Posso insegnarti a scrivere?
Me lo sto chiedendo sul serio, sono in grado di farlo? Che cosa posso e voglio insegnare? Lo sto scoprendo in queste ore e te lo racconto.
La prima cosa che devo dire oggi è senza dubbio grazie. La mail di due settimane fa in cui vi parlavo della crisi che stavo vivendo nel mio lavoro (crisi, ahimè, confermata) ha scatenato un’ondata di solidarietà e dichiarazioni di stima.
Che forse le pacche sulle spalle non ti fanno pagare le bollette ma credetemi, credetemi se vi dico che hanno significato tanto. In questo ambiente quando sei uno come me, che scrive spesso in casa sua, senza una vera vita redazionale e con l’idea che il mondo intero cerchi di correre più veloce di te e non veda l’ora di lasciarti indietro è stato bello vedere colleghi e colleghe, anche gente insospettabile, scrivermi per manifestare la propria vicinanza.
E poi c’è anche stato chi ha gettato ponti, proposto soluzioni, pensato spazi nuovi, ma questa spero sia un’altra storia da raccontarvi più avanti. Anzi no, una di queste soluzioni ve la racconto subito e forse dal titolo l’avete intuita.
Mettersi la giacca con le toppe
Da circa quattro anni insegno alla Scuola Internazionale di Comics nel corso di Game Design, in particolare mi occupo del corso di Storia dei Videogiochi e recentemente anche del corso di Critica Videoludica e di un piccolo corso per gli alunni di grafica per indirizzare la creazione di una rivista-progetto del primo anno.
Insegnare è una cosa che mi piace, anche se, come sa molto meglio di me chi lo fa per lavoro tutto l’anno, può essere un’attività stancante perché per farla bene bisogna impegnarsi molto, leggere il pubblico e cercare di interessarlo, senza dare per scontato di essere le persone con la massima autorità nella stanza ti garantisca l’attenzione. E poi sono pur sempre un fottuto introverso.
Qualche settimana fa mi hanno chiesto di iniziare a pensare a un corso di scrittura, ovviamente non di scrittura creativa, il mio compito non è dirvi come scrivere un libro, ma un corso che permettesse di affrontare saggi, recensioni, social e scrittura per le aziende. Insomma, di fare quello che faccio io.
Ho già fatto in passato delle comparsate in corsi di scrittura dello IED, ma questo è un corso mio mio, dall’inizio alla fine.
Non un corso lunghissimo, parliamo di cinque o sei appuntamenti da tre ore, ma un modo per tastare le acque e capire se c’è spazio per qualcosa di più strutturato.
Come da tradizione ho seguito la mia procedura standard per i nuovi progetti.
1. Andare nel panico ritenendosi un incapace (non nello scrivere, sia chiaro, ma nell’insegnare a scrivere)
2. Documentarmi con tutti i libri di scrittura che potessero essere interessanti.
Ne ho estratto alcune considerazioni interessanti da condividere con voi e penso che questa newsletter possa diventare un interessante laboratorio in diretta di ciò che andrò a insegnare. In fondo nasce anche per questo no?
Heavy Meta è una newsletter che si appoggia interamente sul supporto di chi legge, per mantenerla libera da ogni condizionamento. Se ti piace considera l’idea di supportarmi su KO-FI.
La scrittura non si insegna
Questo non è solo il titolo di un ottimo libro di Vanni Santoni che spiega tutto ciò che dovremmo leggere prima di scrivere ma anche qualcosa che ho sempre pensato.
La prima regola del mio corso sarà senza dubbio che non posso insegnare a scrivere a chi non sa già farlo. Alle basi ci deve pensare la scuola dell’obbligo.
Quello che posso fare e aiutarlo a trovare meccanismi, automatismi, soluzioni a farsi un bagaglio di idee che potremmo definire “il mestiere”. Quella roba che ti fa trovare rapidamente l’attacco, che non ti fa andare in panico di fronte alla pagina bianca, o almeno te lo fa gestire.
In fondo penso che l’approccio debba essere simile a quello di un terapeuta: non elimino l’attacco di panico, ti fornisco gli strumenti per gestirlo finché non sparisce. Con il parlare in pubblico ha funzionato.
Quello che cercherò di fare, è trasmettere quello che ho imparato in questi anni e soprattutto far capire che chi scrive bene ha imparato ad ascoltarsi.
Esattamente come chi disegna crea un ponte fra la sua immaginazione, lo strumento da disegno e il foglio o lo schermo, chi scrivere bene ha imparato a dare forma ai suoi pensieri e metterli bene sulla pagina. Avete presente quando qualcuno dice “è quello che pensavo/l’avrei detta così/ha espresso il mio pensiero”? A quello dovremmo aspirare, a essere per qualcuno quell’emozione per procura di vedere ciò che pensi fuori dalla tua testa.
Ma ognuno si salva da solo, quindi io posso anche creare schemi per procedere nel pezzo, darti dritte per un buon titolo e spiegarti cosa non va, ma se non hai delle basi o se non eserciti queste abilità c’è poco da fare.
Lavoro Manuale
La prima cosa che ho capito cercando un po’ di manualistica è che come al solito mi son complicato la vita.
I manuali di scrittura di solito si dividono in categorie ben precise: ci sono quelli che ti insegnano la scrittura creativa e a scrivere un libro, con tutte le eventuali varie nicchie su crime, fantasy, sci-fi eccetera e quelli che ti insegnano il copywriting o la scrittura per le aziende.
Poi c’è un piccolo arcipelago di libri sullo “storytelling”, qualche sepolcro imbiancato coi manuali di giornalismo e il tempio dei manuali/biografia di autori e autrici famose in cui titaneggia On Writing di King.
