Gli scontri culturali non vanno in vacanza
Ma io sì, e infatti capita di prendere un abbaglio che ti ricorda la complessità che dovrebbe far parte di questo lavoro.
Quando dico che la vita da freelance è complicata non è soltanto la posa del soldato di ventura che si appoggia alle sue armi fra una battaglia e l’altra per impressionare gli avventori e farsi offrire da bere. A volte è veramente una specie di strano ping-pong di emozioni. Vi faccio un esempio.
In questi giorni un italiano ha vinto una delle varie categorie dei campionati del mondo di Pokémon, classico momento in cui i videogiochi bucano la bolla e possono arrivare all’uomo della strada. Scrivo della cosa a uno dei miei referenti la mattina, mi risponde “ok facciamola il prima possibile” più tardi, mentre sono appena entrato al supermercato e sto prendendo della frutta.
Che palle, adesso mi tocca fare di corsa.
Prendo tempo, spiego la situazione, intanto inizio a prendere un po’ d’informazioni mentre arraffo quello che mi serve e cerco di arrivare alla cassa il prima possibile.
Mentre sono in fila per pagare mi scrivono di nuovo, scusandosi, perché nonostante io abbia segnalato la notizia a scriverla sarà la redazione locale lombarda perché il tizio è di là e sono ingolositi dai click. Ne parlerà dunque una persona che non ha mai scritto in vita sua di videogiochi, figuriamoci di Pokémon.
E non è che ci siamo molto altro da dire: Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare.
Questioni scimmiesche
L’estate è quel momento in cui abbassi la guardia perché pensi che il resto del mondo sia con la testa in spiaggia come te e inevitabilmente qualcosa sfugge al tuo controllo. Soprattutto in un contesto in cui scrivere di videogiochi è diventato un campo minato di contesti culturali, ludici e sociali.
Si parla di videogiochi ma, come dico sempre, seguitemi anche se non vi interessano, perché quello che accade qua accade per mille altre cose che vi interessano di più.
Ero proprio in spiaggia quando mi è passato sotto gli occhi lo screenshot di una recensione di Screenrant di Black Myth: Wukong, gioco cinese che si rifà in qualche modo al racconto del Viaggio in Occidente, in particolare al re scimmia Sun Wukong, a cui ha attinto anche il personaggio di Goku di Dragon Ball (il bastone che si allunga e la nuvola per viaggiare vengono da qua). Parliamo di una delle opere più amate, citate e lette del mondo.
Nello screenshot leggo che tra i difetti del gioco ci sarebbe una scarsa attenzione per quanto riguarda diversità e rappresentazione. E, memore anche di quanto scritto tempo fa, posto una storia su Instagram sbuffando sul fatto che questo genere di discorsi sono i primi alleati dei piagnistei contro il politicamente corretto.
Tornato a Firenze mi rendo conto che avrei fatto metto a postare un’altra foto del mare invece che postare quell’immagine, perché la situazione è ben diversa e lo scopro dalle storie di un collega, Andrea Sorichetti di Round Two, che mi ha messo la pulce nell’orecchio parlando dei comportamenti pregressi dei fondatori dello studio di sviluppo.
Buuu femminismo
In poche parole: i codici del gioco sono arrivati con delle linee guida ben precise. Alcune standard, come il rispetto degli altri giocatori e di evitare linguaggi offensivi nei contenuti, altre molto meno, come il divieto di includere “politics, violence, nudity, feminist propaganda, fetishization, and other content that instigates negative discourse.”
Ma anche il divieto di usare parole come isolamento, quarantena o COVID-19 e infine non discutere di argomenti relativi all’industria videoludica cinese, le sue politiche, eventuali notizie eccetera.
Insomma “parlate solo del gioco, non parlate di altro”. Che può anche essere una richiesta legittima, ma fino a un certo punto. Perché farlo vorrebbe dire ignorare come i prodotti culturali vengono analizzati da sempre, soprattutto in questi anni.
E, aggiungio, anche come vengono realizzati. Capisco che non vogliamo sapere come nascono le salsicce, ma spesso i videogiochi sono ambienti dove prosperano superlavoro, abusi, sessismo, mancanza di tutele per i lavoratori e così via.
Il fatto però è che in questo caso i primi a scendere in campo nel grande conflitto culturale che è oggi la cultura pop sono stati proprio i capi di Game Science, lo studio di sviluppo. In un lungo articolo di IGN vengono riportati anni e anni di allusioni sessuali, commenti sessisti, insinuazioni sull’abilità delle donne nei videogiochi e persino commenti sul fatto che volendo è possibile masturbarsi su uno dei (pochi) personaggi femminili di Wukong, basta coprire con la mano il suo corpo di serpente. Non mi sto inventando niente.
