Un mese fuori fuoco
Alla fine ho capito che per poter continuare a lavorare sereno dovevo buttare fuori sta cosa del tutto, e allora buttiamola.
Visto che il tema oggi sono gli occhi, in parecchi li hanno aperti in queste ore. Finalme il bubbone dell’aria che si respira nelle agenzie stampa, in particolare We are social, è venuto fuori. C’è voluta la denuncia di un uomo e la conferma di un altro uomo perchè la situazione conquistasse la pagine dei giornali. Alle donne che ne parlavano anni fa come Freegida credevano in pochi e tutti potevamo fare di più per amplificare quel messaggio. Io per primo. Ma poi se lo fai di devi beccare pure te le polemiche e perché privarsi del privilegio della tranquillità?
Ma non basta, in queste ore si è visto come una delle prime reazioni è stata quella di dire “ma non siamo tutti mostri”, “ma le agenzie non sono tutte così”, “non sapevo”, proteggere insomma il proprio orticello mostrando tutta la fragilità di questi ambienti.
Se quando succede qualcosa la prima cosa che ti viene in mente è dire “ok io non sono così” l’unica cosa che dimostri è che non sei una persona con cui una potenziale vittima dovrebbe parlare.
Ma cominciamo
Non perdiamoci di vista
Attenzione, se sei un/una freelance questo potrebbe essere un piccolo thriller in grado di scatenarsi ansia e dubbi sul futuro. ALTRI dubbi sul futuro.
La settimana scorsa mandavo Heavy Meta sperando che la questione occhi fosse conclusa, ma non è stato così.
Per chi si fosse perso le puntate precedenti: da quando avevo circa 14 anni soffro di cheratocono, quindi porto lenti rigide per vedere.
No, non posso portare occhiali.
No, non posso fare quell’operazione che ha fatto il tuo parente o amico, posso solo fare il trapianto.
No, senza lenti non vedo niente, vedo solo macchie sfocatissime, doppie e colorate, non riconosco un viso da un metro.
Fin qui tutto ok, ci convivo fin da piccolo, ma a inizio giugno quella che sembrava solo una infiammazione passeggera come tante si è rivelata una infezione agli occhi da stafilococco, non so presa come.
E quindi non ho potuto portare lenti a contatto per almeno due settimane, e poterne mettere una per qualche ora nella terza. E questa situazione continua ancora.
In queste settimane ho potuto giusto usare il telefono, tenendolo molto, molto vicino alla faccia. Niente film, serie tv, pittura, videogiochi, lettura, streaming. Giusto qualche podcast, ma ho scoperto che se li ascolti sul divano di casa finisci che ti addormenti.
“Vabbe’ ma ti fa bene riposare, rallentare”.
No.
A qualcuno fa sicuramente bene, a me no. Se non faccio qualcosa o non ho la potenzialità di fare qualcosa sto male. Questo senza contare che sono un freelance senza alcuna copertura assicurativa o malattia e se dico che non posso scrivere fanno spallucce e fanno scrivere a qualcun altro.
Questo senza contare, che piaccia o meno, il bisogno di apparire vivo sui social, produrre contenuti, restare nel loop delle discussioni. Inutile storcere la bocca e farmi notare che sono bisogni indotti dalla cultura della performance, dalla FOMO, dall’ansia social. In parte ne sono consapevole, in parte mi piace dire la mia, far presente la mia voce, anche confrontarmi, altrimenti magari facevo un altro lavoro.
Il lavoro culturale può essere molto frustrante perché a differenza di altri lavori a volte non quantifichi bene il tuo operato con qualcosa di fisico o di misurabile, figuriamoci con una busta paga a fine mese.
Quindi no, non è stato uno di quei bei momenti edificanti dove il protagonista è costretto da un incidente a rallentare e godersi la vita tipo Cars (o Doc Hollywood, tanto sono la stessa storia). Niente #vitalenta, al massimo vita frustrata.
All’impedimento reale di fare qualsiasi cosa o farla a scartamento ridotto si sono aggiunti una serie di pensieri che non hanno reso le cose più facili.
Il più banale di tutti: fare i conti non solo con la cronicità del mio problema, ma col fatto che è una disabilità, vera e propria.
