Come si gestisce un sito di videogiochi: intervista a Stefania Sperandio
La caporedattrice di SpazioGames.it vi racconta un po’ come funziona il suo lavoro, come ha iniziato, quali profili si cercano oggi e come si sopravvive tra click e qualità.
Ciao bella gente, spero che i vostri progetti stiano andando alla grande, io, spinto dall’ondata di micropodcast sto seriamente pensando di fondare l’ennesimo progetto da max dieci minuti, sempre dedicato alle notizie, ma ne parleremo poi.
Una delle cose che avevo chiare pensando Heavy Meta era che avrei voluto intervistare chi in questo settore ci lavora, chi ne tira i fili e detta i ritmi. Tra queste persone c’è senza dubbio Stefania Sperandio, caporedattrice di SpazioGames.it, unica donna nel suo ruolo, credo, e una delle pochissime con ruoli di rilievo nel settore in generale.
Ecco cosa ha raccontato ai microfoni di Heavy Meta, come dicono quelli bravi.
Ci racconti un po’ il tuo percorso professionale fino a Spaziogames?
Penso faccia sorridere dirlo, ma è iniziato… leggendo le riviste. Ero una bambina fuori dagli schemi che spendeva le paghette per comprare le riviste di videogiochi. Ovviamente mi interessavano soprattutto i dischi demo, per scoprire qualcosa di nuovo, ma leggevo avidamente tutte le pagine e mi dicevo “sarebbe bellissimo scrivere di videogiochi”, partendo dal fatto che già amassi scrivere di qualsiasi cosa. Ai tempi dei 56k, cominciai a scrivere qualche recensione qua e là sui forum della Rete e, incredibilmente, successe tutto per caso: non stavo cercando di entrare in nessun sito, volevo solo postare le mie recensioni. Eppure, nel 2005 venni contattata da un responsabile di un sito specializzato che mi disse di essere stato colpito positivamente dagli articoli e mi chiese se mi andasse di scrivere sul sito per cui lavorava. Insomma, quando dicono che le cose succedono per caso, un fondo di verità c’è.
Rimasi lì per sei anni e successivamente decisi di cercare un’altra casa, mi occupai soprattutto di recensioni, provati e approfondimenti. Collaborai con diversi siti un po’ più di nicchia, fino a quando non seppi che SpazioGames.it stava cercando nuovi newser. Considerando che da anni, con mio fratello, avevo lanciato un fansite dedicato a Metal Gear in cui scrivevamo le news insieme a un team di altri appassionati, non mi sembrava di essere fuori posto, a dedicarmi alle notizie. Mi proposi, ma non venni selezionata.
SpazioGames ripropose lo stesso annuncio qualche mese dopo e decisi di riprovarci. Questa volta mi contattarono e il 14 febbraio 2012 entrai nella redazione come newser. Da allora sono successe un po’ di cose. Tra il 2015 e il 2016 diventai io stessa responsabile della sezione notizie del sito, ma nel frattempo avevo iniziato a occuparmi anche di approfondimenti, recensioni e di qualche evento e fiera.
Dal 1 febbraio 2020 sono diventata caporedattrice della testata e da allora ne coordino tutte le attività editoriali.
Come si svolge la tua giornata tipo?
Sono una di quelle persone che sul banco di scuola tenevano le penne e le matite allineate: dietro la penna rossa, poi la blu, davanti la nera e poi la matita. Penso sia un buon riassunto di come imposto la mia giornata tipo. Ho bisogno di avere chiaro in mente cosa si sta muovendo e dove si trova ogni pezzetto del puzzle.
In ogni giornata sento tante persone, lavoro con un team di circa venti redattori ma anche i contatti con l’editore – e le altre realtà dell’editore stesso – sono costanti, su base quotidiana, insieme a quelli con le agenzie e le aziende con cui collaboriamo.
C’è tanta calendarizzazione, tanto da appuntare e soprattutto tanto da monitorare e analizzare per capire cosa fare da qui a una settimana, a un mese e così via. So che molti pensano che gestire una verticale sui videogiochi idealmente significhi “puoi giocare gratis tutti i giochi che vuoi!”, ma è molto più organizzativo, molto più logistico di così.
