I troll del Corriere e i voti di IGN
Questa settimana non ha chiuso nessun grande sito di notizie quindi possiamo tornare ad analizzare altre cose interessanti.
Oggi è una mail lunga, ma credo ne valga la pena.
“È stata una settimana molto intensa” è una frase che ultimamente dico con una certa frequenza e di solito quando accade è la spia che devo ricordarmi di riposare e di non cadere vittima della sensazione che il ritmo sostenuto vada mantenuto a tutti i costi per non perdere il momento in cui le energie sono alte, perché è esattamente la situazione che porta al crollo e alla profezia auto-avverante “vedi? Dovevo spingere finché potevo”.
Detto questo, mi godo i momenti intensi, qualche viaggio, una intervista in esclusiva per l’Italia a Eiji Aounuma, l’uomo che gestisce Zelda da trent’anni e che ha lavorato anche a Tears of Kingdom, il gioco a cui state giocando invece di leggere questa newsletter.
E mi godo anche la seconda puntata di Altri Mondi, dedicata ovviamente a Zelda.
Mi ero dimenticato di raccontarvi un episodio che mi è successo la settimana scorsa, proprio mentre ero all’anteprima di Final Fantasy XVI e che forse già sapete se ci seguiamo su Instagram.
Per farla breve in un secondo tutto N3rdcore.it era sparito per un attacco hacker. Qualcuno era riuscito a trovare una password (ora tutte cambiate) o una falla, onestamente non saprei dirvi, aveva completamente cancellato il sito e ci aveva messo sopra uno negozio online di non so cosa.
Anni di articoli e progetti spariti in un secondo, senza troppe cerimonie. Puf.
Tutto era recuperabile con un click, ma non ne ero certo in quel momento.
Per circa un’oretta N3rdcore, che bene o male è il progetto a cui io e altre persone da anni abbiamo dedicato un sacco di tempo e che ci ha portato anche delle soddisfazioni, era sparito e di lui non restava traccia.
In teoria avrei dovuto essere molto arrabbiato, ansioso, distrutto ma… no. Non fraintendetemi, ero dispiaciuto, ovviamente, soprattutto per le altre persone della redazione che in questi anni avevano dato tanto. Ma c’era una parte di me che era stranamente… sollevata.
Era come in qualche modo di fronte a me ci fosse una tabula rasa da dove ripartire dopo aver accumulato anni di esperienza e nel retro del cervello stavo già cercando di capire come rendere N3rdcore altro.
Ero triste ma pronto a ripartire. In fondo, erano solo testi, a cui ero affezionato, che erano parte di me, ma se ne potevano scrivere altri. Al di là di eventuali impicci tecnici potevamo ripartire e approfittare di questa occasione. Morte virtuale che celebra la rinascita.
Poi dopo un’ora, il tecnico mi ha detto che tutto era su senza problemi.
Mi sa che tra le varie abitudini che questa professione mi sta dando c’è quella di ripartire, in qualche modo, come i Blues Brothers che si scrollano di dosso le macerie.
I troll del Corriere
In queste ore potrebbe esservi capitato davanti agli occhi un post che mostra uno strano comportamento dell’account Twitter de Il Corriere della Sera che spara insulti e provocazioni dopo un articolo sulla protesta del caro affitti per gli studenti.
I tweet sono strani, dentro c’è del codice “sporco” e l’impressione, aiutata anche dai commenti di chi ha postato l’immagine su Reddit e in giro, è che Corriere sia stato colto con le mani nel sacco a gestire degli account falsi che facciano partire delle polemiche per aumentare i commenti e l’engagement della pagina.
Sembra insomma la classica pistola fumante, una occasione golosa sia per evidenziare i meccanismi peggiori della rete sia per confermare che il processo di enshittification delle piattaforme e spinto persino da chi dovrebbe invece contribuire a renderlo un luogo sano.
E infatti nella mia bolla in queste ore tantissima gente ha commentato descrivendo in modo molto colorito i social media manger del Corriere e la testata tutta. Anche io ci son caduto con tutte le scarpe subito, chiedendomi come fosse possibile riparare a un errore del genere. Persino il grande classico “ignora e vai avanti, tanto se ne scordano” stavolta forse non avrebbe funzionato.
Insomma, ero arrivato a scrivere la newsletter sentendo l’odore del sangue di una roba facile facile che si scriveva da sola e confermava tutto ciò che di brutto possiamo dire su come il giornalismo gestisce i social.
Facile no?
No, perché, a quanto pare, non è andata così.
In effetti era tutto troppo goloso e, potendomi concedere il lusso di aspettare sabato mattina, ho continuato a cercare informazioni, analisi ed eventuali smentite che andassero oltre il “Corriere merda” e qualcosa ho trovato.
Lasciando perdere la spiegazione ufficiale data a Dagospia che parla di “account hackerato”, spiegazione generica come la “pista anarchica” o i “problemi di connessione” data per evitare di star là a spiegare come funzionano gli automatismi di un account Twitter professionale, mi sono imbattuto in questo video di Matteo Flora.
Flora è un esperto di campagne social, bot e tecnologie correlate e espone bene il motivo per cui, molto probabilmente, non è una strana macchinazione del Corriere per creare engagment velenoso ma, più banalmente, è impazzita la loro gestione automatica di Twitter che ha iniziato a retwittare chiunque menzionasse l’account.
La spiegazione, per farla breve, si basa sul fatto che l’orario dei Tweet incriminati e precedente a quello della loro comparsa sull’account del Corriere. Se fosse una botfarm creata per spargere veleno i tweet polemici dovrebbero arrivare dopo.
