger? Vuol dire scatenare reazioni forti, spesso di rabbia, in qualcuno, con l’obiettivo si sfruttare quella rabbia per ottenere condivisioni. È un meccanismo comunicativo vecchio come la storia. Usato sia dalle aziende che dai politici passando per gli influencer e, ovviamente, da chi scrive.
Se volete postare contenuti trigger ho un solo consiglio: non pensiate che sia facile, che questa cosa non rischi di consumarvi e di trasformarvi in quelli che non servono a niente se non esagerano, perché il rischio è quello. Senza contare che vivere di polemica può essere molto stressante, io non ci riuscirei.
Il trigger è comodo perché al minimo sforzo segue il massimo risultato: posti qualcosa di provocatorio e poi ti godi lo spettacolo della gente che ti fa pubblicità per trattarti male. Se ti va bene diventi il caso del momento e non solo i lettori ti condividono per insultarti, ma tutto il baraccone dei creatori di contenuti sale a bordo del trigger train perché ha fiutato che sulla polemica del giorno ci si possono fare belle views, soprattutto al giorno d’oggi, basta scegliere da che parte stare dello schieramento.
In teoria il modo corretto di reagire alle provocazioni palesi, secondo me, sarebbe non reagire. O almeno, questa è la reazione che mi sento di consigliare dopo molti anni sulle barricate (ovviamente lo dico e poi mi incazzo uguale).
Tendenzialmente chi posta determinati contenuti sa dove vuole arrivare e sa che il miglior modo per farlo e sfruttare il nostro bisogno di giustizia e di reagire a quello che ci capita, ci sta tendendo un tranello, forse si trova anche molto più a suo agio di noi in quel contesto.
Questo è il classico caso in cui “the only winning move is not to play”, ma ovviamente ci sono delle eccezioni: se si è chiamati direttamente in causa, se il tema è socialmente importante, se stare zitti comporta un pericolo per qualcuno e molti altri casi che adesso non mi vengono in mente.
Grande amica del trigger è la recation. Perché ad azione corrisponde reazione uguale e contraria postata su YouTube, Instagram, Facebook e un bel post sul proprio blog o portale. Il buffet della cultura pop oggi offre questo, dimmi come reagisci, posizionati, vendi la tua emozione al pubblico. Se non reagisci non esisti, se reagisci fai pure qualche bel click interessante.
E quindi se esce un articolo che ci fa schifo sicuramente non ci fa piacere, però può diventare una bella occasione per capitalizzarci sopra, aumentando il rumore, stando però al gioco di chi ci ha provocati. Avete presente quando Salvini era in grande spolvero e ogni giorno dettava lui l’argomento di cui parlare perchè tutti reagivano incazzati alle sue provocazioni? Qualcosa di simile. Se fate “reaction” o vi cacciate in un dissing a distanza può andarvi bene, ma sarà comunque tempo che non userete per fare qualcosa di vostro, per portare avanti contenuti positivi, invece che negativi.
Dunque, se non volete stare zitti guardatevi bene allo specchio e rispondete a questa domanda: partecipo all’evento collettivo perché sto difendendo una causa, per le magnifiche sorti e progressive dell’umanità o perché tutto sommato sto cercando di fare del personal branding mostrandomi attento al tema del momento a cui non puoi sfuggire se non vuoi perdere contatto con fan, lettori, amici eccetera nella grande società della performance?
La verità la sapete solo voi.
Qualche link prima di salutarci
Un vecchio articolo in cui vi racconto cosa è il Settembre Eterno di Internet.
Polygon riprende un grande classico: quando l’FBI investigò su Dungeons & Dragons.
Una analisi di Den of Geek su Ray Liotta e i suoi personaggi.