Scrivere per lavoro è anche questo
Ah che bello scrivere! I viaggi, i gadget, i blocchi, la concentrazione da trovare anche in mezzo a un rave. Insomma eccoti i dark side, o almeno le cose meno affascinanti.
Bentornat a Heavy Meta. Grazie ancora per le belle parole che mi scrivete e che mi fanno andare avanti, grazie per il seguito che aumenta, per le richieste e i consigli. Tutta linfa fondamentale per andare avanti.
Oggi avrò come ospite Luca Annunziata, che mi ha spontaneamente scritto dei consigli per voi. Luca è uno di quelli che “ce l’ha fatta”, scrive per lavoro, ma nel tempo è diventanto anche un simbolo di quanto sia proteiforme questa cosa che facciamo. Perchè ha iniziato scrivendo, oggi deve curare anche dirette, avere molte infarinature tecniche differenti e continuare ad adattarsi.
Il suo contributo si chiama “Quello che non ce lo dicono” e per creare una sorta di dialogo in corsivo ci ho messo le mie aggiunte. Buona lettura!
«Virtuosistici, avevo capito bene».
Alzò gli occhi al cielo, si schiarì la gola, si morse le labbra e si voltò di lato: solo la decenza le impedì di sputare per terra.
«Virtuosistici... Se dopo anni di lezioni con me le dessero del virtuoso mi impiccherei».
«Mica è un insulto!».
«Le sto insegnando a diventare un artista, non un Narciso. Deve puntare i riflettori sulla musica, non su se stesso. Ah, quei virtuosi che si frappongono tra il brano e il pubblico! Li farei fuori tutti a fucilate».
«Meno male che nelle sale da concerto sono vietate le armi!».
tratto da Madame Pylinska e il segreto di Chopin
di Eric-Emmanuel Schmitt (2020, Edizioni e/o)
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Quello che non ce lo dicono, quando diciamo che da grandi vogliamo scrivere, è che scrivere è un lavoro se vogliamo campare di parole. E il lavoro, qualsiasi lavoro, a un certo punto inizia a puzzare. E non ce lo dicono prima, quindi questa volta sei fortunato: se non hai ancora iniziato a farlo, a scrivere per lavoro, c'è qui uno che te lo sta dicendo in anticipo. Non sarà tutto rosa e fiori.
Ecco questo mi pare un punto di vista essenziale che può sembrare banale ma è giusto chiarire subito. Scrivere anche della cosa che amate di più può essere una esperienza, fastidiosa e miserabile, scrivere di cose di cui tutto sommato non pensavate vi sarebbe interessato così tanto può rivelarsi interessante. Di sicuro però è un lavoro e il lavoro, anche quando ti piace, è quella cosa che a un certo punto non vorresti fare.
Quello che non ce lo dicono, quando diciamo che da grandi vogliamo scrivere, è che il talento non basta: serve farsi un mazzo accussì per imparare a scrivere. Perché scrivere non è quella roba che fai quando scrivi i pensierini alle elementari, nemmeno quella cosa che fai all'esame di maturità o nella tesi di laurea. Scrivere, se lo fai per lavoro, è un'operazione tanto al chilo: devi produrre, devi essere efficiente, non hai tempo per riflettere o per rimuginare. Non puoi rimandare, il più delle volte se rimandi finirai per non avere più il tempo di scriverla quella roba lì. Scrivere, se lo fai per lavoro, significa che non ti basta il talento: magari sei capace di scrivere in bella forma, ma devi imparare a farlo di corsa e sotto stress, devi imparare a farlo a comando, devi imparare a farlo (se sei un giornalista) riuscendo a spiegare a chi ti legge in modo corretto e imparziale quanto deve sapere su un dato argomento. Avverbi e linguaggio forbito non servono a nulla, la tua missione è comunicare in modo efficace. La storia del talento, insomma, proprio meglio lasciarla perdere: chi ha successo, in qualsiasi settore, lo fa con il sudore della fronte e anni di fatica.
Anche questo è totalmente vero. Sono un grande sostenitore del fatto che il talento, qualunque cosa sia, ti permette di partire con un certo vantaggio, ma vale molto di più le discipline fisiche che quelle mentali e scrivere è si fisico (poi vedremo) ma soprattutto testa. Io da bambino ero “bravo a scrivere” ma lo ero perché leggevo molto, perché grazie alla mia famiglia e a qualche inclinazione personale mi piaceva farlo, ma questo non mi ha portato subito a volerne fare un lavoro e di certo se oggi riesco a scrivere bene non è grazie ai temini delle medie, ma avendo affinato il mestiere anno dopo anno, cazzata dopo cazzata. Ciò che può fare veramente la differenza è avere qualcuno che vi aiuti in questo percorso.
