Harry Potter e la pietra dello scandalo
Come facciamo quando un prodotto di grande successo fa capo a una persona incline a uscite poco piacevoli?
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Il tema di oggi è spinoso e già so che mi troverò lunedì o martedì a pentirmene perché incapace di stare dietro alle eventuali polemiche che trascinerà con sé.
La frase che ho appena detto è paradossalmente già parte della discussione, perché oggi voglio parlare di tutti quei lati meno piacevoli su cui a volte sorvoliamo quando andiamo a parlare dei prodotti culturali e del perché lo facciamo.
Il primo motivo, un motivo giusto, umanissimo, condivisibile e che mi sento di sposare: nessuno ci paga per stare dietro a giorni di polemiche su internet dopo che abbiamo condiviso un punto di vista che rischia di scatenare discussioni. Quindi perché stuzzicare il vespaio? Abbiamo visto che la trigger economy e gli atteggiamenti polemici sono senza dubbio un buon modo per attirare attenzione, click e magari pure lavoro se diventi l’editorialista che “dice le cose come stanno”, ma non vale per tutti e non funziona per sempre.
Ci sono persone che nelle polemiche si trovano a proprio agio, altre molto meno, altre ancora che hanno uno spirito polemico, ma che si esaurisce presto, perché trovano presto di meglio da fare (tipo me) e poi se vieni etichettato come quello polemico ogni giorno devi trovarti il tuo cristo da mettere sulla croce.
Ma torniamo sul punto, la questione di oggi è “Come gestiamo la copertura di prodotti che alla base hanno autori e autrici o aziende controverse?”
In poche parole: come si gestisce l’uscita di un gioco come Hogwarts Legacy? Giusto per fare un esempio calzante?
Da regina a strega cattiva
Partiamo con ordine e mi scuso fin da subito se in questo riassunto veloce scriverò delle inesattezze. Negli ultimi anni J.K. Rowling è passata dall’essere la paladina di molti e una alleata della comunità LGBTQ+ al ricoprire il ruolo di personaggio controverso e transfobico, pur mantenendo le sue connotazioni di figura al fianco delle tematiche di genere e femministe.
Per chi fosse all’oscuro di questo paradosso, tra le varie forme possibili di femminismo c’è anche quello TERF, sigla che sta per Trans-exclusionary radical feminist, che professa l’esclusione delle persone transgender da ogni forma di discorso femminista e non si può dire che ne promuova i diritti. È una corrente, presumo, minoritaria, ma che come potete immaginare trova facilmente sponda in ambienti di destra, cattolici e in generale poco aperti all’inclusione.
Negli ultimi anni alcune affermazioni della Rowling, molto attiva su Twitter, e alcune figure presenti all’interno dei libri gialli scritti sotto pseudonimo l’hanno collocata in questa categoria e hanno generato un fortissimo dibattito in una parte dell’enorme fandom di Harry Potter, diviso tra l’amore per le sue storie e l’avversione per le idee della sua scrittrice.
Disclaimer: non sta a me affermare se la Rowling sia o meno una persona transfobica, banalmente perché non sta a me definirlo, non essendo impattato dalle idee che diffonde con il suo enorme potere mediatico. Di sicuro non mi sta simpatica, la trovo, come minimo, una figura controversa e credo che potrebbe occupare meglio il suo tempo e le sue capacità.
Non coi miei soldi
Potrà sembrare una cosa assurda, vista da fuori, ma per molte persone l’idea di continuare a supportare Harry Potter e in qualche modo contribuire al successo di J.K. Rowling è un problema abbastanza grosso.
Hai voglia a scindere l’opera dall’autore quando l’autore è vivo e ci fa ancora soldi.
Ha aplesemente in qualche modo macchiato uno dei più grossi franchise della cultura pop e il tutto si inserisce nel già estremamente complesso contesto delle guerre culturali di oggi.
Quello in cui delle caramelle parlanti diventano “divisive” e qualcuno si lamenta perché le hanno fatte “meno sexy” per colpa del politicamente corretto.
Per capirci, è come se George Lucas se ne uscisse dicendo che tutto sommato è giusto pagare meno le donne o che gli omosessuali hanno la vita facile grazie alla lobby gay (George, ti prego, non farlo).