Come soluzione, onestamente, mi sembra sensata anche perché, a pensarci bene, basta applicare il caro Rasoio di Occam: per scatenare un putiferio di commenti incazzati, offese e lagne contro i giovani viziati, la lobby gender, il politicamente corretto e la cancel culture non c’è bisogno di bot. Siamo già noi dei bot che da tempo abbiamo assimilato il linguaggio di chi spinge da anni su certi temi e certe narrative, tanto da farci ripetere a pappagallo determinati concetti.
Conosco siti e creato che da anni campano benissimo senza bot polemici, perché si sono costruiti un pubblico che fa tutto da solo, basta lanciargli un’esca.
Di sicuro, il social media manager del Corriere non ha passato una bella giornata.
VOTO… SETTE!
IGN è una testata americana che si occupa prevalentemente di videogiochi, spaziando però anche sull’arco più ampio di quella che oggi chiamiamo cultura pop (ma non ha stufato sto nome? Dovrò farci una puntata sopra). È uno sito molto conosciuto e famoso, con molte filiali locali, tra cui anche quella Italia e ovviamente non solo dispone di mezzi e risorse di altissimo livello ma è anche uno spazio in cui un gioco vuole apparire per poter essere conosciuto.
A margine: IGN è anche conosciuto per essere particolarmente di manica larga coi voti.
Forse anche per questo capitano ogni tanto dei contenuti dove i redattori spiegano le motivazioni di determinate scelte, una ammirevole operazione trasparenza che, però, se fatta male, rischia di diventare un boomerang.
È probabilmente il caso di un contenuto spuntato qualche giorno fa sull’account Twitter di IGN in cui un loro redattore spiegava la logica dietro al fatto che raramente i loro voti scendono sotto il sette. Il video è stato cancellato, e già questo forse ci dice qualcosa.
Il succo del discorso è che tendenzialmente esce tantissima roba, troppa roba, spesso tutta uguale o poco rilevante, quindi viene messo un filtro a priori che fa passare ciò che potrebbe interessare al pubblico medio di IGN, ai redattori o che ha dimostrato di essere interessante col passaparola.
Potrei anche dire che ha senso come politica, anzi, ha senza dubbio senso se devi gestire un sito enorme e renderlo economicamente funzionante.
Però poi il redattore intervistato, con una certa boria, chiosa “Se non ne avete sentito parlare su IGN probabilmente non è interessante”.
Il punto qua non è tanto dire se questo sia giusto o sbagliato, perché sì, esce veramente troppa roba e una curatela è assolutamente necessaria che si parli di videogiochi, libri, serie tv, manga, fumetti e così via.
E non si tratta neppure di confutare una bestialità come “se non ne hai sentito parlare forse non ne valeva la pena” perché è un discorso folle, fintamente meritocratico, che tiene fuori dall’equazione tantissimi fattori. Banalmente, pensiamo ai milioni di persone che giocano mobile e che, tendenzialmente, vengono ignorate.
No, qua il punto è capire due cose.
Funziona così per tutti i siti di un certo tipo, non solo per IGN. La copertura delle notizie o è generica in base a quello che viene considerato rilevante o mainstream oppure si attacca ai trend che qualche giornalista un po’ più sveglio ha beccato. Vedi il successo di Vampire Survivors partito, quasi per caso, da youtuber che si occupavano del genere e diventato oggi, un successo mondiale. “Quindi Vampire Surivor meritava?” No, quindi Vampire Survivor meritava E HA AVUTO FORTUNA. Smettiamola col dire che solo la roba veramente di valore ottiene copertura. La meritocrazia è un bel piatto pieno di veleno.
Questa situazione ha reso i siti che parlano di intrattenimento degli “accompagnatori” di contenuto e non dei veri creatori di contenuto. Nessuno rischia di produrre articoli che non hanno almeno una percentuale di successo o possono piacere a chi legge il sito stabilmente. Per finire su IGN, paradossalmente, notizia devi esserlo già, magari perché sei argomento rilevante in una nicchia o il meme del momento, per poi diventarlo ancora di più.
È un percorso al contrario che per certi versi ricorda quello che viene fatto anche nel giornalismo generalista, per cui non si va a cercare una storia interessante, ma nella maggior parte dei casi si porta verso un pubblico vasto quello che in quel momento sta piacendo in determinate nicchie.
IGN, ma tutti i siti un po’ più grandi e che si basano su ampi volumi di visite, sono un po’ come le reti nazionali: si occupano di qualcosa solo se emerge da solo dal mare magnum delle nicchie, dei meme, delle tendenze. Più sei grosso, meno fai avanguardia.
Quindi il discorso di IGN è in gran parte un discorso generale, le notizie ormai si generano da sole in grande quantità, le redazioni decidono poi su cosa puntare i riflettori per convenienza, SEO, ricerche su Google Trend per poi offrirle a un pubblico distratto.
I siti oggi non creano notizie, creano “contesti”. E forse lo hanno sempre fatto. Il processo è quello dell’”agenda setting”, ovvero di quel flusso circolare per cui i media parlano di quello che vuole la gente e la gente parla di quello che vede sui media. Un processo che la rete ha in qualche modo scombinato, diventando fonte imprevedibile di mode e tendenze.
Ed ecco quindi che una tempesta in un bicchier d’acqua diventa “la rete contro”, “la moda del parlar corsivo” e la notizia più virale su The Legend of Zelda – Tears of the Kingdom diventa il pupazzo col pene in fiamme.
Link in chiusura!
Su N3rdcore abbiamo parlato dei segreti del Sudoku, di un bel gioco per creare cose e di Slam Dunk.