Quello che non ce lo dicono, quando diciamo che da grandi vogliamo scrivere, è che ci sono un sacco di cose che sono taaanto noiose da fare: ma che fanno parte del lavoro. Tipo. Se entri nella redazione di un giornale, non è che ti assegneranno subito il pezzo d'inchiesta che smaschererà il giro di merendine rubate dell'Asilo Mariuccia, pezzo con il quale vincerai il premio Pulitzer e forse pure un Nobel: devi sgobbare, dovrai vomitare un sacco di pezzi che preferiresti tagliarti un dito del piede piuttosto che scriverli ma, ehi!, un giornale è fatto di tanti articoli. E quando sei tu il pesce piccolo dello stagno, è a te che toccano i peggiori.
Tutti vogliono subito fare le cose belle, ovviamente. Chi inizia questo percorso si vede agli eventi, alle fiere, a intervistare gente importante. Alcune persone ci riusciranno, per molti altri non sarà mai così, ma tutte hanno cominciato piano e questo è importante per alcuni motivi: Una redazione deve fidarsi di te, vedere come lavori piano piano, capire come reagisci alla pressione costante, alle scadenze, se hai voglia di restare nel lungo periodo o se è solo un vezzo. Sarebbe assurdo darti subito un pezzo importante, non credi? Prima devi costruire la tua credibilità. Inoltre, in alcuni casi è importante che quel pezzo sia firmato da qualcuno di preciso. Non avere fretta, il tuo momento arriverà e scrivere tanto di quello che non ti piace subito ti farà bene, perché lo farai spesso ed è bene impararlo subito.
Se poi hai l'ambizione di fare lo scrittore, amico mio, forse è anche peggio: perché un pezzo per il giornale te la cavi con 3.000 o 10.000 battute, magari anche meno, ma un libro è una cosa seria. Per dire, io scrivo per lavoro (nel senso che mi pagano per farlo) da oltre 15 anni: in questi anni ho capito che un libro non è fatto per me. Scrivere un libro significa mettere assieme tante cose: il mondo da costruire, le regole di questo mondo, le sue gerarchie, le descrizioni pallosissime di dettagli che sono chiari nella tua testa ma che devi rendere chiaro pure al lettore. E poi devi riscrivere tutto, perché l'editor ti prende per le orecchie e ti fa notare tutti gli errori che hai fatto nella tua prima stesura. Sì, proprio quella di cui eri tanto orgoglioso. Io il pelo sullo stomaco per fare 'sta roba non ce l'ho.
Dopo qualche anno di lavoro mi sono guardato indietro e mi sono reso conto che scrivere molto di quello che facevano gli altri aveva quasi del tutto inaridito la mia capacità di scrivere cose mie, di inventarmi storie o di seguire una struttura che non fosse quella di un articolo. Questo senza contare il senso di sazietà che mi coglieva una volta arrivato attorno alle 10.000 battute, ma d’altronde sono sempre stato uno scrittore sintetico. Quindi sì, scrivere un libro è un lavoro completamente differente come lo sono quello dello scattista e del maratoneta. Come ho fatto a scrivere un libro allora? Beh, l’ho suddiviso in tanti piccoli articoli, scrivendo di quello che sapevo, appoggiandomi a quello che altri avevano fatto nella vita. Scrivere narrativa non penso farà mai per me.
Ah, eccola un'altra cosa di quelle che non ce lo dicono: dovrai imparare ad accettare il giudizio altrui, che spesso sarà vincolante e assai violento. Tipo. Il mio primo anno di lavoro in una redazione vera, ogni volta che finivo un pezzo (e ne avevo da scrivere almeno tre o quattro al giorno) dovevo alzarmi, andare dal direttore o dalla mia collega più esperta, sottoporre a loro il mio scritto: le botte che ho preso in quell'anno, diosanto! Spesso questa operazione equivaleva a riscrivere da capo il pezzo, a volte protestavo e cercavo di spiegare perché avevo fatto così e non cosà: alla fine, avevano sempre ragione loro. E anche se avessi avuto ragione io, avrebbero avuto comunque ragione loro. Col senno di poi: avevano proprio ragione loro. Quindi, preparati a beccarti un sacco di correzioni, riscritture, revisioni: fa parte del mestiere, ed è meglio che quell’ingombrante orgoglio tu lo metta da parte subito. Non serve a niente.