Di sicuro le sue esternazioni hanno rappresentato un problema per chiunque fosse coinvolto a qualche titolo con Harry Potter. Ogni affermazione degli attori e delle attrici coinvolte nella serie viene da tempo pesata per capire da che parte si schierano e recentemente anche gli sviluppatori del gioco hanno dovuto camminare sul ghiaccio sottile di dichiarazioni che non devono far arrabbiare nessuno, né chi difende Rowling né chi la odia ma ama comunque il gioco.
Persino la Warner ha dovuto prendere le distanze e dire che lei non è coinvolta con la creazione del gioco. Ma per quanto possa essere distante da Hogwarts Legacy, J.K. Rowling continuerà a fare soldi grazie ad esso, in qualche modo.
E quindi, come ci comportiamo noi che dovremmo in qualche modo parlarne?
La questione è complessa e non si risolve con pretese di purezza e posizioni intransigenti, perché la gara del più puro è sempre molto rischiosa e tendenzialmente inutile. Così come non si risolve parlando di Cancel Culture, soprattutto con tutti quei soldi e quella visibilità.
Questo non vuol dire che non ci possano essere sfumature e non si debba provare in qualche modo a stimolare un consumo consapevole.
Partiamo proprio da questo: il consumo critico in un contesto capitalista è praticamente impossibile. Ognuno di noi è colpevole di qualcosa. Il mio telefono è fatto con materiali estratti da persone poverissime e assemblato in fabbriche con reti anti-suicidio. Mangio carne, ben sapendo in una parte del mio cervello cosa succede in certi allevamenti.
Sono una persona fortunata che vive, come quasi tutti noi, grazie al fatto che gente meno fortunata fa cose necessarie per tirare avanti la baracca.
Tuttavia, anche in un contesto in cui è facile essere tacciati di ipocrisia, ci possono essere scale di grigio. È giusto supportare e dare spazio a opere che arricchiscono persone che portano avanti messaggi come quelli della Rowling? E non facendolo cosa si rischia?
Fuori la politica dai videogiochi!
La stampa videoludica solo di recente ha iniziato a interessarsi a temi come le condizioni di lavoro, la sindacalizzazione, il crunch time, le politiche economiche poco virtuose e altre questioni sociali all’interno della critica videoludica. Soprattutto all’estero e con maggiore lentezza anche da noi.
I motivi di questo disinteresse sono chiari e forse anche in parte condivisibili. Sono temi che generano controversia, ma non quel genere di controversia tipo la console war o capire quale videogioco è “più bello” su cui la stampa ha sempre spinto per creare divisioni, polemiche e click.
Parafrasando una famosa frase di Bismarck, molte persone non vogliono sapere come sono fatte le salsicce, seguono la strada del “via la politica dai miei videogiochi, io mi voglio solo divertire”. Soprattutto oggi che temi sociali e civili si sono legati in maniera forte all’intrattenimento, violando la presunta armonia di questi monti.
Non aiuta il fatto che i videogiochi per anni sono stati un settore immaturo, da qualsiasi punto lo si guardasse, e fortemente legato a un inevitabile rapporto con le aziende. A dire il vero sono ancora entrambe le cose, ma stiamo migliorando.
Per fortuna, non mi pare che stavolta si sia cercato di nascondere tutto fischiettando, le polemiche sono state riportate anche nella stampa italiana, più e più volte. Certo, si potrebbe fare di più, si potrebbe iniziare a esporsi, scrivere qualche pezzo di opinione in merito a queste controversie e non solo riportare le notizie e dare in pasto al pubblico un “voi che ne pensate?” giusto per scatenare il classici commenti tutti uguali.
Sempre che ci siano opinioni in merito, ovvio.
Credo che il nostro lavoro sia proprio questo: informare, non sottrarsi, anche quando qualcosa non ci piace. Anzi, proprio in quel caso esporre una controversia, cercando, se possibile, di non farsi trascinare troppo dal fuoco della polemica.
Discorso un po’ diverso per le orde di content creator che in queste ore si fanno le foto felici accanto alla schermata di Hogwarts Legacy e mostrano orgogliosi le felpe e i gadget ricevuti. In quel caso decade del tutto il tema “sto informando i lettori”, perché ricordiamoci che farci foto con schermate di caricamento, prodotti ecc non è fare informazione, ma fare marketing. Non c’è niente di male, basta saperlo. E non ci sarebbe niente di male, se non che magari poi le medesime persone si espongono su temi sociali quando è più sicuro farlo, generando un certo cortocircuito.
Consume. Obey.
Ecco, parliamo del boicottaggio.
