Framing, come ti incornicio la notizia
La sottile arte di isolare quello che ti serve, tralasciando tutto il resto.
In queste ore sto giocando a Prince of Persia – The lost crown, nuovo titolo Ubisoft dedicato a un gioco ormai storico che negli anni ha vissuto molte incarnazioni. Il gioco fa bene il suo lavoro ma… qualcosa per me non è scattato. Il problema è che non so perché.
Sono stanco io delle dinamiche di questo tipo di giochi, a cui in fondo non sono neanche troppo affezionato? Non mi ha preso l’ambientazione? Devo ancora andare avanti un po’ e magari scatta qualcosa? È un gioco trito e ritrito?
Insomma, sono io o sei tu? Non lo so, ma questo ci racconta un po’ quanto può essere complesso parlare di un videogioco, ma anche di altre opere. Perché dietro quel giudizio c’è spesso un dialogo interiore, o almeno ci dovrebbe essere, che cerca di capire se le cose fatte bene o fatte male da un’opera sono merito della tua visione del mondo o di quella di chi l’ha fatto.
A volte ce lo ricordiamo a volte no, ma tutte le notizie hanno non solo un contesto, ma una cornice, ovvero uno spazio che in qualche modo identifica i confini in cui si vuole che quella notizia venga recepita. La chiamo cornice perché in inglese si usa proprio il termine “frame” e l’atto di inquadrare una notizia in un determinato contesto, che magari tralascia tutt’altro, viene definito “framing”.
Il framing ci ricorda che il diavolo sta nei dettagli, che ogni notizia può essere data in modo da suscitare rabbia, indignazione, gioia e, soprattutto, essere modellata per un determinato pubblico. Di solito, il pubblico che costituisce l’audience ideale di un determinato quotidiano/blog/creator o personaggio politico.
Prendiamo il caso Ferragni, puoi decidere di vederla come una donna senza scrupoli che ha truffato dei bambini, come una industriale che ha lasciato troppe cose in mano a dipendenti che le hanno nascosto i dettagli più importanti, come una povera vittima di un Paese che avrebbe ben altro da raccontare!
Posso dire che i civili di Gaza sono “morti”, sono “stati uccisi in una operazione militare” o “ingiustamente massacrati da una forza che ha invaso le loro terre”.
Il framing è come scattare una foto, senza raccontarti come è stata fatta.
Come scrive Antonio Pavolini nel suo libro “Unframing - come difendersi da chi può stabilire cosa è rilevante per noi”: “L’industria dei media sa bene che in un contesto in cui non ha più il controllo della distribuzione dei contenuti, e in cui ha deciso di fare soldi intrattenendoci e non informandoci, l’unico modo per avere il controllo del discorso pubblico è “dare le carte”, cioè dettare le regole che precedono la distribuzione. Stabilire quale sia il palco, e come deve funzionare quel palco. Stabilire l’agenda, il framing e quindi cosa deve essere rilevante per le persone. Poco importa se tutto questo entra spesso in conflitto diretto con il diritto delle persone a ricevere una informazione corretta”.
E per certi versi possiamo dire che i media hanno perso anche parte del potere di rendere rilevanti le persone e devono sempre più spesso adeguarsi e monetizzare. Che è anche la risposta alla domanda “ma perché vedo 3000 notizie su questa cosa che non mi interessa e non su ciò che mi interessa?”.
Anche se, siamo onesti, capita anche che venga trattata quella cosa che non ci interessa, ma magari ci era sfuggito.
Il framing è un ottimo veicolo di marketing, ad esempio quando magari devi mostrarti come un semplice content creator che vive delle donazioni dei suoi spettatori, quando magari stacchi assegni per sponsorizzazioni a molti zeri. Quando ti poni come il giornalista che “dice le cose come stanno” e invece dici solo quelle che ti tornano comodo per fare antipolitica, o peggio, quando dici di aver fatto successo “nonostante gli hater” quando magari non ce ne sono. (Sotto questo punto di vista consiglio Critica della vittima).
Il framing è una tattica molto usata anche quando si parla di cultura. Ad esempio, quando magari si punta ai nostalgici dicendo “prima si che le opere erano innovative”, quando invece ci sta che fossero mezzi plagi come oggi. Sotto questo punto di vista è sempre molto istruttivo questo video che riguarda Indiana Jones.
Un classico esempio di framing è quello utilizzato per racimolare click da quella grande massa di persone incazzate nere contro la “cultura woke” qualsiasi cosa essa sia. Soprattutto quando la wokeness colpisce opere ormai storicizzate, oggetti sacri come le fiabe Disney o fandom particolarmente tossici.
E per quanto io creda che il capitalismo woke non meriti il nostro rispetto né il nostro appoggio, perché è semplicemente l’ennesimo trucco dell’agente di Elvis che vendeva sia le spille con scritto “Amo Elvis” che quelle con scritto “Odio Elvis”, sosterrò sempre scelte inclusive e che fanno incazzare transfobici, razzisti e gentaglia varia.