Le lenti a contatto per me sono necessarie per una vita normale, con ogni virgoletta del caso. Sono, di fatto, protesi, stampelle, strumenti esterni al mio corpo che al mio corpo servono per ovviare ai suoi difetti o mancanze.
Fermarsi ha anche voluto dire fermare la palestra e la piccola routine che ero riuscito faticosamente a costruire dentro la mia testa, difendendola dalla mia poca voglia di sollevare pesi senza uno sport che giustificasse la cosa e le lezioni di ginnastica posturale per la schiena. Sono tornati i dolori al collo, alle vertebre lombari, a una spalla, i fianchi hanno ricominciato ad allagarsi, la pancia a gonfiarsi, la faccia idem e la mia autostima è nuovamente sprofondata.
Infine, a scavarmi in testa c’era quell’opzione che è sempre stata ai bordi della scena e che non ho mai considerato per banali questioni di sanità mentale: che succede se i tuoi occhi non funzioneranno più? Che ne sarà delle tue passioni, del tuo lavoro? E quindi, in buona sostanza di te? C’è il trapianto sì, ma non è una scienza esatta.
Che succederebbe se tu fossi improvvisamente costretto a resettare la tua vita, e di conseguenza anche quella delle persone accanto a te, che stai già rendendo peggiore con i tuoi sbalzi d’umore e una depressione latente?
La risposta ho preferito non darla perché, volente o nolente, ho cercato di tornare il prima possibile a lavorare.
Sì, ok io non sono il mio lavoro, essere sempre impegnati non è un valore aggiunto nonostante quello che la società vuol farci credere, il mio lavoro è spesso sottopagato ma il mio lavoro, quando sei una persona che ci mette del suo, è anche qualcosa che in qualche modo ti fa sentire che stai continuando, che non sei fermo, che non sei morto.
E poi il mio lavoro mi piace, scrivere mi piace e mi piace quando per farlo mi pagano in soldi che posso spendere male.
Non ho pretese di universalità quando parlo, perché ognuno di noi traccia i propri cammini secondo ciò che ritiene giusto o utile, io funziono così, come dicevo nella scorsa puntata: sono un pigro iperattivo. Forse non faccio tante cose ma devo avere la possibilità di farle.
E sono abbastanza convinto che anche il falegname che fa una sedia, se ama farla, a volte trova un significato terapeutico nella prima che finisce dopo un infortunio.
E poi, terapia o no, c’era almeno un video da girare per Altri Mondi, c’erano recensioni da fare per Italian Tech, c’era in qualche modo da portare avanti N3rdcore. Fare qualcosa, con grande fatica, era anche un modo per far scorrere le lancette, arrivare finalmente a sera e poter chiudere un’altra giornata, una in meno alla guarigione completa.
Lavorare a occhio
Lavorare in questa condizione è stato complicato, con sprazzi di impossibile, finché non mi è stato concesso di mettere una lente a contatto per qualche ora. Immagino che la vostra giornata di 24 ore vi stia stretta, immaginate una giornata di 4 o 5 ore.
Quando uscivo dalla coltre di rabbia e indolenza le mie ore di cecità mi permettevano di pianificare quello che avrei fatto quando le nebbie si sarebbero diradate e, ancora più importante: ho avuto fortuna.
Ho avuto fortuna coi carichi di lavoro. Maggio è stato un mese di lavoro intenso, ma giugno doveva essere quello di riposo (come era quella sugli dei che ridono quando fai piani?) quindi avevo poche cose certe (i video per Altri Mondi, un paio di recensioni) e altre che ho deciso di mollare del tutto, come una lucertola che perde la coda per sfuggire ai predatori, sperando che ricresca.
E quindi appena vedevo qualcosa correvo a scrivere e girare il video, per poi passare un po’ di tempo su Final Fantasy XVI prendendo appunti su cui riflettere quando non avevo niente da fare. Per fortuna sono riuscito a chiudere Diablo IV appena in tempo, altrimenti sarebbe stato un casino.
Ma cosa sarebbe successo se avessi dovuto bucare le review? Cosa sarebbe successo se avessi avuto press tour importanti o notizie che non potevo non fare, soprattutto nelle prime due settimane dove non vedevo assolutamente niente? Di sicuro ora sono molto sotto pressione per un paio di scadenze grosse che mi aspettano e che occuperanno il resto dello spazio.