Qua concordo, ma fino a un certo punto. Sì è fondamentale ascoltare gli altri, soprattutto chi ti rilegge e io ho sempre fatto una fatica enorme. Non tanto per l’orgoglio no, per il sentimento opposto: la vergogna. Quando scrivo qualcosa faccio estremamente fatica a tornarci sopra, perché per me è come vedere le foto anni ‘80 vestito male o ascoltare la tua voce registrata mentre canti stonato. E quindi faccio fatica sia a rileggermi che ha recepire le indicazioni. Poi alla fine ci riesco, ma credo sia uno dei miei difetti più grandi. Quindi sì, mettete da parte l’orgoglio, ma anche la vergogna, perché tanto avete scelto un lavoro che finirà per esporvi. E per quanto possiamo raccontarci di scrivere per un bisogno innato, per aiutare il giornalismo e così via, tutti scriviamo (e parliamo in camera, e facciamo podcast) anche e a volte soprattutto per ego. Perché pensiamo che il nostro parere e come lo diciamo abbiano un valore. Va benissimo così, prima lo accettate meglio riuscirete a ripararvi dagli sbalzi eccessivi di ego, come quelli che scrivono per l’ennesimo sito di videogiochi e si pensano vati della critica videoludica.
Quello che non ce lo dicono, quando diciamo che da grandi vogliamo scrivere, è che a un certo punto arriverà un blocco: a volte è un blocco temporaneo, legato allo stile. Stai maturando, c’è qualcosa che cova dentro, di botto poi ti sbloccherai e scriverai meglio di prima. Altre volte, ed è più grave, scrivere ti peserà da morire e penserai: ma a me, chi me l'ha fatto fare? Ecco, quelli sono i giorni in cui di solito tiri fuori la roba migliore: perché, se hai fatto tutti i compiti a casa nei punti precedenti, avrai imparato a concentrarti. E se riuscirai a scrivere anche quel giorno lì, allora ti potrai definire un professionista: non serve ispirazione, serve concentrazione e metodo.
Se c’è una cosa che l’esperienza mi ha regalato, è la capacità di iniziare un articolo sfruttando quei cinque o sei metodi senza neppure pensarci sopra. A volte parti da una frase di qualcuno con cui hai parlato, puoi partire analizzando la situazione e poi stringere sull’oggetto della tua analisi, o magari da qualcosa che può essere paragonato a ciò che stai scrivendo. Segnati questi rompighiaccio, poi col tempo ne impareremo altri una volta scesi nel tecnico. I blocchi ci sono, io ne sto affrontando uno lunghissimo e ci saranno momenti in cui scrivere sarà come nuotare nella melassa. Succede, devi ricordarti che anche in quei giorni devi andare avanti, anche di poco. Ma al di là delle tue competenze e dei trucchetti per scrivere bene c’è soprattutto una cosa che devi imparare ad amministrare: te. Non consumarti, non vivere del mito del lavoro a tutti i costi, non esaurire le tue energie mentali, impara ad alternare momenti in cui tiri la corda a quelli in cui rallenti. Ecco forse quello che posso dirti è impara a goderti il riposo e fai che sia riposo vero, perchè quando sei a lavoro sei a lavoro e scoprirai che questo alla lunga ti impedirà di goderti veramente qualcosa, perchè la devi analizzare.
Ah, poi c'è anche quella panzana che ci raccontiamo dell'ambiente giusto: come se per scrivere ci volesse un colore specifico alle pareti o una sedia così e non cosà. Tutte balle. Dopo aver lavorato in una redazione, oggi scrivo pure se attorno a me c'è il caos: l'altro giorno ho scritto in treno con un ragazzino ottenne che giocava con un videogame a tutto volume nel sedile dietro il mio; ho scritto in aereo, ho scritto al mare (letteralmente in spiaggia) mentre i miei amici stavano a divertirsi, ho scritto da ubriaco, ho scritto con 1 ora di sonno dopo 36 ore sveglio. Ho scritto dappertutto. Non cercare alibi: se sei un professionista, scriverai ovunque e comunque.
