Restare rilevanti
Ci sono cose bellissime che vengono ignorate dal pubblico nonostante la stampa e successi nati senza un articolo, come si fa a posizionarsi in questa situazione?
Quello delle persone che si scusano per aver detto cose orribili è una sorta di genere letterario, un canovaccio che si ripete più o meno sempre uguale come certi romanzi horror o di fantascienza che devono rispettare determinati punti saliente per essere considerati tali.
Dici una cosa brutta, vieni punito, ti scusi, tutto torna come prima.
L’ultimo ad aver scritto le sue pagine in questo proficuo settore è Asmongold, al secolo Zack Hoyt, personaggio che ai più non dirà assolutamente nulla, ma che in questi anni si è costruito un grandissimo seguito come streamer di videogiochi ma soprattutto come personaggio aggressivo e pronto a scagliarsi contro i grandi mali del nostro tempo: la “cultura woke”, la diversità, l’inclusione e ogni deviazione dal canone che vuole i videogiochi come qualcosa pensato per uomini bianchi eterosessuali. Uno che su questa linea editoriale ci ha fatto dei bei soldi e un bel seguito, alla faccia della cancel culture.
Recentemente Asmongold l’ha fatta un po’ troppo fuori dal vaso anche per gli standard di chi campa di tossicità, lanciandosi in una discussione sul popolo palestinese in cui sostanzialmente che non gliene fregava niente del genocidio che sta avvenendo a Gaza perché era gente che il genocidio ce l’aveva scritto tra le leggi quindi fatti loro, anzi, erano una cultura inferiore. Questo ha portato al suo ban da Twitch per due settimane e alla rescissione di alcuni contratti di lavoro, anche di compagne in cui era socio.
A questo punto il canovaccio prevede un video di scuse con la faccia contrita che è puntualmente arrivato, ma in molti hanno notato come, rispetto al solito, Asmongold stia cercando realmente di capire che c’è qualcosa che non va.
Ha detto che la streaming ha rapidamente preso possesso della sua vita, che non capisce come mai sia diventato sempre più aggressivo e negativo, nonostante i suoi genitori lo avessero avvisato, che era intrappolato in una visione ideologica del mondo e che “ My life has actually been fucked for a while now and I need to fix it. I am a 34 year old single man living in his mothers house with dead animals and garbage. Although I don't "hate" it, I don't want to die this way”.
Purtroppo, ha anche detto che continuerà a martellare sul tema della diversità e dell’inclusione, d'altronde quello vuole la sua fanbase. Quindi, al di là della speranza che sia un po’ meno veicolo di tossicità, forse ha solo imparato a essere tossico su ciò che non ti porta un ban e un danno economico, si torna sempre là.
Escono troppi videogiochi
In questi giorni sono stato a Torino alla View Conference dove ho moderato una chiacchierata (lo so, si chiamano “talk” ma vuol dire la stessa cosa con meno allure internazionale, anche se era in inglese) sullo stato dell’industria videoludica italiana. Erano presenti Mauro Fanelli di Memorable Games, Davide Mancini di IIDEA, Tiziano Giardini di Quickload e Jan-Bart van Beek di Guerrila Games (quelli che hanno fatto Horizon e Killzone per Playstation).
È stata una chiacchierata interessante sotto molti aspetti che penso riassumerò con un articolo ma la scintilla che ha acceso l’articolo di oggi è stata l’affermazione di Van Beek secondo cui oggi si fanno troppi giochi e il mercato è saturo, dovremmo farne meno e migliori, perché così tanti giochi comunque non riescono neppure a essere visti.
Ed è vero, verissimo, così come stampiamo tantissimi libri che spesso non superano le 100 copie lo stesso vale per i videogiochi, soprattutto su PC, sono migliaia, ogni mese, e la maggior parte spariscono perché semplicemente non c’è spazio per parlarne, provarli o raccontarli.
La risposta a tutto questo è ovviamente la curatela: il giornalismo o la creazione di contenuti in qualche modo rispondo a questo bisogno di filtri. La realtà è complessa e spetta agli esperti separare il grano dalla pula. Tutto risolto no?
No.
