Stop making stupid people famous
Le inevitabili conseguenze di un gruppo di adulti infantili seguiti da altri adulti infantili che vogliono diventare ricchi facendo contenuti infantili.
Per circa due settimane sono stato costretto a fermarmi per un problema agli occhi, due settimane in cui l’archetipo vuole che abbia imparato qualcosa dall’improvviso rallentamento dei miei ritmi. Ebbene, non ho imparato un cazzo se non che sono un pigro che ama tenersi molto occupato, che la mia è una disabilità invisibile e che un sacco di gente pensa di poterti consigliare cosa fare dopo 14 anni di lenti rigide a causa del cheratocono.
Ah sì, forse ho messo in discussione il continuare a stare su Twitch, la struttura del progetto N3rdcore così com’è e tutto il resto: ma non è questo il momento. Parliamo di altro.
Grazie a Luca Annunziata
e per le correzioni e gli spunti.Morire per una challenge
Archiviata la tumulazione di Berlusconi, forse l’evento politico mediatico più assurdo e paradossale degli ultimi dieci (Venti? Trenta?) anni per quanto riguarda il panorama italiano, ma non poteva essere da meno, si è parlato molto in queste ore dell’incidente di Casal Palocco in cui ha perso la vita un bambino.
Incidente che pare sia stato innescato dalla “challenge” di un gruppo di creator che si fanno chiamare TheBorderline. Il fatto che i protagonisti siano giovani che producono contenuti trash su cui fare un sacco di soldi è stata un’occasione troppo ghiotta per non scatenare il linciaggio nei confronti dell’intera categoria e del pubblico.
Il fatto che una delle persone coinvolte fosse positiva alla cannabis non ha contribuito a calmare la situazione e il commento paradossale di uno dei coinvolti, che prima si smarca dicendo di non essere alla guida e poi mette il cuoricino, non ha aiutato a difendere la causa dell’intelligenza emotiva della categoria youtuber. Lo stesso vale per la madre di un indagato che bolla il tutto come bravata, se lo ha detto veramente.
Sono anche cose che in alcuni casi vengono estrapolate senza contesti e servono solo a fare click sulla rabbia. Vere o false che siano, passiamo oltre.
Con “challenge” nel mondo dei content creator si intende un qualunque tipo di sfida che diventa improvvisamente virale e che può avere difficoltà più o meno elevata e motivazioni più o meno nobili. Ve la ricordate la Ice Bucket Challenge in cui la gente si faceva i gavettoni di acqua fredda per spingere alla beneficenza?
Senza dubbio un caso virtuoso che ci dimostra come la parola “challenge” non sia buona né cattiva, ma negli ultimi anni ha assunto i contorni di un contenuto da fare per restare nel flusso della viralità e delle views.
La viralità e le views a persone come i TheBorderline o Mr.Beast1 (ricchissimo youtuber americano famoso per le sue challenge sempre più assurde) portano pubblico, quindi soldi, sotto forma di pubblicità che YouTube veicola sui canali di queste persone e mediante sponsorizzazione diretta, come nel caso di Sony, che è stata messa in croce per aver fornito attrezzatura ai TheBorderline, supportando quindi il loro operato.
È una matassa bella grossa da sbrogliare, ma la prima cosa da dire è che quel bambino non è morto per una challenge o per delle views: è morto per dei soldi.
Chi fa queste cose non lo fa “per farvi divertire”, non lo fa per ego, lo fa perché vuole i tanti soldi che girano nel settore di creator e influencer.
Un settore enorme dove trovi di tutto, da quello preciso, bravo e gentile a quello che ogni cinque minuti si reinventa senza sapere niente, dalla persona con un’etica a quelli in cui vale tutto pur di fare like.
Un settore in cui non c’è alcun controllo obbligatorio, se non quello minimo delle piattaforme che sono comunque subissate di contenuti e quindi si limitano a controllare quello che riescono a gestire in modo efficace, tipo l’uso di musiche con copyright, ma che hanno maglie abbastanza larghe sul tipo di contenuto, finché non è esplicitamente violento o pornografico.