Insomma, per ogni idea di scrittura c’è un manuale ma non per la mia, che viaggia tra il giornalismo e la scrittura personale, tra il saggio e il testo per le aziende.
Perché tanto, mi son detto, è inutile che formi queste persone per fare una cosa sola, perché una cosa sola non la faranno mai, meglio renderli coltellini svizzeri che spade affilate.
Quindi in queste ore ho riempito la scrivania di manuali vecchi e nuovi, aggiornandomi anche un po’ su tecniche e idee che magari non ho mai usato e che potrei provare a implementare. Posto che ormai sono un vecchio arnese con le sue idee difficili da cambiare.
Cosa ho imparato? Che per fortuna alcune delle idee che avevo in mente sono presenti nei manuali e che potrei sintetizzare con:
1) Imparare a scrivere vuole dire imparare soprattutto a leggere e capire cosa non funziona nei testi proprio e altrui.
2) L’unica soluzione per imparare a scrivere e… farlo, sbattendoci la faccia come tutto e i manuali sono come leggere il manuale di un aereo e pensare di saper volare. Ti servono nei momenti di crisi ma il resto ce lo mette la pratica.
3) Però se chi scrive già di aiuta spiegandoti come ha fatto può essere utile. Perché insegnare a scrivere non vuol dire “scrivi così” ma “pensando in questo modo potresti arrivare a un buon testo”.
4) Che in molti manuali si utilizzano schemi, schemini, schemetti e che io non ho mai schematizzato più di tanto (e forse ve ne avevo anche parlato) e forse dovrei imparare a farlo, perché le persone amano gli schemi.
5) Che insegnare sarà un’esperienza interessante soprattutto per me, perché sta diventando un momento per fissare tutto ciò che ho imparato in questi anni di redazioni, revisioni e tanto lavoro da autodidatta.
6) Che la “creatività” è un falso valore da inseguire in un mondo che trabocca di testi e in cui la maggior parte del lavoro di chi convive si basa sul cercare, rileaborare, adattare, mescolare. Su questo punto tornerò probabilmente in futuro. Sto leggendo Ctrl+C, ctrl+V (scrittura non creativa) di Kenneth Goldsmith e lo trovo molto interessante come approccio “distruttivo” alla sacralità del testo.
Sarà molto interessante condividere questo cammino con voi, soprattutto spero lo sia per voi.
In questo momento sto avendo un’idea folle: raddoppiare le uscite della newsletter. Il sabato il consueto commento al ciò che sta succedendo, il mercoledì un post di lavori in corso sul corso di scrittura e su ciò che posso trasmettere.
Magari le parti in cui racconto il corso potrebbero far parte del famoso abbonamento a cui sto pensando.
C’è anche l’idea di sfruttare il comodissimo servizio di podcast di Substack che permette anche di pubblicare su Spotify e che potrebbe tornare utile per qualcosa che potrebbe essere o rapido e veloce (quindi giornaliero) oppure settimanale e più ragionato.
Ci devo pensare, anche perché progettare, come ho capito, è qualcosa che mi fa star bene.
Secondo voi cosa dovrei fare? Il vostro feedback è essenziale in questi casi, perché non scrivo nel vuoto, ma in un rapporto di scambio con chi legge (e siete sempre di più, grazie per aver fatto girare la voce!)
Link e altre cose successe in settimana
Francesco Tanzillo ha scritto un bel pezzo che mescola i videogiochi che diventano lavoro e le combo.
Alessandro Palladino ha intervistato gli sviluppatori di un gioco indie.
Io ho scritto dell’ottimo “La vita della mia ex per come la i mmagino io” e ovviamente la settima di The Last of Us.
Ford ha brevettato l’auto che torna al concessionario se non paghi.
Credo che se dovessi consigliare oggi un mercato dell'informazione italiana in cui non andare sarebbe proprio il settore videoludico, a meno di non essere dotati di una sconfinata passione per una missione quasi impossibile e di una famiglia ricca alle spalle. Detto questo, ovviamente non voglio insegnare a scrivere di tutto, proprio perché ogni ambito ha competenze specifiche, vorrei occuparmi più dell'approccio alla scrittura e non come si scrive di un film, di un videogioco ecc. Altrimenti mi servirebbe un corso come minimo triennale.
È un’ottima idea proporre un corso per chi voglia scrivere in ambiti diversi da quelli della narrativa o del giornalismo classici. Parlare, analizzare, esaminare i videogiochi e tutto quello che orbita attorno a questo mondo multisfaccettato e importante, perché ogni medium ha un suo lessico, un suo modo diverso di approcciarsi al prodotto culturale. Saper scrivere bene non sempre significa saper ben scrivere di un determinato argomento, parlare di libri, di cinema, di videogiochi necessità di approcci diversi sia per quel che riguarda il linguaggio che le aspettative di un pubblico diverso. È vero che ormai il termine “meta”, ovvero le contaminazioni tra i vari generi e le loro interdipendenze, è sempre più in auge, ma parlare ad esempio della serie di “The Last of Us” è completamente diverso rispetto a parlare del gioco: cambia il linguaggio descrittivo, le considerazioni in merito alla fruibilità di media diversi, seppur intersecanti. Ogni universo ha la propria fisica culturale e descrittiva, il peso specifico di ogni considerazione deve essere ponderato con cura, perché il fruitore finale di un articolo, di un saggio, di una recensione è diverso, anche se apparentemente possono essere lə stessə persone, ma il loro interesse cambia a seconda di come fruiscono del medium. Buon lavoro Lorenzo, vista la tua estrema dedizione e il tuo impegno, so che farai un ottimo lavoro