Perché, ovviamente, in quelle ore di vista spazio per il relax mica ce n’era.
Ho avuto anche fortuna con le persone attorno a me, che mi hanno aiutato rileggendo i miei pezzi, pure questo, perché scrivere con un occhio solo aumenta la possibilità di refusi, e di non vederli quando rileggi.
E infine ho avuto fortuna perché non vivo da solo e vengo da un periodo buono, quindi non ero in quella fase ansiogena in cui vedi il conto in banca che si deteriora piano piano e non hai grandi piani lavorativi nei mesi a venire.
Però ho anche dovuto fermare completamente le live nel periodo di massima concentrazione di annunci videoludici e questo, al di là del relativo danno a un lavoro lungo tre anni (dico relativo perchè comunque le live sono più un esercizio di public speaking e un modo per restare in contatto con amici e community che una vera opportunità lavorativa) mi è proprio dispiaciuto.
Pur non amando il baraccone delle presentazioni videoludiche stavolta non le potevo letteralmente vedere Un conto è scegliere di ignorare, un conto e doverlo fare.
Ho dovuto rallentare tantissimo con N3rdcore e purtroppo non c’erano molti articoli “in cascina” con cui sopperire il mio stop. Capita con un sito su base volontaria, ho morso il freno.
E forse non è un caso che questo mese mi ha anche fatto ripensare ai miei piani a lungo e medio termine per le live e il sito in sé. Voglio ancora fare queste cose, o meglio, voglio farle così?
In particolare, cosa potrei fare per portare N3rdcore piccolo sito “boutique” a qualcosa di più affermato e in grado di generare reddito e ritagliarsi uno spazio in un settore ormai dominato da grandi siti che fanno carne di porco delle notizie perché “funziona così”?
Mi spiace, forse oggi non vi ho fornito grandi informazioni sul mondo delle notizie, non ho dato consigli, riflessioni o spunti particolari.
Vi ho solo mostrato lo spaccato di una persona che fa il giornalista “puro”. Non ho secondi lavori, non lo faccio per hobby mentre studio o mi costruisco una carriera altrove. Questa è la vita che mi sono scelto e va bene così, ma a volte c’è bisogno di buttare fuori un periodo brutto usando un po’ di scrittura terapeutica e sperare che finisca.
Il mondo dei freelance è pieno di fragilità grandi e piccole di cui nessuno tiene conto, che vengono spesso ignorate perché apparire deboli ti fa apparire anche come quelli con cui si lavora male.
Se cadi un attimo e ti è concesso di rialzarti devi proprio essere fortunato.
Link? Ma sì
Tre pareri sull’ultima fatica di Zerocalcare per Netflix.
Ve lo avevo postato il mio paragone tra Midge Maisel e Ted Lasso a cui tengo tanto?
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.La brutta storia della sigla di Secret Invasion fatta con la IA.
In questo mesetto di cecità ho ascoltato molti podcast, mi è piaciuto in particolare Helvete Inferno, dove si racconta la storia del Black Metal Norvegese. Insomma, di Burzum e alcuni amici.
Dici “Mi spiace, forse oggi non vi ho fornito grandi informazioni sul mondo delle notizie, non ho dato consigli, riflessioni o spunti particolari”, ma invece questa tua testimonianza per me è un pezzo che tutti coloro che dicono di fare il tuo lavoro dovrebbero leggere, perché fa capire che dietro a live, articoli, recensioni ci sono delle persone come te che ci mettono anima, cuore, sudore, fatica, impegno e soprattutto lo fanno per lavoro, non solo per passione e nei ritagli di tempo. Purtoppo constato invece ogni giorno che sono in pochi quelli che cercano di rimanere puri, che non vanno solo a caccia di like, visualizzazioni, nuovi follower, magari mostrando un pacco di pasta o l’ultima edizione limitata che viene fornita gratis per parlare bene di un determinato gioco. Mi spiace per quello che stai passando, sia dal punto di vista medico che personale. Non dispenso consigli, ma ti esprimo sinceramente la mia vicinanza e spero veramente che tu possa tornare a fare presto quello che ami e che noi amiamo come lo fai.