Insomma, gli unici a decidere se una cosa va bene oppure no sono i creator, chi li gestisce e i marchi che li sponsorizzano.
E questo nonostante la creazione di spazi e strumenti per limitare determinati contenuti ai più piccoli.
Sarebbe veramente facilissimo scaricare tutto su questi youtuber e il loro pubblico, così come è facilissimo dire “rosichi” non appena si cerca di discuterne, ma la questione è assolutamente più complessa di così e ci riguarda tutti.
Il diritto a fare schifo
La prima cosa da dire è che non scopriamo oggi che contenuti trash, brutti, assurdi o eccessivi hanno successo.
Faccio reel, live e video in cui parlo di notizie e contenuti interessanti da anni, eppure la cosa che su Instagram ha avuto più successo è un video ironico dove parlo di Warhammer rispondendo a una tizia provocante che chiede cosa sceglierei tra lei e FIFA.
I contenuti che parlano alla pancia vincono, sempre. Le tribune politiche urlate, il morboso, il sesso. Se non lo avete capito dopo anni di televisione che quei ragazzini che guardano le challenge siamo noi, allora abbiamo un problema.
Sta a te decidere se vuoi fare il buffone oppure no, se vuoi provare a fare qualcosa di meglio oppure no. Ci sono ovviamente delle eccezioni ma sono, appunto, tali.
Non possiamo chiedere a dei ragazzini di essere fini cultori del bello, dell’intelligente e dell'eleganza. Non lo siamo stati noi (ho ancora una addiction da Paperissima Sprint che curo con Fail Army) e non possiamo pensare che lo diventino se non li abbiamo educati a esserlo. Troppo facile, troppo comodo, troppo ipocrita, ma anche troppo complesso nel caos delle piattaforme attuali.
Nessuno di noi fruisce solo contenuti elevati, contenuti che arricchiscono o contenuti “belli”, altrimenti i suddetti anni di TV spazzatura, le polemiche sui social e tutto il resto non avrebbero successo. La corsa all’accesso, al contenuto che dev’essere sempre più esagerato perché in lotta con i contenuti degli altri e con i nostri precedenti non la scopriamo oggi.
Anni fa, durante l’ennesima sfida assurda di Ciao Darwin un concorrente rimase paralizzato: nessuno ha pagato per questo.
Quello che è cambiato negli anni è che le piattaforme di elezione dei contenuti sono molte di più, con sempre meno controlli e con sempre più pubblico.
Algoritmi e palinsesti
Se una volta avevamo un palinsesto che in qualche modo creava un flusso di contenuti, per quanto trash, che si dipanava nel corso della giornata e doveva in qualche modo mettere un freno o permetteva ai genitori di metterlo, i social media e la moltiplicazione degli schermi personali hanno infranto anche questa ultima barriera.
E attenzione, non è solo un problema dei ragazzini, è un problema che ci riguarda tutti.
I social media badano a una sola cosa: che il contenuto sia utile ed efficiente, sono pensati per questo, non fanno distinzione. Ormai ce ne dovremmo essere accorti. Fate uno stato divisivo e polemico o particolarmente emozionante (matrimoni, figli, morti, disgrazie, incazzature, posizioni controverse) e quel contenuto verrà condiviso.
Lo hanno capito i content creator che aizzano le folle ogni giorno contro qualcosa, lo hanno capito le testate di ogni tipo che spingono ogni giorno su ciò che ci fa più arrabbiare, lo hanno capito tutti quei ragazzi che, figli del capitalismo sfrenato, vogliono diventare ricchi e per farlo guardano cosa ha funzionato oltreoceano o cosa funziona qua. Lo faceva Favij quando riprendeva lo stile e i contenuti di PewDiePie, lo fa Fedez, lo fanno questi ragazzetti col Suv.
E quindi si fanno le challenge assurde, sempre più assurde, si mettono in piazza i figli, perché fanno views, si mette in piazza la morte, la malattia, il dolore e soprattutto i soldi, gli stili di vita esagerati, magari poi si sponsorizzano gruppi telegram miracolosi dove far scommettere soldi sulle piattaforme di betting, illudendo i tuoi fan che ce la faranno.