Sto scrivendo queste osservazioni in treno, le rivedrò probabilmente stanotte dopo una giornata di Comicon e una cena importante. Non so a che ora. Vi arriverà in ritardo perché ho avuto degli imprevisti. Per fortuna qua me lo posso quasi permettere, ma spesso no. Ho scritto seduto per terra in corridoi, ho scritto in aerei pieni di bambini urlanti e l’ho fatto in ostelli mentre la gente rideva guardando Piranha 3DD. Come? Perché lo dovevo fare. Perché mi esaltava quello che stavo facendo, perché dopo anni di esperienza la mia testa su alcune cose andava da sola. Magari però rileggi una volta in più se scrivi dopo aver bevuto e non cedere alla tentazione di scrivere sempre sotto alcol perché quel pezzo alla fine ti è venuto proprio bene.
Se sei arrivato a questo punto, e magari sei un aspirante scrittore o giornalista, potresti pensare che io sia pazzo a fare questo mestiere da così tanti anni: spoiler alert, voglio continuare a farlo anche in futuro. Il perché, è presto detto: ti togli delle soddisfazioni immense. Piegare la lingua al tuo volere, riuscire a raccontare in una frase uno stato d'animo, trasferire un'impalpabile idea con le parole a chi deve ricostruire nella sua testa quel concetto, è una delle attività umane più soddisfacenti: c'è dentro anche una fettina di narcisismo, non lo nego, perché sapere che c'è gente che leggerà quello che hai scritto a volte ti fa montare un po' la testa. Addirittura capita che ti facciano i complimenti: cioè, sarebbe tipo come se dopo che hai fatto sesso il tuo partner ti dicesse "ma lo sai che sei stato veramente in gamba?". Diomio! Quanto è bello quando accade? Quando senti di aver lasciato un segno sull'anima o una virgola nella testa di qualcun altro?
Luca la definsce “fettina” per me è molto di più, ma sono spesso considerazioni personali. Di base di sicuro c’è il senso di valere qualcosa, almeno attraverso la scrittura o altre forme di comunicazione. E sì, i complimenti sono belli, ci sta che ve ne arrivi qualcuno (o magari tanti) in mezzo al torrente di gente che avrà qualcosa da ridire. Mi spiace diverlo ma probabilmente quelli saranno molti di più e una cosa che dovete imparare a fare è scremare i commenti sensati da chi sotto sotto vuole farvi abbassare la cresta perché “ma chi si crede di essere?”. C’è poi una questione essenziale che poi affronteremo: se sei freelance è inevitabile dover puntare sulla personalità, perché è quello che in qualche modo ti permetterà di emergere. E dovrà accadere anche nei testi.
Visto che gli altri non ce lo dicono, però, qualcuno doveva dirti che non è tutto rose e fiori: fare il giornalista, come nel mio caso, non è una roba glamour. Sì, è vero, grazie al mio lavoro ho conosciuto gente fichissima e visto tre continenti: però spesso di una città conosco l'aeroporto, il taxi, l'hotel e il convention center. E basta. Scrivere per me è diventato un lavoro: se come nel mio caso ti piace, allora sarà più facile sopportare la fatica e le giornate no. Ce ne saranno tante. Bisogna tener duro, e soprattutto non pensare che ci sia un punto d'arrivo: scrivere significa studiare per tutta la vita, significa pure scadenze che non puoi bucare e scrivere di argomenti che troverai inutili e pallosi.
Si questa è una vita strana in cui sei in alberghi bellissimi con gadget costosissimi e cene spettacolari che non ti puoi permettere, intervellati da mesi di scrivania, noia e voglia di mollare tutto per provare la via del commesso. Quindi quello che ti servirà sarà soprattutto una certa stabilità fra questi due estremi. E nel frattempo sarà come fare i compiti a casa tutta la vita. Scrivere saranno i temini, le chiacchierate live le interrogazioni, con una sottile tensione che non se ne andrà mai ed è il bello e il brutto di questo mondo.
Come vedi ho voluto essere brutalmente onesto con te che mi leggi, ho messo in piazza pregi e difetti di questo mestiere: sta a te decidere, giorno dopo giorno, se valga la pena continuare a farlo. O se iniziare a farlo. Ah, poi ci sarebbe da affrontare anche tutto il discorso di come si scrive: ma quello sarà l'argomento di un'altra puntata.
Eh sì, è sarà un bel casino perchè “come si scrive” è una storia complicata almeno quasi quanto “come riesco a scrivere per lavoro?”.