Se pensassi al mio lavoro come un “posso giocare quello che mi pare e mettere la mia firma sulle recensioni più importanti”, tutto smetterebbe di funzionare.
La mia giornata tipo è un po’ quella dell’allenatore che deve conoscere ogni membro della sua squadra per mettere il centravanti nella condizione di fare gol, ma anche tutti gli altri giocatori in campo nella condizione di dare il meglio, ciascuno con i propri talenti: con solo il centravanti non si vince.
E sono felice che nella mia giornata tipo ci sia ancora tanta scrittura, perché è sempre quello che mi viene più naturale. Quando ho sentito chi dovevo sentire, ho tracciato quello che dovevo tracciare e pianificato quello che c’era da pianificare, amo continuare a scrivere, ragionare, analizzare tutto quello che riguarda i videogiochi.
Quali strumenti utilizzi per tenere traccia dei flussi di lavoro e per non accavallare le richieste dei vari collaboratori?
Sono una persona che prende tanti appunti. Immagina qualche decina di fogli excel che aggiorno ogni mattina, dove appunto letteralmente tutto quello che arriva, quello che è in lavorazione, quello che è in uscita e quando, chi se ne sta occupando, su che piattaforma può lavorarci. Lo affianco a un Calendar sempre aggiornato, dove appunto la scaletta delle pubblicazioni per le singole giornate, le scadenze, le call.
Uso anche diversi strumenti per appuntare piccole task: potrebbe essere Todoist come la lista delle cose da fare di Alexa, sono strumenti dove appunto cose che non posso fare immediatamente, come “ricordati di rispondere a X”, “verifica embargo Y” e cose del genere.
Infine, non ho mai perso l’abitudine di prendere appunti a manina. Dal momento che ero strapiena di quaderni e post-it, ma odio il disordine, ora lo faccio usando un iPad e una Apple Pencil: appunto in questo modo soprattutto idee, scalette e cose simili da proporre alla redazione.
Come cerchi di selezionare le notizie?
I newser seguono delle linee guida che ci diamo su base regolare. Per ovvi motivi non entro troppo nel dettaglio, ma è fondamentale comunicarsi dei punti chiave: ho il privilegio di lavorare con delle persone molto reattive e che conoscono davvero bene la materia che trattano e il mondo della comunicazione online.
È importante studiare gli argomenti, tenere traccia della risposta dei lettori e valutare quanto peso dargli o non dargli tra i contenuti futuri.
Per farti un esempio, è così che scopri che un gioco è particolarmente nelle corde del tuo pubblico e allora puoi dedicare due notizie a come sta procedendo il suo sviluppo, anziché una. Allo stesso modo, scopri che alcuni temi potenzialmente forti sono invece poco attraenti, e rimoduli di conseguenza, magari passando da due news a una.
Poi, ovviamente, ci sono delle breaking news che sfuggono a qualsiasi premeditazione, che sono pura cronaca di settore. Un’acquisizione, un annuncio di primo piano, non ha bisogno di passare nelle maglie strette della selezione. Allo stesso modo, ci sono alcuni contenuti che decidiamo di proporre perché magari riteniamo che abbiano del potenziale, o perché riteniamo importante quello che possono dire ai nostri lettori, a prescindere da quante persone effettivamente li leggeranno.
In questo modo si può evitare di inondare il sito di 60, 80 o anche 100 news giornaliere: se ne selezionano di meno e nel modo più bilanciato possibile, per approfondirle di più.
Quanto è complesso bilanciare l’inevitabile bisogno di visite e click con quella che mi sembra una voglia palese di elevare il settore rispetto ai suoi aspetti peggiori?
Ti ringrazio per questa osservazione! Sicuramente è complesso, perché al di là dei videogiochi, purtroppo è sotto gli occhi di tutti che non solo la leggerezza, ma semplicemente il trash, o il pruriginoso, siano calamite per le attenzioni del pubblico. Tutti invocano Ulisse, ma poi non perdono una puntata di Temptation Island – se mi passi l’analogia televisiva.