Ma non è molto diverso dal mondo di prima, dove se fossi voluto andare in tv avresti dovuto fare questa cosa qua, dovevi fare questa televendita, dovevi mostrarti in questo modo, fare questo servizio al telegiornale, invitare questa persona o ricoprire il ruolo del tizio che urla nei talk.
Mi fanno sempre molto ridere i ragazzi che guardano con snobismo la televisione e poi finiscono per guardare talk show trash e pruriginosi, tizie seminude, dissing tra trapper o altre robe così. Twitch, YouTube e TikTok sono la nuova Mediaset, la nuova MTV.
Cioè, Er Faina è andato a Temptation Island, quindi evitiamo. moralismi sui ragazzini.
Solo che adesso è tutto più facile, tutto più disintermediato e i vantaggi, e le conseguenze, sono molto più dirette. E se a qualcuno non va bene allora parliamo di libertà di espressione e censura del politicamente corretto, oppure ci appelliamo al black humor.
Ok ma di chi è la colpa?
Perché il dito puntato piace a tutti. Come mai un gruppo di ragazzetti che fanno challenge idiote ha così successo? Cosa possiamo fare per cambiare questa cosa?
Lo dico subito: regolare le piattaforme è una sparata da politici, ma non funziona. Non solo perché questi contenuti sono spesso fruiti da persone sopra i 18 anni, ma perché anche quelle sotto possono serenamente trovare un modo per aggirare i blocchi. E poi che fai, vuoi bloccare pure il trentenne che guarda i video motivazionali per diventare il prossimo Elon Musk che gli insegnano che tutte le donne sono infide?
E poi, perché queste tragedie spesso accadono prima che il video finisca sulla piattaforma. Certo, quando leggi che sono morti più adulti che bambini perché mangiavano il detersivo Tide per una challenge…
Come accade quasi sempre per ogni contenuto, c’è una domanda e c’è un’offerta. C’è chi guarda e chi produce. E nel mezzo c’è chi crea le piattaforme e le regole per produrre e guardare.
La responsabilità è ripartita a vario titolo tra tutte le parti.
Sono responsabili i creator che promuovono un certo tipo di contenuti ma, onestamente, non mi aspetto capacità di comprendere il proprio ruolo da chi fondamentalmente viene messo nelle condizioni a vent’anni di fare un sacco di soldi facendo un video idiota in cui vive per qualche giorno in una scatola di cartone, o chi macina donazioni stando in costume dentro una piscina. È il mercato, bellezza, se vuoi farlo e non è illegale puoi farlo. Sono i figli del capitalismo in cui li abbiamo fatti crescere, sia loro sia chi li guarda.
Il fatto è che ci dovrebbe essere un sistema a monte che dovrebbe scoraggiare dal farlo, se non un sistema etico e valoriale, almeno economico. Sì, mi rendo conto dell’ironia di sostenere un sistema economico che sia anche etico.
Quel sistema dovrebbe essere regolato dalle piattaforme che cercano sempre più views, creano algoritmi che favoriscono la produzione di determinati contenuti, fanno accordi con i creator di successo perché il loro successo porta automaticamente altri soldi nelle loro casse e spinge altri ragazzi a volerci provare. E sono spesso quelle piattaforme a dettare la musica: ecco cosa devi fare se vuoi piacere, che canzoni devi usare, quali hashtag, che tipo di contenuto, che tipo di tema. Vuoi partecipare al gioco? Queste sono le regole per avere successo, altrimenti non ti lamentare, rosicone.
Ormai non è più il creator che crea il contenuto, ma il contenuto che fa il creator, e quindi la gente si improvvisa criminologa, esperta di cucina, consulente di coppia, amante della tecnologia o del cinema. Dipende cosa funziona. E funziona il contenuto che ci fa pensare meno, più veloce, più efficiente, più adatto agli algoritmi che plasmano quelle piattaforme.
