A volte una serie tv è solo una serie tv
Sul grande fronte del giornalismo pop tutto dev'essere iconico, dibattuto, eccezionale o un tema divisivo, ma anche basta.
L’inchiesta di Fanpage continua a essere centrale nel dibattito politico italiano nonostante parte della stampa faccia di tutto per evitarlo e mostra l’unica vera difficoltà della comunicazione di destra moderna italiana: se non può essere vittima non sa come gestire la scena. Se non può dipingersi come minoritaria e attaccata va nel panico e parla di regime come se il direttore di Fanpage fosse il premier.
La cosa più interessante adesso sarà capire come, dopo questo momento di smarrimento in cui è stato detto di tutto, tirando in ballo regimi, limiti della stampa e il classico “non è reato”1, come se qualcuno avesse chiesto il carcere, Fratelli d’Italia cercherà di superare e nascondere la cosa sotto il tappeto e quanto effettivamente adesso potrà ancora presentarsi come una forza moderata.
Oppure, capiremo che effettivamente a molti italiani va benissimo così.
Tra l’altro, pensavo a come sarebbe buffo se applicassimo all’inchiesta di Fanpage il dibattito che avviene quando c’è il leak di un’azienda videoludica. Ve li immaginate i nerd che difendono Meloni perché i leak danneggiano l’Italia e il governo, quindi danneggiano noi?
Oddio, forse sì.
C’è stato un momento in cui discutere delle mie passioni e far diventare le mie opinioni una fonte di reddito era il centro del mio mondo. Sarei esagerato a dire che non è ancora così, ma nel tempo quel quadro che avevo dipinto del mio futuro ha sicuramente perso un po’ del suo colore. I motivi sono tanti, li ho ripetuti spesso e al centro c’è senza dubbio la totale mancanza di prospettive e avanzamenti di carriera che questo settore mette di fronte alla maggior parte delle persone, per non parlare dei soldi in ballo.
Ma un altro grande freno nell’ultimo periodo è stata senza dubbio la scarsissima voglia di partecipare ancora alla continua guerra di quartiere che tocca ogni punto della cultura popolare.
Ogni videogioco, show televisivo, gioco di ruolo e così via sembra ormai destinato a essere inquadrato in una sorta di grande mappa del Risiko in cui conservatori e progressisti battagliano a colpi di retorica, ogni opera viene elevata a rango di nuovo fenomeno culturale che ridefinisce gli standard o reca grave offesa al glorioso passato del franchise.
Io per primo credo che le opere che una volta venivano considerate minori siano fondamentali cartine tornasole della società in cui vengono create, io per primo sono convinto che tutto sia politica e che l’intrattenimento di ogni tipo vada analizzato sia come portatore di senso sia come frutto di un contesto.
Prendimi Fortnite e ti racconterò per filo e per segno i motivi che lo hanno reso importante, parliamo di Rambo e del suo contesto politico, analizziamo le cause del successo di Game of Thrones (su questo ci torniamo dopo), ma è evidente che il bisogno di click e la vacuità di gran parte del giornalismo pop ha ridotto tutto questo a un continuo “rage baiting” in cui si è smesso di analizzare le opere per analizzare il discorso sulle opere.
Pensavo questo leggendo un articolo di Aftermath2 in cui l’autore rivendichi il suo diritto di voler parlare di quanto The Acolyte gli faccia schifo come show di Star Wars senza essere per forza invischiato nelle polemiche culturali su streghe jedi lesbiche, sulle retcon, sulla rabbia dei fan storici, sulle lagne della cultura Woke e sul bisogno di rendere questo show un fenomeno culturale fondamentale.
N.B: Io The Acolyte manco l’ho visto perché il mio rigetto per la voglia di discutere si sta trasformando in un rigetto nel fruire, che siano serie tv, videogiochi, libri. O forse sono solo mentalmente azzerato e passerà boh.
Anche perché questo bisogno è soprattutto il bisogno di una gigantesca azienda di riposizionarsi per piacere di più a un certo tipo di pubblico.
E in effetti non posso pensare che anche io, al di là di non avere più le energie per polemizzare su internet, non ho nemmeno voglia che il mio gradimento o meno di qualcosa sia immediatamente incasellato in una sorta di slot culturale in cui o sei a favore o contro qualcosa e se lo sei c’è sicuramente un motivo altro.
Conosco gente che non ha apprezzato Gli Anelli del Potere ma non voleva dirlo perché poi arrivavano quelli incazzati per elfo di colore a dirgli “vistooooo!!! Era brutto e io lo dicevo da primaaa”. E conosco altra gente che quando gli dicevo che ero partito con le migliori intenzioni ma piano piano ero rimasto deluso cercava di capire se mi avesse fatto schifo perché ero un nerd conservatore da odiare a priori o no.
E invece, pensa un po’, può piacermi Reacher senza che io debba per forza essere un maschio bianco conservatore che porta avanti idee odiose su dio, patria e famiglia (oddio… ci sono momenti della mia vita in cui vorrei avere la possibilità di far saltare un airbag con un pugno) e può annoiarmi un gioco che nasce con le migliori idee inclusive che sento mie, ma non riesce a intrattenermi.
