Appunti per un corso di scrittura -1
Ascolti ciò che stia pensando? Hai la certezza che la creatività sia proprio quella cosa là, anzi, che esista sul serio?
Fatemi iniziare salutando le molte persone che si sono unite la scorsa settimana grazie al passaparola e ad alcuni endorsment diretti, tipo quello di Mafe de Baggis in
, che ha significato veramente tanto, visto la seguo e la stimo da molti anni.Spero di essere all’altezza della vostra fiducia e di farvi leggere qualcosa che vi piace, o magari qualcosa che non pensavate vi potesse interessare. L’unica certezza che ho è questo spazio sembra essere esattamente ciò che cercavo: un luogo terapeutico per riprendere fiato dopo aver corso troppo dietro agli algoritmi e ricordarsi com’era l’internet in cui ho mosso i primi passi: uno spazio creativo, variegato dove il passaparola e la collaborazione erano molto più importanti dello stare nel trend del momento, usare gli hashtag giusti e postare all’ora corretta.
Come sempre, vi ricordo che, finché non decido di attivare gli abbonamenti, Ko-Fi è un buon modo per sostenermi.
Ok, fine del rant da anziano, costruiamo questo corso di scrittura che ancora non ha un titolo.
Imparare ad ascoltarsi
Una osservazione che mi capita spesso di sentire quando le persone leggono un articolo che hanno apprezzato o con cui concordano è “hai dato voce ai miei pensieri” o “hai già detto tutto tu” o magari “esattamente quello che stavo pensando”.
A volte è solo un complimento, a volte credo che sotto ci sia qualcosa di più.
Negli anni mi è capitato spesso di intervistare o scambiare quattro chiacchiere con illustratrici e disegnatori di ogni tipo. In un pallido tentativo di imparare a disegnare decentemente mi sono anche letto dei manuali.
Quello che ho capito è che chi disegna riesce, vuoi per esercizio, vuoi per qualcosa di meno definibile e “innato” a collegare mente e mano, a far uscire ciò che il suo cervello sta visualizzando in quel momento, sfruttando la memoria muscolare e la capacità di coordinare occhio “interiore” e gesto.
Certo a volte usano riferimenti, altri disegni, rimescolano e rielaborano materiale preesistente, ma a quel punto ci arriviamo nel prossimo capitolo.
In qualche modo quelle persone si ascoltano, hanno un forte dialogo interiore che magari inizialmente non è del tutto definito e potrà cambiare direzione, ma iniziano mettendo su carta o schermo le prime parti di quel discorso, per poi definirlo, migliorarlo, spostare degli elementi, toglierne altri, metterci del colore, creare uno sfondo.
ParSe sono fumetti, magari ci sarà lo spazio per un dialogo. Ecco, considerando poi i fumetti, anche dietro un disegno, soprattutto un disegno privo di dialogo, c’è un testo.
E quindi, al di là di tutte le cose che diremo dopo, le strutture, le riletture, lo stile, il saggio, la recensione, il tono di voce eccetera, credo che alla base di tutto ci sia l’esercizio di ascoltare quello che pensiamo e renderlo parole che abbiano senso per noi e di riflesso per gli altri.
Le scalette, l’appuntarsi velocemente l’attacco di un pezzo che ci è venuto in mente guidando, tutti i rituali che ci portano alla concentrazione, compreso il definire un posto che accompagni la nostra scrittura, sono tutti meccanismi che servono a metterci in contatto con ciò che vogliamo dire.
E forse quella bellissima sensazione delle dita che scorrono veloci sulla tastiera mentre tutto attorno il mondo sembra allontanarsi in un brusio ovattato e le parole vi arrivano in testa senza pensarci troppo, come l’automatismo di un atleta, è esattamente il momento in cui il te che scrive ascolta il te che pensa.