Dico sempre che i contenuti impegnativi, o di qualità, non si fanno grazie alla risposta dei lettori, ma nonostante la risposta dei lettori.
So che se tutti i siti seguissero semplicemente i numeri, il web sarebbe un mix di segnalazioni di giochi gratis, foto in déshabillé e poco altro.
Penso che ognuno si dia dei paletti su cosa fare e non fare, anche se sai che porterebbe visitatori. Tutti i portali ad accesso gratuito ovviamente monetizzano attraverso le visualizzazioni – anche se non ci sono solo quelle. Ma mai come in un mondo social come questo, è importante anche l’immagine che si dà della propria realtà. Quindi per me c’è bisogno di equilibrio: tenere traccia dei contenuti più forti è un ottimo indicatore, ma non è l’unico. A volte decidi di lavorare a dei contenuti, o di assegnarli, anche se sai che avresti ottenuto risultati dieci volte migliori scrivendo qualcosa di disimpegnato o provocatorio, anziché di informativo e approfondito.
Ma i risultati “dieci volte migliori” tengono conto solo del parametro numerico, non del resto: un contenuto di qualità fa bene a chi lo scrive (il che è fondamentale, per mettere le persone nelle condizioni di fare il loro meglio), fa bene a chi lo legge e fa bene all’immagine della testata. E fa bene al videogioco e a come si dibatte del videogioco, soprattutto in Italia. Ma qua rischio di aprire una parentesi che non finirebbe più.
Secondo te in Italia c’è spazio per una informazione pop (intesa come quella legata a videogiochi, fumetti ecc) migliore o ormai è andata così?
Penso ci siano molti aspetti critici. Ad esempio, durante alcune live su Twitch è capitato che dei lettori chiedessero di alcune dinamiche del nostro lavoro e mi sono resa conto che c’è un forte scollamento tra quello che succede dietro le quinte e quello che il lettore invece pensa che succeda.
Al di là di quelli convinti delle cospirazioni sui massimi sistemi, (“vi paga compagnia Y per mettere 9 a gioco X!”) impossibili da sradicare, penso sia sempre utile aiutare il lettore a scoprire come funziona la realtà quotidiana delle persone e delle testate a cui dà fiducia, con il suo tempo e la sua attenzione – che sono la più preziosa delle valute e il più grande dei complimenti.
Allo stesso tempo, però, in un mercato come il nostro ci sono molti lettori che non riconoscono la scrittura come un lavoro – meno che meno quella dedicata alla cultura pop. Spesso ci si inviperisce se i siti monetizzano con la pubblicità, quando invece propongono un modello in abbonamento ci si guarda bene dall’abbonarsi, e magari se propongono link di affiliate marketing vengono visti in modo sgradito anche quelli.
Praticamente, ci si aspetta che il servizio sia ottimo, ma senza che chi lo ha realizzato monetizzi in alcun modo.
Succede perché lo sforzo di una redazione che lavora online non è, per molti, concepito come un lavoro. Vedo sempre tante persone online vantarsi di usare AdBlock, mi viene in mente come esempio, e poi invocare il bisogno di professionalità e serietà dai siti che visitano, qualsiasi essi siano.
E ancora: non so se capiti nel giornalismo legato a fumetti e cinema, ma in quello legato ai videogiochi, c’è la concezione che il giornalista sia… uno che gioca tanto, e basta. In pratica, la differenza tra chi scrive un post sulla sua bacheca e chi scrive per lavoro sarebbe solo il dove scrive: l’esperienza maturata, le competenze, gli studi — in una visione di questo tipo, niente pesa. Il Paese ovviamente non aiuta, dato che spesso la preparazione e lo studio vengono additati come perdite di tempo, peggio ancora se legati ai videogiochi.
C’è la fortissima convinzione, purtroppo aiutata anche da un settore che non si è mai impegnato granché per dimostrare il contrario, che sia solo questione di fortuna e mai di capacità.