Forse esagero ma Susan Sontag diceva che “L'interpretazione, basata com'è sulla discutibilissima teoria che l'opera d'arte sia composta di frammenti di contenuto, è una violazione dell'arte, trasformata in un oggetto d'uso da collocare entro uno schema di categorie mentali” e per quanto io mi confronti più spesso con prodotti che opere d’arte forse anche la cultura pop di oggi soffre di una bulimia di interpretazioni, spiegazioni, analisi, ipotesi.
Bulimia forse necessaria perché alla fine è la pietra angolare su cui un sacco di gente costruisce il proprio percorso lavorativo (e fate benissimo a farlo, io per un anno ho fatto recap settimanale degli episodi di Game of Thrones e penso di aver odiato ogni secondo, mentre mi è piaciuto analizzare le varie puntate di The Last of Us per il rapporto tra gioco e serie) e della quale c’è ovviamente richiesta. Se queste cose proliferano è perché c’è un pubblico, almeno per adesso.
Nel frattempo tutto questo finisce anche dentro il nostro inevitabile personal branding (parola che ormai odio), perché il giornalista-influencer moderno oggi vive della sua capacità di tenere per sé un piccolo frammento delle cose straordinarie che riesce a raccontarti.
E quindi se tutto ciò che scrivo è assurdo, bellissimo, fondamentale allo stesso modo io che riesco a raccontartelo sarò un po’ così. Quindi ascolta me, leggi me, parla con me e non con gli altri. Così magari altri siti e altri media mi daranno lavoro grazie alle mie capacità di “storyselling” e di renderti anche un videogioco indie tutto sommato modesto, o l’ennesima noiosissima startup, come una piccola chicca che solo io ti posso raccontare così.
A volte le cose ti piacciono e basta, a volte le cose non ti piacciono e basta, a volte una serie tv è solo una serie tv. Non tutto è fondamentale, non tutto è un fenomeno, a volte vorrei solo dire “bah non mi è piaciuta” e ridere comunque di pro e contro con qualcuno che invece si è goduto serenamente quei 40 minuti di fronte allo schermo senza che ci fosse nel mezzo il bisogno di schierarsi.
Soprattutto, per quanto sia importante mostrare i comportamenti più turpi della fanbase tossica, non tutto deve diventare “controverso”, non tutto necessità di una presunta parità di opinioni solo perché hai disperatamente bisogno di quei click. Che poi è quello il punto: ottenere i click degli incazzati, da entrambi i lati della barricata.
Ma il lavoro del giornalismo è anche selezionare, altrimenti sei solo il tritarifiuti dove finisce tutto.
Per dirla come l’autore dell’articolo. “Non vale la pena parlare con le persone a cui non piace uno show televisivo perché ha come protagonista una donna di colore. Non vale la pena ascoltare le persone che inviano minacce di morte riguardo alle modifiche del wiki o che urlano che la tradizione di una serie di film di fantasia è improvvisamente incoerente. Le recensioni degli utenti, una premessa del tutto errata, non sono un argomento serio. Non dobbiamo ascoltare "entrambe le parti" in ogni pezzo di lavoro culturale che finisce sotto i riflettori quando una di quelle parti è una visione estrema, odiosa e minoritaria. È un fallimento del giornalismo”
Link e altre cose
Kaiju No.8 è un manga e un anime di successo che non inventa niente ma fa tutto bene, soprattutto, non ha un protagonista giovanissimo ma un trentenne in crisi.
Nel mondo del fandom e delle fanfiction c’è una cosa importantissima per capire cosa ti piace e cosa no: le etichette, per non parlare della grande purga che ha dato origine ad Archive of our own, oggi il punto di riferimento della fanfic mondiale.
Il Post si chiede se ci metteremo mai d’accordo sui vocali, se lo chiedete a me, vanno bene se non sono cose di lavoro che mi devo ricordare e cercare in secondo momento o su cui devo prendere appunti.
MTV News è morta e con lei sono stati cancellati vent’anni di articoli, notizie, interviste e contenuti che potevano magari essere utili in futuro.
In combo con Heavy Meta trovate anche queste due simpatiche pubblicazioni.
https://www.corriere.it/politica/24_giugno_29/il-consigliere-giudiridico-di-palazzo-chigi-nessun-giornalista-puo-infiltrarsi-in-un-partito-a-rischio-la-democrazia-6b847fac-cd4b-4c26-b1aa-218a6821dxlk.shtml?dmc_cid=3683&cv_id=99339&dmc_gid=353772928&dmc_ch=email&dmc_mid=355794459&dmc_uid=3884617567&uc701=3884617567&utm_source=Iscritti&utm_medium=email&utm_campaign=Charlie&utm_content=Charlie+300624&id=3884617567
https://aftermath.site/the-acolyte-star-wars-controversy-ratings-this-is-all-terrible
Ogni volta che leggo un tuo articolo mi domando perché non ti ho conosciuto dieci anni fa, per offrirti da bere in ogni occasione per ascoltarti su argomenti plurimi. Vedrò di rimediare
“Oppure, capiremo che effettivamente a molti italiani va benissimo così”… ahem. La seconda che hai detto, mi sa.