Quindi la prima cosa che dobbiamo capire, prima dell’ansia di crearsi uno stile, prima di capire l’importanza della rilettura e di un sacco di altre cose che vedremo più avanti è: come imparo ad ascoltarmi? Come creo questo canale tra le mie capacità di analisi, di pensiero e di costruzione della frase e il testo?
E come posso aiutare gli altri a farlo?
Ma che ti frega della creatività
Come avevo scritto la settimana scorsa mi sto leggendo Ctrl+C Ctrl+V Scrittura non creativa di Kenneth Goldsmith, una raccolta di saggi con un approccio più vicino alla critica dell’arte e alla filosofia che al manuale di scrittura in cui l’autore cerca innanzitutto di dire due cose:
I testi sono ovunque, anche i vostri computer sono pieni di software che altro non è che testo nascosto sotto la superficie (un po’ come le sceneggiature).
La creatività, quella che arriva “dal nulla”, e l’unicità sono falsi miti, soprattutto per chi lavora con testi che sono spesso elaborazioni, rielaborazioni, copia e incolla. Anzi, di base i testi sono sempre stati questo: edifici costruiti con mattoni presi in prestito platealmente o inconsciamente.
Così come un disegnatore usa corpi, modelli, foto e oggetti per ottenere ciò che vuole chi scrive fa la stessa cosa con idee, frasi, costruzioni, metafore. Dobbiamo quindi liberarci dall’ansia e dall’idea di essere a tutti sempre “creativi” e originali. La creatività è spesso il nome che diamo alla nostra capacità di elaborare le informazioni che ci sono arrivate in una forma nuova ma non distante.
Ovviamente all’interno del testo di Goldsmith c’è una forte provocazione ed è interessante che sia stato scritto prima del boom di ChatGPT ma ne preconizzi gli effetti potenzialmente distruttivi su un certo tipo di scrittura, ma c’è anche moltissima libertà nel non sentirsi più schiavi del fatto di essere a tutti i costi “creativi”.
Insomma, essere creativi non vuol dire essere originali. E anche sull’essere originali non mi farei troppe aspettative.
Ovviamente questo cozza con le finalità commerciali di molti corsi, ovvero fare appello alla nostra capacità di volerci migliorare. Quale motivazione migliore per farvi spendere soldi se non quella di farvi credere che alla fine del corso avrete gli strumenti per migliorare la vostra creatività, se non addirittura diventare di botto creativi? Di diventare improvvisamente fontane di idee da mettere su carta?
C’è qualcosa di stucchevolmente romantico nell’atto di scrivere che arriva da un passato che non esiste più, ma è un po’ lo stesso romanticismo stucchevole di chi magari fantastica sulla vita semplice dei contadini e si dimentica le alzatacce, la fatica, il puzzo e i guadagni scarsi.
Chiunque cerchi di vendervi questo concetto, e sono tanti, sanno benissimo che non sarà così. Che la creatività non si trova sotto gli alberi e non si acquisisce con un corso. Certo, un sacco di corsi possono essere utilissimi per rendervi persone creative, ma ha più che fare con “il mestiere”, l’allenamento, la lettura, la capacità di capire se ciò che leggiamo è buono o no, la rilettura e la capacità di auto ascolto che dicevo prima.
Possiamo dunque essere creativi? Si se ci rendiamo conto che la creatività non è una sorta di magico procedimento per cui creiamo qualcosa di nuovo, mai visto e originale ma più la nostra capacità di elaborare, modificare, campionare i testi che conosciamo per comporli in un qualcosa che abbia dentro la nostra impronta.
Qualcosa che funzioni, costruito su impalcature, riscritture, pareri, letture, cancellazioni, rielaborazioni e anche idee rubate su cui abbiamo innestato le nostre.
Oppure, in molti casi, che vada semplicemente bene al cliente che ci ha chiesto di scrivere un blog aziendale.
Ma dei limiti e di come siano favolose fionde per lanciarsi in testi interessanti ne parliamo un’altra volta.
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