E dietro questo avallo non c’è alcuna etica. Se una cosa funziona, funziona, basta, poco importa. Joe Rogan, forse uno dei più grandi diffusori di notizie false, teorie cospirazioniste e mentalità tossiche del nostro tempo ha un contratto milionario con Spotify e sia Twitch che YouTube supportano serenamente piattaforme e creator dei più turpi, perché conta solo quanto sei visto, quanto sbocci, quanto esponi, come i calciatori o i vip che quando escono dai bordi basta che chiedano scusa un po’ con l’aria contrita.
È un sistema privo di empatia, feroce e classista in cui nessuno paga mai per comportamenti sopra le righe, tutto viene più o meno dimenticato o perdonato, con i gruppetti di creator che fanno subito quadrato quando qualcuno della crew viene coinvolto e dove il modo migliore per uscirne è scatenarti contro i miei follower. Un sistema che mostra guadagni facili quando in verità c’è una competizione crudele in cui ce la fa una scarsissima percentuale.
Dove ogni dissenso o critica viene automaticamente bollata come rosicata per il successo ottenuto.
Ah, sì c’è anche un quarto elemento: gli sponsor esterni, i brand, che a volte cercano di legarsi a personaggi presentabili, ma a volte i numeri fanno troppa gola, perché sono tutto quel pubblico che non riusciresti a raggiungere in alcun modo. E quindi le telecamere Sony vanno in mano a un gruppetto di ventenni che fanno contenuti di basso livello perché così ci leghiamo a chi piace ai ragazzetti, anche se siamo un marchio con decenni di storia.
E ce n’è pure un quinto: le agenzie. Che a volte sono in mano a gente con un senso etico, a volte sono gestite da persone che trattano i creator come pezzi di carne che devono produrre contenuto a getto continuo, magari chiusi dentro uno studio dove stanno tutti assieme, completamente distaccati dal mondo e dalla possibilità di costruirsi una intelligenza emotiva che non comporti mettere in piazza la loro vita.
E siamo responsabili anche noi eh? Come sempre, in qualche modo. Perché ogni nostra scelta aiuta a plasmare la realtà attorno a noi. Non siamo interamente responsabili, perché le piattaforme possono bombardarci di ciò che vogliono (TikTok ha un sistema per far diventar virale le cose a comando) ma comunque abbiamo una scelta.
E quando siamo ragazzini quella scelta è modellata dalle persone che ci sono di esempio, dalla scuola, dai contesti o da un sistema di valori. Il che non vuol dire crescere dei robot perfettini che guardano solo repliche su Rai 3 a mezzanotte delle lezioni di fisica.
Insomma, mettiamo pure al rogo tutti gli youtuber, di sicuro non ci mancheranno le challenge (a me no di sicuro) e tutti i content creator che non ci piacciono.
Ma questi tizi con le thumbnail piene di facce buffe sono figli del sistema, un sistema che per anni è stato alimentato da quelle stesse persone che oggi se la prendono coi ragazzini viziati e con i creator che li seguono.
Un sistema in cui rabbia ed eccesso sono la moneta di scambio, dove son sempre solo “ragazzate”, dove è normale prendere un telefono se succede qualcosa di brutto.
Un sistema che, poggiando bene i piedi sul sistema di notizie e informazioni che abbiamo creato (o distrutto?) in questi anni, ha fatto un salto e si è tuffato in una piscina di merda e soldi, mentre tutti applaudivano.
No dai, come chiusa è troppo cattiva.
Però non esistono soluzioni facili o legislative. Esiste il coltivare l’empatia, coltivare l'approfondimento, coltivare l’intelligenza emotiva e non lasciare le persone in balia di una piattaforma che ha l’unico obiettivo di tenerla là. Anche le piattaforme possono cambiare, così come le abitudini più assurde e consolidate. Una volta giravamo senza casco e cinture, fumavano in aereo e nei locali. Mi dicessero di farlo oggi mi sentirei un coglione. L’obiettivo, forse, è far sentire chi fa determinate cose un coglione, non un mito coi soldi che fa divertire la gente.
Vorrei mettere dei link, ma mi sa che oggi sono andato lungo. Scusatemi. Non scrivevo da due settimane.