La mia tragedia, il tuo content
Quando un evento terribile che dovrebbe essere trattato come un fatto di cronaca molto delicato diventa improvvisamente la mangiatoia dell’internet tutta.
Voglio iniziare con una nota allegra perché la mail è già abbastanza fosca di suo, voglio iniziare con un messaggio che mi è arrivato mentre tornavo da Osaka, dove ho raccontato per Italian Tech e Rai News il mondiale di Pokémon.
Magari vi racconterò anche quella sfida professionale, ma intanto il messaggio era questo: Figlio oggi mi ha detto che da grande vuole fare il giornalista come te. E considerando che è dislessico e disortografico si è posto un obiettivo non da poco!
A cui è seguito questo: Ti preciso che grazie a te ha capito che una passione può diventare un lavoro. Lui adora i videogiochi e (attraverso me) è un fan di Star Wars e fantasy in generale (Topolino e La spada di Ghiaccio lo abbiamo riletto fino a consumarlo). Vedere te, adulto, in Giappone a seguire qualcosa che lui adora e poi scriverne e parlarne in TV gli ha aperto un mondo, una possibilità. Magari poi non diventerà un giornalista, ma l'idea che sia possibile unire passione e lavoro gli rimarrà, grazie a te.
Inutile dire che è difficile elaborare un concetto così grande. Mi sono sentito investito di uno strano senso di responsabilità, protezione e inadeguatezza. Però sono anche quelle cose, alla fine della giornata, rileggi per ricordarti il senso di ciò che fai.
Se veramente un giorno vorrà provare a far diventare un lavoro il parlare delle sue passioni troverà un settore molto difficile. Ma spero anche che piano piano tutte e tutti quelli che ci provano abbiano spianato la strada a una realtà dove quello che facciamo non sia una eccezione ma la norma, magari una norma pagata decentemente.
Un secchio di vermi
Vi è sicuramente arrivata l’orribile vicenda di Palermo e dello stupro da parte di sette ragazzi di una loro coetanea. Dico “sicuramente” perché negli ultimi giorni ogni spazio dei media e dei social è stato occupato non solo dalla notizia ma da ciò che la notizia ha generato per continuare a renderla una fonte di click e attenzione.
E sicuramente avrete letto le dichiarazioni, le frasi abominevoli, ripetute e ripetute ovunque, con dettagli sempre più torbidi, spezzoni di filmato e così via e così via.
Ma se il mercato delle notizie non fosse un’orribile mattanza di carcasse queste cose non avremmo dovuto saperle, non avremmo dovuto sapere per sbaglio neanche il nome della ragazza, né cosa si erano detti i ragazzi.
Ma era tutto troppo ghiotto, troppo morboso e troppo acchiappaclick per cercare di mantenere un certo distacco, quindi qualsiasi testata, non solo le più becere, hanno deciso di portarci dentro la vicenda, dentro le aule di interrogatorio, contando gli shot che si era fatta la vittima e mettendoli a contraltare con ciò che dicevano di lei i ragazzi del branco.
Perché la vittima è tale solo finché è utile alla narrazione, non è una persona da trattare con rispetto, da proteggere a cui evitare di leggere ovunque le parole dei suoi aguzzini. Immaginate come si dev’essere sentita, e con lei la sua famiglia e i suoi cari, a leggere e rileggere in queste ore tutte quelle parole.
Certo, puoi chiudere fuori il mondo per un po’ di tempo, ma quanto tempo? Un giorno? Due? Dieci? Un anno? Ma quelle parole saranno sempre là.
Una vittima, una donna, definita solo dalle parole di chi l’ha trattata come un pezzo di carne. Un pezzo di carne messo sul bancone per farci addentare un pezzetto. Un secchio di vermi da lanciare nel lago per pasturare altra attenzione, altri click, e magari a fine mese esserne felici nel bilancio delle visite ricevute.
Mi direte “ma si sa che è così”, “cosa vuoi che sia”, “i giornali da sempre cercano i dettagli scabrosi” e avete pure ragione, ma “si è sempre fatto così” è la frase più dannosa di tutte.
Mi rifaccio a quanto dice Valigia Blu sulle linee guida che sarebbe saggio adottare in questi casi. E non è una mera questione di puntiglio tra giornalisti, ma di banale decenza.
Anche perché quel tipo di atteggiamento riverbera in una società in cui tutto può diventare contenuto.
Quando lo stupro diventa trending
Seguendo i social, i suoi eccessi e le sue assurdità fin dagli albori è difficile ormai stupirsi su ciò che le persone sono disposte a mostrare su di essi.
Foto e video di parenti defunti, bambini esposti fin da piccolissimi e costretti a fare balletti perché sono le cose che fanno più views, gente che fa finta di raccogliere la spazzatura in spiaggia per dichiararsi attente all’ambiente.