Prova a immaginare lo stesso sillogismo applicato alla critica letteraria o del cinema: “scrive di qua e di là solo perché ha letto molti libri, o ha visto tanti film”. Praticamente, se hai il tempo libero per vedere cinque film al giorno, nel giro di un mese sei un critico.
Sono tutti problemi collegati tra loro, che rendono più difficile di quello che dovrebbe l’arrivare a una ulteriore maturazione dell’informazione. È complice, certo, anche il come il videogioco viene percepito, anche dai giocatori stessi: quando provi un articolo più impegnativo, capitano quelli che ti rispondono scocciati “ma sono solo videogiochi, dai” o, il mio preferito, “i videogiochi facciano i videogiochi”.
Se i primi a sminuire le potenzialità del videogioco sono i videogiocatori, diventa sempre più difficile allontanarsi da un modello bulimico dell’informazione dove si assaggia un po’ di tutto ma non si assapora niente.
Difficile, intendiamoci, ma si fa. È vero che, nell’epoca dei contenuti brevi e a raffica in stile TikTok, le persone si soffermano sempre meno a leggere, ma lo è anche che sono sempre di più quelle interessate ad approfondire quello che amano. Sono molti meno di quelli che preferiscono l’approccio leggero e immediato? Sicuramente. Ma ci sono. Oggi sono dieci e domani magari saranno cento. Alzare le spalle e appiattirsi verso il basso fa in modo che oggi siano dieci e domani siano zero. O, se magari fossero ancora dieci, livellarsi verso il basso fa in modo che di certo quei dieci non vengano più da me.
Lo spazio c’è. Secondo me, in diversi casi c’è anche il coraggio. Ma serve soprattutto la pazienza.
Che consigli daresti a chi vuole iniziare ad avventurarsi in questo settore?
Non avere fretta. Non prenderti troppo sul serio. Non cercare per forza di piacere a non si sa bene chi — vedi di piacere a te stesso. Conosco persone che vogliono affacciarsi nel settore, ma che sono più preoccupate dal dove arrivare che dal dove partire. Come dicevo, per me è iniziato tutto per caso, ma penso che lavorare con pazienza e calma sia di grande aiuto per esprimersi al meglio.
Nella stragrande maggioranza dei casi, in un Paese come questo, non andrà come avevi immaginato, o non andrà affatto.
Ma se discutere di videogiochi ti piace, se scriverne ti piace, se soprattutto studiarli ti piace, tu fallo. A costo di aprire uno spazio tuo, personale. Se sei così motivato che il trattare di videogiochi, o di cultura pop in genere, ti fa stare bene, allora sii ostinato. Se invece è una cosa che ti stressa, ti dà l’ansia di arrivare non si sa bene dove o quando, allora è meglio fare altro, da subito.
La scrittura online in molte occasioni è un mondo inutilmente complicato, non sempre restituisce quello che viene dato e può capitare di imbattersi in realtà che approfittano proprio di quella passione e di quella voglia di fare.
Per rimanere parzialmente in tema, mi viene in mente che ho scritto il romanzo migliore quando me ne sono fregata di se e come sarebbe mai potuto piacere a qualche editore: l’ho scritto per quello che mi dava scrivere, pensando a dove iniziava e non a dove sarebbe arrivato.
Concretezza, pazienza, ascolto di sé e delle proprie inclinazioni, voglia di scoprire dagli altri sono fondamentali. Lo sono un po’ in ogni caso, ma qui in modo particolare.
Che tipo di persone e che tipo di articoli cerca oggi un sito di videogiochi?
Per aiutare l’informazione videoludica a crescere, penso sia importante sottolineare sempre che il lavoro di una testata è corale. Per esempio, SpazioGames non è il sito di Stefania: è il risultato del lavoro di tante persone che hanno come riferimento la stessa responsabile, che fornisce delle indicazioni, delle proposte, delle linee guida.
Lo dico perché per me i siti di videogiochi hanno bisogno di persone armoniche. Internet è un posto dove le persone non fanno che urlarsi una sull’altra e dove basta gridare una cosa dieci volte più forte degli altri perché venga automaticamente ritenuta vera. È un posto pieno di solisti e “primedonne”.