Ovviamente tutto questo è diventato l’ennesimo fronte privo di sfumature e Wukong è diventato il gioco da promuovere a tutti i costi per osteggiare la cultura woke o da affossare a tutti i costi per non dare spazio alla propaganda cinese maschilista. Nel mezzo ovviamente c’è anche la costante crescita della scena videoludica cinese e la sua importanza sempre maggiore, importanza che scopriremo quando Wukong parteciperà ai prossimi Game Awards.
Se ve lo state chiedendo, il gioco sta vendendo molto bene e le recensioni sono generalmente positive, ma non credo che questo voglia automaticamente dire che hanno vinto i maschilisti. Molta gente semplicemente voleva finalmente un gioco interessante col graficone in un anno un po’ scarico e non ha la minima idea di cosa si agita dietro il sipario. C’è gente che da anni vive serena senza sapere cosa dice la Rowlings, per capirci.
C’è anche chi pensa, come sempre accade, che tutto ‘sto casino per un gioco nella media sia troppo.
Insomma, sì, a volte le opere vengono lette con una lente meno attenta al contenuto e più a un’idea rappresentazione globale (che è sempre una scelta commerciale, o quasi), ma in questo caso la situazione è più sfumata, più complessa e senza dubbio differente.
E questo dovrebbe darvi un’idea su cosa è (o potrebbe essere) il complesso universo del giornalismo pop oggi. Questo o “le 5 cose che…” o gli articoletti che sembrano scritti con ChatGPT.
Inoltre, tornato a casa mi sono pure letto la famigerata recensione di Screenrant che oltre a notare la mancanza di diversità e lanciare alcune frecciatine agli sviluppatori che pensavano di fare un gioco difficile “da uomini” e invece sono usciti con un prodotto accessibile, analizza il gioco con equilibrio, fino a promuoverlo. Insomma, pure io condividendo quell’immagine avevo contribuito a un pregiudizio sbagliato. Intanto la gente si è incazzata così tanto per quel giudizio che hanno dovuto oscurare il nome di chi ha scritto la recensione per evitare ripercussioni.
A questo siamo arrivati, al fatto che se qualcuno recensisce un gioco in un modo che non ci piace quella persona deve nascondersi per evitare casini.
“Ok ma ha senso mescolare questioni tecniche e sociali?”
Non esiste, ovviamente, una risposta univoca, esistono tante risposte quanta è la gente che recensisce e quella che legge. Personalmente, credo che abbia senso, ma dipende dal gioco, dal contesto, dal momento. Così come ha senso recensire gli aspetti più tecnici e quelli narrativi, ha senso farlo con gli aspetti sociali.
Banalmente, perché magari per una persona non hanno senso, ma per altre sì. E quindi forse potranno non essere l’aspetto più importante nel voto finale (fanculo i voti) ma credo che siano qualcosa di cui tenere conto. Sono scelte che si fanno per costruirsi una professionalità, una voce, un contesto. Scelte che magari a volte si pagano pure care, soprattutto in un settore in cui gran parte del pubblico odia “la politica” (aka: tutto quello che non gli piace o stride col giocattolo del momento), ma preferisco fornire ogni aspetto a chi mi legge, per formare un giudizio completo. Preferisco insomma dirti se stai pagando con i tuoi soldi un pezzo di merda o qualcuno che i tuoi soldi li merita, pur essendo tutti consci dell’impossibilità di un vero consumo etico nel contesto in cui viviamo.
Ma tanto poi chi le legge ancora le recensioni? Al massimo leggi il box sintetico alla fine e ti fai triggerare. Ouch.
Link e altre cose
Intanto i link del tag team
C’è questa enorme analisi di IGN di una persona che è stata essenziale per la comunità disabile nei videogiochi e che a quanto pare avrebbe costruito la sua posizione su un mucchio di bugie e finte partner, ma ci torneremo.
Beh, che dire.
Ho scritto della gamma Neo di Elgato, ovvero un tentativo di andare oltre i gamer dell’azienda leader nella roba da streaming.
L’uomo che si è inventato Times Square.
Cosa c’entrano gli yaoi (ovvero i manga che raccontano l’amore fra due uomini) con le agitazioni sindacali degli animatori?