Volete un esempio perfetto di framing?
Sharmeen Obaid-Chinoy è stata indicata come regista del prossimo film dedicato a Rey nella saga di Star Wars. Rey non è un personaggio particolarmente amato da parte del pubblico, anche ma non solo perché rappresenta i disastri narrativi della terza trilogia.
Obaid-Chinoy ha detto che era pure l’ora che una donna dirigesse un film di Star Wars, anzi, ha usato la parola “shaped” cioè, “modellasse”. Tralasciamo le vocine nerd dentro di me che vorrebbero tirare in ballo l’importanza di Marcia Lucas nella creazione di Star Wars o il fatto che comunque da anni ci lavora Kathleen Kennedy, registe donne non ce ne sono state e, in fondo perché no.
Come affermazione ci può stare e credo sia anche consapevole del fatto che sia una frase che vuole andare a colpire certa gente. (Un giorno magari parliamo pure del trigger come strumento di marketing aka “se sta per uscire il mio film dirò che i cinecomics non sono cinema”)
La “certa gente” infatti ha propriamente risposto con un esempio perfetto di framing disonesto.
Non so se conoscete Ted Cruz, è un politico americano reazionario, trumpiano, con tutto il corollario di no all’aborto, agli immigrati, ai diritti per le persone LGBTQ+, si alle armi e così via. È il classico personaggio, insomma, che inviti in TV se vuoi fare un bello show e avere dichiarazioni che rendano la tua trasmissione notiziabile.
In queste ore Cruz ha riportato le parole di Obaid-Chinoy in cu dice che lei vuole far sentire gli uomini non a loro agio. Lo ha ricondividendo le parole di Matt Walsh, autore, commentatore e attivista di destra. Una persona in grado di scandalizzarsi se dici che una regista donna ci sta per Star Wars ma che nel 2022 ha scritto un libro in cui paragona l’essere una persona trans con l’identificarsi con un tricheco, raccontando di un bambino che viene forzato dalle “persone di internet” a mangiare pesce crudo e a diventare un tricheco tramite operazione.
In parole povere, un transfobico di merda, ma anche la classica persona che ritiene non si possa più dire niente per colpa del politicamente corretto, amplificando il suo messaggio su ogni piattaforma possibile, sapendo bene che può contare su milioni di commenti che lo difendono e altrettanti che lo attaccano, per somma gioia dell’algoritmo che lo tiene a galla.
Sempre da Unframing: “I contenuti polarizzanti, legati alla stretta attualità, e che fanno leva sull’appartenenza identitaria, che oggi ti imprigionano nelle discussioni online, sono più o meno lo stesso petrolio che ha fatto funzionare la televisione degli anni ’80 e ’90. un progressivo sdoganamento dell’hate speech nel discorso pubblico, online e offline, semplicemente perché l’hate speech, economicamente, funziona”
Un giorno dovremmo dire che sì, forse i contenuti woke sono fatti per calcolo e piacere a un pubblico, ma anche i contenuti fortemente “anti-woke” sono esattamente la stessa cosa, eppure va benissimo così. Ma sto divagando.
Le parole di Obaid-Chinoy sono vere, ma, ecco il framing: le ha dette molti anni fa. La regista pachistana, infatti, ha già vinto due oscar per due cortometraggi, uno dei quali “Saving Face” parla di due donne sfregiate con l’acido e del loro cammino per ottenere giustizia e guarire dalle orribili ferite.
La frase risale a otto anni fa e riguarda il fatto che lei ama mettere in difficoltà gli uomini che sfruttano il potere patriarcale. Non ha niente a che vedere con Star Wars. Certo, lei è una persona politicamente schierata ma hey, l’ultima volta che ho controllato l’Impero era una chiara allegoria del nazismo.
Sta di fatto che la sua frase è presa, estrapolata dal suo contesto, messa nella cornicetta giusta e data in pasto a orde di gente con la bava alla bocca che segue i grandi vati della cultura pop su YouTube e personaggi come Cruz e Walsh.
È un caso come tanti di manipolazione dell’informazione e della rabbia di un determinato gruppo di consumatori. E funziona praticamente sempre.
Insomma, a volte guardiamo il quadro troppo da vicino e quando vediamo solo cose che non ci piacciono magari conviene fare un passo indietro e vedere cosa resta fuori dalla cornice.
Link e altre cose interessanti
Il rapporto tra videogiochi e film nell’intervista agli sviluppatori di As Duks Falls.
Pare che il nuovo True Detective sia una figata.
Sapevo che
avrebbe fatto un articolo sulle console debug e i bei tempi in cui l’anteprima di un videogioco aveva senso e il pezzo non ha deluso.So anche che nessuno mi appassiona al marketing delle cose banali come
ma forse non sono cose così banali.Vuoi farti venire voglia di scrivere? Leggi l’ultima di