Abbiamo bisogno di chi sa fare o ha voglia di imparare a saper fare, non di chi è il più bravo a raccontare – ancora, ancora e ancora – di saper fare.
Ma ogni scelta deve essere oculata, tenendo conto di quell’armonia: in passato mi è capitato di vedere ambienti di lavoro fratturati in gruppetti proprio perché l’armonia era stata rotta. Dal 2005 a oggi, ho visto stracci volare perché c’erano troppi galli nel pollaio, ad esempio, o casi paradossali in cui, come si dice da me, alcuni volevano insegnare ai padri come si fanno i figli.
Ho imparato da queste cose che il tipo di persona deve essere considerato con in mente l’insieme in cui si inserirà, non in assoluto. Ed è importante saper ascoltare chi lavora con te. Il fatto che tu magari sia la responsabile di una redazione significa che hai l’ultima parola, è vero. Ma non l’unica.
Per il tipo di articoli, penso che per i contenuti scritti ci sarà sempre più spazio per chi affronta il videogioco come un oggetto culturale – e anche come un’industria. Il modello news-anteprima-provato-recensione è obsoleto, rigido, e gli approfondimenti, l’articolo di opinione, la riflessione sull’attualità, l’indagine sono molto importanti. Per crearli, bisogna essere elastici nel fare collegamenti e nel farsi delle domande. Ci sono molti colleghi davvero bravi in questo e mi intriga pensare a quelli che ancora non abbiamo scoperto.
Se iniziassi oggi partiresti dalla scrittura? Oppure penseresti più a video, streaming, Tik Tok ecc?
Penso che scrivere sia la mia cosa preferita al mondo. Scrivere di qualsiasi cosa. Figuriamoci di qualcosa che amo come i videogiochi. Ricordo che da ragazzina a un certo punto, tra i dubbi esistenziali dell’adolescenza, mi interrogai sull’eventualità che fosse possibile o no reincarnarsi, e alla fine mi dissi «in caso speriamo di saper scrivere, nella prossima vita». Credo renda l’idea.
Probabilmente non è la risposta in cui speravi, perché è abbastanza personale, ma non riesco a immaginarmi fare questo lavoro senza la scrittura (a dire il vero ci speravo, anche io nasco e spero di morire scrivendo ndLorenzo). Mi piace molto lavorare con i video e con il tempo mi sono abituata a parlare con la videocamera. Oltretutto sono una nerd di montaggio, luci, videocamere e altri ammennicoli simili, quindi direi che i video long form sono secondi nella mia speciale classifica.
Essendo una persona molto osservatrice, faccio un po’ più una battaglia con me stessa per le live – dopo anni, mi dà ancora più soggezione di quanto dovrebbe la videocamera puntata in faccia per una, due, tre ore di seguito, senza stacchi.
Sicuramente, il web oggi è molto incentrato sulla personalità: abbiamo azzerato le distanze ed è davvero come avere di fronte qualcuno che conosci.
Con il giusto talento, con le loro platee votate alla fruizione immediata streaming e TikTok possono portare riscontri più rapidamente della scrittura, ma dipende tantissimo dal singolo individuo. Le persone hanno inclinazioni diverse e seguire un modello solo perché vedi che funziona per gli altri non significa che funzionerà anche per te, se quello non è un formato di comunicazione con cui stai esprimendo davvero il tuo potenziale.
Non cambierei la mia scelta di partenza, personalmente. Mi sono tuffata su quello che mi piaceva di più, che mi faceva sentire più felice e più me stessa.
E forse è quello il vero motivo per cui quasi 17 anni dopo lo faccio ancora.
Credo che Stefania abbia detto così tante cose giuste e così bene che possiamo fermarci qua, mi limito solo a ringraziarvi ancora tantissimo tutti e tutte per il supporto, i consigli e per le condivisioni. E questo, lo dico solo perché secondo me ci che ha detto Stefania è veramente prezioso, credo sia proprio qualcosa che dovreste condividere (non faccio quasi mai “call to action” ma quando ci vuole, ci vuole).
Alla prossima puntata!