Boicottare può essere una forma di privilegio, un po’ come essere polemici e pungenti quando tanto non devi pagare le bollette con quello che scrivi. Nel periodo in cui Blizzard si rivelò un posto orribile gestito malissimo smisi totalmente di parlare dei loro prodotti, o almeno ci provai, ed è stato facile perché non impattava il mio reddito. Era solo una notizia in meno da dare su Twitch, oppure si trattava di darla puntando il dito contro l’azienda.
Ho fatto la stessa cosa quando si è trattato di parlare di metaverso ed NFT e non è stato altrettanto facile, perché colleghi molto più entusiasti e allineati alla narrazione, o con molto più pelo sullo stomaco, hanno scritto più di me e questo in pratica ha voluto dire prendere meno soldi. Succede la stessa cosa con le apologie di Elon Musk ed è successo anche quando bisognava a tutti i costi parlare di Covid e io non mi sentivo titolato.
In tutti questi casi potevo assorbire l’urto, ma cosa sarebbe successo se non avessi avuto scelta?
E tutte quelle volte in cui non conoscevo il contesto o ho sorvolato per interesse? (Perché non sono ovviamente esente da colpe)
Sarebbe dunque giusto quindi boicottare Hogwarts Legacy?
Di solito alle richieste di boicottaggio si risponde che sono sbagliate, perché danneggiano aziende, se soprattutto lavoratori, che niente hanno a che fare con il fatto che J.K.Rowling ritiene le persone trans uomini che vanno negli spogliatoi femminili con intenti criminali.
Questo è senza dubbio vero ed espone uno dei grandi meccanismi del capitalismo: mettere le une contro le altre persone che non detengono posizioni di potere, affinché niente cambi. È una obiezione legittima, ma che non cambia mai l’ordine delle cose e sottostà al ricatto di chi è più in alto.
Più che altro, è una obiezione che viene fuori solo in questi casi e regge molto poco alla prova dei fatti. Non so onestamente quanta gente compri il gioco di una multinazionale dicendo “Wow, finalmente posso supportare i lavoratori della Warner che hanno duramente impiegato il proprio tempo in Hogwarts Legacy”. Se veramente pensi che il tuo acquisto debba supportare le persone che lavorano dovresti passare il tempo a comprare tutti i giochi, anche quelli che non ti piacciono.
Credo quindi che sia un paravento dietro cui nascondere la propria voglia di comprare quel gioco che ci piace tanto. Anche perché poi è spesso lo stesso pubblico che si lamenta se un gioco ritarda e stimola le stesse aziende a far lavorare le persone in condizioni molto stressanti.
E così come è legittimo non compri qualcosa perchè non sono interessato ai temi che tratta è legittimo che non compri qualcosa che mi potrebbe piacere perché chi l’ha creata si è rivelata una persona di cui non condivido le posizioni.
Altrimenti, sarebbe bello vedere persone con posizioni molto destrorse vedere comunque un film o una serie piena di temi LGBTQ+ perché comunque supportano le maestranze che l’hanno prodotta, no?
Non sono tuttavia d’accordo con la scelta di alcuni forum americani, come Resetera, di bloccare a priori ogni discussione sul gioco. Mi sembra la classica scelta intransigente da accademia statunitense che non ha portato grandi miglioramenti negli ultimi anni. Un’altra forma di nascondere la cosa sotto il tappeto e confermare ogni possibile bias e pregiudizio che girano su “nazifemministe” e altre parole ridicole.
Ovviamente chi ha lavorato al gioco non ha colpe e credo che ormai la Rowling i suoi soldi sulla licenza venduta alla Warner i soldi li abbia presi, quindi comprare il gioco avrà un impatto solo su chi ci ha lavorato. Persone che però in gran parte hanno già ricevuto un stipendio per il lavoro fatto e che probabilmente stanno già facendo altro. Al massimo potrebbero essere a rischio i bonus per eventuali obiettivi di vendita (ne dubito veramente tanto, ne venderanno milioni di copie al lancio, sicuro).
Che sosteniate i diritti dei lavoratori o meno, il successo di Hogwarts Legacy in qualche modo assumerà la forma di una lasciapassare per l’autrice, magari incentiverà un seguito e veicolerà il messaggio “posso dire ciò che vogliono, tanto questi comprano comunque”.
La soluzione?