Ma ci sono tanti altri modi meno palesi e meno evidenti con cui i social possono distorcere lo specchio della nostra realtà e portarci verso situazioni e gesti paradossali in cui pensiamo di essere dalla parte del giusto.
Il più semplice? Mettersi a fare i collage dei commenti di merda di gente che piange dicendo che gli uomini sono tutti così, che lei se l’è cercate e così via.
Cosa cambia se li facciamo? A cosa servono se non a inserire noi stessi nel trend del giorno e farci apparire come virtuosi? Non nascondiamoci dietro al bisogno di mostrare agli altri lo schifo, perché è uno schifo che conosciamo benissimo?
E poi c’è quello che è successo in queste ore, soprattutto su Tik Tok, quando giovanissimi e giovanissime si sono trovate forse per la prima volta di fronte a una storia così orribile, vissuta però attraverso la lente del content e delle narrazioni personali.
Decine e decine di video con musichette in trend, faccette arrabbiate, filtri bellezza e frasi in cui ci si dichiarava sconcertati per quanto successo, ragazzi che auspicavano agli stupratori ogni genere di tortura o si facevano vedere mentre facevano squat “sollevando lo stesso peso di queste merde”, ragazze con la bocca a cuore, il volto ammiccante e il costumino in piscina che scrivevano “sto malissimo per questa cosa”.
E tutto questo con tag, controtag e altri tag, e tra i tag anche il nome della ragazza, che viene prontamente cercate e coinvolta. Saldata per sempre a ciò che le è successo.
L’apoteosi di tutto questo è stata quando sono iniziati a circolare video di uno dei ragazzi coinvolti modificati ad hoc e aggiunti su un nuovo profilo per creare ancora più rabbia. Video che sono stati commentati, condivisi e ricaricati migliaia di volte senza che nessuno si rendesse conto che erano falsi. Ci sono cascati tutti: giornalisti, vip e vippettini, persone qualsiasi. E anche quando la falsità è diventata palese non sono stati tolti, perché “anche se falso è bene parlarne” e perché soprattutto erano video virali che hanno dato spinta a tutti i profili che ne hanno abusato.
Sarebbe facilissimo bollare tutto questo come semplice popolo bue, sempliciotti, stupidi, ma sarebbe in qualche modo lo stesso atto di rimozione di chi dice che chi stupra è una bestia e non è uomo. Troppo semplice, troppo autoassolvente.
Non dobbiamo sminuire il senso di dolore e smarrimento di queste persone anche se ciò che fanno ci sembra ridicolo. Perché i loro gesti sono il risultato di una economia dell’attenzione in cui sono stati immersi negli ultimi anni, magari ci sono direttamente nati.
La ricerca di visibilità nella tragedia, usare sé stessi come lente per tutto, le musichette, i tag, frullare vittime e carnefici assieme pur di emergere nel mare magnum comunicativo e esprimersi con leggerezza, forconi e filtri bellezza su un fatto così grave che viene derubricato a fatto del giorno è solo l’ennesimo brutto momento di una situazione che stiamo vivendo da anni.
Ci mancano sia l’educazione emotiva che l’educazione digitale. E a quanto pare non possiamo sperare di ottenerla da quelle piattaforme che si comportano come i creator salvo guardarli male quando accadono fatti come quelli di Casal Palocco.
Serve un dibattito collettivo, anche solo per capire che le piattaforme su cui agiamo non vogliono il nostro bene, ci vogliono arrabbiati, isolati, pronti ad arrampicarci sugli altri per ottenere un raggio di sole in più in questo sottobosco di mestizia.
Le persone che in queste ore hanno cercato di appagare il proprio ego rendendo uno stupro di gruppo l’ennesimo trend su Tik Tok non sono “assurde” o “stupide”, sono il frutto di ciò che hanno avuto a portata di mano per anni.
Un’astronave guidata senza manco sapere dove stiano le stelle, con un sacco di gente che si fa i selfie mentre guida.
Link
Stiamo lentamente partendo dopo la pausa agostana con gli articoli di N3rdcore, ecco il primo, dedicato alla nuova serie sui Pokémon, che pare molto leggera e adatta a tutti.
Per altre questioni legati ai social vi consiglio di seguire su Instagram
e di seguirla anche su Instagram perchè là troverete tutto ciò che ho detto e di più.Vi invito anche a leggere una inchiesta giornalistica sulla ridicola creazione a tavolino della Mafia Nigeriana e i comici risvolti del ritrovamento della sua “bibbia”.
Per quanto riguarda simili fatti di cronaca locale, pur terribili, io ho sempre reputato che proporlli come di rilevanza nazionale sia sbagliato, come giornalisti. Perché appunto, è un fatto che coinvolge e riguarda una comunità locale (che può conoscere o no le persone coinvolte), ma anche perché, alla base, non è appunto un fatto di rilevanza nazionale. Salvo per, come tu hai scritto, farne un contenuto attiraclic e attiraattenzione perché sappiamo che su queste cose la gente vuole saperne la qualunque.