Scrivere con le emozioni
Ovvero, anatomia del "pezzo piacione", che a me piace molto, ma va usato con cautela, come si conviene alle cose nate per emozionare.
Mi ricordo bene le prime volte in cui ho iniziato a scrivere, in cui ho capito che questa era la mia strada, non sono perché improvvisamente sentivo di aver trovato il mio posto nel mondo, ma anche perché mi trovavo finalmente in mano i primi soldi fatti mettendo parole su uno schermo. È un momento indescrivibile, o forse sì, perché ognuno di noi ha sentito almeno una volta dentro di sé quella sensazione che potrei descrivere solo come l’ultimo pezzo di un puzzle che scivola lentamente nel suo spazio.
Oggi, ad anni di distanza, quella sensazione mi fa tenerezza perché nel frattempo quel senso di sicurezza se n’è andato ed è tornato mille volte. Jack Kirby diceva “comics will break your heart” ma anche scrivere come freelance non è male come crash test per il vostro cuore, la vostra testa, le vostre passioni. Eppure, in qualche modo si va avanti, si resiste, perché quel posto nel mondo che hai trovato ti piace troppo. Tu, piccolo pezzo di un puzzle più grande che cambia continuamente, mentre sei costretto a cambiare forma insieme a lui.
Vi ho smosso qualche emozione? In qualche modo vi siete sentiti connessi con me in queste poche righe che avete letto, o magari avete iniziato ad avvertire una connessione?
Bene, perché quello che ho tentato di fare in questo incipit era cercare di replicare i meccanismi di un tipo di articolo molto in voga e, lo ammetto, che mi piace molto fare. In mancanza di definizioni migliori lo chiamerò “Il pezzo piacione”.
Scrivere pezzi piacioni non è un reato, o almeno spero non lo sia, l’importante è che nel farlo si conservi sempre una integrità professionale, perché il pezzo piacione può essere particolarmente persuasivo, tende a sfumare i confini fra chi legge e chi scrive, è la versione letteraria e giornalistica di una chiacchierata fra amici a fine giornata.
Io non ti sto solo raccontato un evento, un fenomeno, un qualcosa, ti sto raccontando anche come mi ha fatto sentire, perché lo ritengo importante, perché in qualche maniera mi ha fatto sentire bene o male.
Scrivere pezzi di questo tipo oggi è importante, perché mentre ci ripetiamo di volere pareri oggettivi e discussioni asettiche la verità è che siamo sempre in cerca di connessioni. Lo siamo come lettori e lo siamo come autori, anche se ci occupiamo di quello che scrivono o producono gli altri.
Nella sconfinata produzione testuale che ogni giorno internet presenta al suo altrettanto sconfinato pubblico, i pezzi piacioni sono quelli che in qualche modo possono farcela più degli altri perché sono quelli che riescono a creare maggiore connessione tra chi legge e chi scrive. Sono quelli che di fanno dire “mio dio, ma parla di me” offrono un’emozione per procura, o magari un caso in cui puoi identificarti.
A volte ci piacciono per il semplice patto narrativo che se qualcuno condivide con te un pezzo della sua anima il minimo che puoi fare è essere riconoscente.
Se vogliamo, questo è quello che alcuni chiamano “storytelling”, raccontarti una storia. Ma la storia è tua, quindi sarà bene che sia sincera. Qualcuno potrebbe obiettare che questi pezzi non sono vero giornalismo perché non ci sono solo i fatti, ma anche le emozioni. Non è un discorso del tutto sbagliato, ma in alcuni casi il racconto personale ci sta.
Cose che sì, cose che no
Ma proprio perché il lettore sul pezzo piacione abbassa le difese bisogna mantenere un controllo su quello che stiamo dicendo. Credo che un pessimo esempio di pezzo piacione uscito in queste ore sia quello in cui Severgnini ci racconta la sua intervista con Scarlet Johansson.
Severgnini punta tutto sull’effetto comico e assurdo di lui che in qualche modo “fa colpo” sulla bella attrice, e per quanto sembri che si stia mettendo in gioco raccontandoci la vita estenuante dei junket cinematografici non ci dà alcuna informazione sull’attrice che possa in qualche modo essere interessante.