Sembra incredibile per questi tempi bianchi o neri ma… non ce l’ho. Anche perchè non sono assolutamente nella posizione di parlare per tutti e in molti casi va tenuto di conto il rapporto del fan con un opera, che a volte supera quello di chi l’ha creata. Chi sono io per dirti che devi schifare Harry Potter se ti ha portato alla lettura da giovane e magari ti ha aiutato in momenti difficili? Oltretutto, a differenza dei suoi romanzi gialli, in Harry Potter le tematiche transfobiche non emergono.
Credo che ognuno debba guardare alla propria coscienza e decidere cosa è giusto fare. E se anche solo vi state ponendo il dubbio beh, non è poco.
Credo che sia giusto parlare di Hogwarts Legacy, che sia giusto dire se il gioco è bello o no, ma penso che sarebbe bello farlo inserendo nei giudizi anche il contesto in cui si muove l’opera. Questo dovrebbe fare una critica videoludica che non si basa solo sui consigli per gli acquisti.
Per quanto possa venare di polemica il prodotto finale che nulla ha a che fare con la persona che l’ha generata, fare informazione credo voglia dire anche questo e non solo dirti se il gioco è bello o brutto o se è ridicolo il fatto che tu possa usare le maledizioni senza perdono e non subire conseguenze sul piano morale.
Se non altro potrebbe essere utile far capire a chi urla contro le “ideologie” e vuole la politica lontana dall’intrattenimento che ideologie e politica hanno plasmato praticamente tutto ciò che ha fruito fino a oggi. Ben svegliato. E se prova del fastidio beh… capita.
Forse il punto centrale di questo dibattito è proprio il nostro privilegio: ricordarci che la possibilità di scegliere di non polemizzare ne costituisce uno non da poco.
Io posso scegliere di non parlare di femminismo, posso scegliere di non parlare di persone trans, posso farmi i fatti miei e non farmi stressare dalle polemiche. Ma chi quelle polemiche le vive sulla propria pelle, sulla propria sicurezza e sulla propria sopravvivenza non ha questa scelta e non va lasciato solo.
Io avrei avuto grosse difficoltà a parlarne, lo ammetto, ma forse parlo da un’altra posizione di privilegio: quella di chi non si è mai interessato a Harry Potter. Avrei avuto la stessa fermezza se mi avessero detto “Vai a Los Angeles a provare il prossimo gioco di Star Wars” se Lucas si fosse messo a dire che tutto sommato le vere famiglie sono quelle con un uomo e una donna? Non lo so.
Tanto il gioco venderà comunque un botto.
Oggi niente link che sono andato lungo.
Bell’articolo Lorenzo, mi piace la tua schietta sincerità con la quale hai esposto il caso del conflitto e delle polemiche in merito alla Rowling e alla sua “legacy” del mondo di HP. E mi è altresì piaciuto il fatto che a differenza di altri, che tendono ad essere paladini integerrimi di moralità, etica e detentori di verità assolute, non hai una soluzione a questo conflitto che sembra etico, ma alla fine si legge economico. Molte delle persone che decidono di boicottare la Rowling, così come chi decide in generale di boicottare , non lo fanno perché credono nei valori universali di uguaglianza, amore o rispetto, ma perché non vogliono che ella guadagni dei soldi che escono dalle loro tasche, perché la ritengono indegna di ricevere anche lo 0,0001 % di diritti d’autore sul prodotto. Ma le stesse persone davanti ad un argomento complesso come la questione “genere” intesa nelle miriadi di accezioni possibili, non si saprebbero schierare nettamente perché, come la maggior parte di noi, non hanno le basi culturali, le conoscenze precipue di un mondo complesso ed articolato nel quale oggi stiamo vivendo. In pratica come dici tu, non può esistere una risposta bianca o nera, perché siamo immersi nella logica fuzzy, in una serie di sfumature che possono farci muovere non su di una linea netta, ma all’interno di uno spazio tridimensionale che ognuno di noi crea a secondo della propria esperienza, del proprio vissuto e della propria cultura. Siamo nella mia visione delle sfere che si intersecano, della piccola galassie emotive e culturali che creano l’universo della storia umana e nessuno di noi può dire di avere in assoluto ragione o torto, ma solo opinioni che dialetticamente creano il costrutto della nostra vita, grazie al confronto. Purtoppo ad oggi il confronto si trasforma più facilmente in scontro, per cui il processo dialettico di infrange sugli scogli di egoismi, egotismi ed egocentrismi dettati da un “sentito dire”, più che da una reale conoscenza ed esperienza