Anzi, ogni tanto ci sono fenomeni che mi fanno rivedere molto la rilevanza del lavoro giornalistico, perché ormai un videogioco per diventare famoso ha moltissime strade. Parlo del videogioco ma vale per il cinema, l’editoria e il fumetto, ovviamente.
Western e carte collezionabili
Un esempio di come una buona stampa possa non bastare è Arco.
Arco è un videogioco ambientato nel west, ha una pixel art veramente molto carina, il gioco è divertente, le meccaniche sono interessanti. La stampa lo ha amato tantissimo e in generale ha ricevuto una buona copertura.
Eppure, il gioco ha venduto molto poco rispetto alle aspettative, alla cura e alle possibilità di un mercato che di solito adora premiare le piccole gemme. Sicuramente avrà pesato l’uscita a Ferragosto e ci saranno stati mille motivi per cui il gioco non ha venduto bene, ma questo ci racconta anche di come tutto sommato la stampa sia soltanto una parte, a volte risibile, di un percorso e di una scelta che si basa su mille motivi differenti.
Dalla parte diametralmente opposta c’è TCG Card Shop Simulator, un gioco in cui dobbiamo gestire un negozio che vende giochi di carte collezionabili (Magic, per capirci) e quindi organizzare tornei, gestire lo stock delle carte, capire quali sono quelle rare per specularci sopra, espandere il negozio, persino gestire i clienti che non si lavano.
Grazie a una discussione in un gruppo Facebook nata da Marco Calcaterra (che i videogiochi indie li sviluppa e vi consiglio il suo Star Drift Evolution) ho avuto modo di notare la mole di pubblico raccolta dal gioco rispetto alla copertura media.
È un gioco che la stampa non ha praticamente considerato, non troverete quasi nessuna recensione, in Italia l’unica è di Nerdando, vive solo nelle live o nei video su YouTube e al momento ha più di 13mila recensioni positive su Steam.
Dove si informa il pubblico? Dove va a cercare le notizie? Di chi veramente si fida? Come possiamo riuscire ad andare oltre il mainstream senza inevitabilmente compromettere il bisogno di raccontare anche quello, per una banale questione di sostenibilità dei progetti?
Ma di sostenibilità magari parliamo in un secondo momento, perché è un altro tema interessante.
Restiamo dunque sul pezzo: come si rimane rilevanti in un mondo in cui può capitare che un gioco sia bellissimo ma poco considerato e un altro gioco sia interessante e ottenga successo senza che ne parli praticamente nessuno di quelli che per lavoro devono dirti cosa è interessante?
Probabilmente da persone con cui hanno sviluppato un rapporto parasociale, magari su Steam stesso, che si ormai è un media a parte con forum, curatori, recensioni, probabilmente su TikTok, grande strumento di successo per libri e canzoni, in cuin un piccolo video che incuriosisce l’utente, il quale poi trova le altre informazioni su Steam, Twitch o YouTube.
Forse in effetti dopo i booktoker sarà il caso di iniziare a capire se ci sono dei “gametoker”. Di sicuro la fuori ci sono moltissimi spazi che oggi hanno superato a destra la parola scritta e, più in generale, gli spazi “istituzionali” per capire un settore.
La domanda, lo ammetto, mi assilla, come resto rilevante in un mondo dove parla Asmongold? Dove le regole cambiano ogni mese, dove se non sei del gruppo giusto, del tono giusto, della collaborazione giusta, della piattaforma giusta, del momento giusto non esisti?
E forse ormai più che essere autorevoli è importante piacere al pubblico per ciò che sei, perché porti avanti opinioni che gli piacciono, per come catturi la loro attenzione. E dopo, forse, ti seguiranno e ti daranno l’autorevolezza più facile da spendere: quella del numero di follower.
Link?
Terrifier 3 e il fenomeno in generale è un’altra di quelle cose che non si è vista arrivare finché non è diventata grandissima.
Su Altri Mondi ho parlato di Dragon Ball Sparkling Zero e, ancora, di videogiochi che ti danno ciò che vuoi, non importa se è di alto livello o no.
Della stessa banda di Heavy Meta:
"una chiacchierata (lo so, si chiamano “talk” ma vuol dire la stessa cosa con meno allure internazionale" <3