Ci dice che una giornalista, ovviamente donna, la ritiene una stronza, che è bassina e che ha fatto una battuta sull’iPhone, fine. Per una rubrica che si chiama “Ritratti d’autore” ci pare un po’ poco. Lui invece appare come il privilegiato che parla con le star grazie al Corriere della Sera e farà pure un viaggetto a Shanghai. L’impressione finale è quella di una umiltà di faccia che invece nasconde una discreta spocchia. Ma poi si può ancora sentire la frase “Era un duro lavoro, ma qualcuno doveva pur farlo”? Non ci sono emozioni qua dentro, solo una glorificazione di sé stessi.
Oltretutto, perché quando c’è di mezzo l’intervista con una bella donna bisogna sempre darsi di gomito come nello spogliatoio? Poteva essere l’occasione per spezzare quei luoghi comuni da boomer, non rafforzarli e giocarci sopra.
Per andare totalmente all’opposto farò una cosa bruttissima e vi dirò di leggere questo mio resoconto dell’intervista fatta a Patrick Stewart nel 2019, forse uno dei momenti più belli della mia carriera.
In questo articolo mescolo le sue parole dell’intervista col mio rapporto con Star Trek, confesso di non essere mai stato un trekkiano di ferro ma cerco di raccontare come la serie mi sia rimasta nel cuore, provo in qualche modo a offrire le mie emozioni al lettore, cercando con sincerità di far capire che è stato un momento incredibile. Non sono qua a dirti che sono un ganzo, sono qua per dirti che mi sono sentito piccolissimo, schiacciato dalle emozioni e dalla sua presenza.
Visto il mio gusto per l’autosabotaggio mi costa tantissimo dire che sì, secondo me questo è un buon pezzo piacione, ma quali sono gli elementi essenziali di un articolo del genere?
Cinque consigli per un bel pezzo piacione
Mettiti in gioco: parla di qualche tua debolezza, del tuo passato, offri un gancio nostalgico, ma non troppo banale, non scivolare nel boomerismo, resta concentrato su qualche dettaglio che lo renda tuo. In fondo lo faceva anche Baglioni con “quella sua maglietta fina”. Ovviamente siate sinceri, sempre, niente roba inventata.
Crea un ponte fra passato e presente: eri una persona che sognava questo e ora eccoti qua, giocavi con questo videogioco e adesso parli col suo inventore, da bambina volevi viaggiare per lavoro e adesso sei una reporter di hotel a cinque stelle.
Informa: ok è molto bello mettersi in gioco ma il cuore del pezzo dov’è? Quale informazione importante mi stai dando? Raccontami la genesi di quel prodotto che ora stai vedendo, dimmi perché è importante non lo so per te che scrivi ma per me che leggo, dammi qualche consiglio sul viaggio, su questo pezzo di hardware, oppure sul luogo che stai visitando o la persona che hai di fronte. Come è? Come appare senza la lente della telecamera?
Emoziona: è una parte difficile e per alcuni scorretta, ma in un mondo fatto di informazione tutta uguale dare delle emozioni è importante, ma arriveranno solo se hai lavorato bene prima sulle tue premesse, non puoi semplicemente dire che ti batte forte il cuore, devi farmi capire perché. Non puoi dirmi che è un annuncio emozionante, voglio che ci sia un pregresso che lo rende tale.
Chiudi bene: non c’è niente di peggio che chiudere male un pezzo piacione, perché chiudere è importante almeno quanto iniziare. Immaginate il pezzo come un piatto, o un bel bicchiere di vino. I sapori che arriveranno al lettore sono importanti dall’inizio alla fine e ci dev’essere coerenza tra di loro.
E comunque un bel pezzo piacione è proprio come il vino. Se è buono si conserverà bene nel tempo, altrimenti farà aceto.
Lo so bene io, che qualche anno fa mi esaltavo per Musk, tanto da scriverne con toni utopistici ed emozionati, e oggi lo disprezzo cordialmente!
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