Le content creator che si fingono NPC hanno capito tutto
Ripetere ossessivamente le stesse cose per una folla disposta a pagare: il crollo della società occidentale o semplicemente ciò che fanno molti content creator?
Siamo arrivati quasi a fine luglio e sto ancora cercando di capire se voglio fare una pausa di un mesetto per tutto agosto o se tenere attiva la newsletter in modo saltuario, probabilmente vincerà questa decisione perchè mi piace tenermi la porta aperta se ho voglia di chiacchierare con voi.
Anche perché va detto che lo sciopero di sceneggiatori e attori che si contrappongono a chi vorrebbe sostiuire le comparse con le IA (semplifico) è un tema molto interessante.
Sicuramente molto di più dell’ennesima polemica su Biancaneve fatta da chi pensa che le fiabe siano scolpite nella pietra e non oggetti sociali che nel tempo mutano, raccontano e descrivono. A cui si contrappongno persone che, pur con tutta la buona volontà del mondo, pensano che Disney lo faccia solo perché ci crede. (Oh no sono diventato parte della polemica).
Se avete letto la puntata precedente forse vi sarà arrivato il sentore che volevo fare qualcosa su YouTube, quel qualcosa ha preso forma con questo primo video introduttivo che trovate qua sotto. Se vi va ditemi cosa ne pensate, qua è sempre tutto un laboratorio di idee.
Ma adesso cominciamo.
Icre cream so good!
Ci sta che nei giorni passati vi sia capitato di imbattervi di fronte a video di ragazze, soprattutto una ragazza di colore con i capelli biondi, che ripetono ossessivamente le stesse frasi in dei video su Tik Tok come se fossero i personaggi di un videogioco su cui la gente clicca di continuo.
Se vi hanno dato questa specifica impressione è perché l’idea è proprio questa: gente che in diretta si comporta come l’NPC (non-playing character) di un videogioco ripetendo frasi prestabilite senza senso in base alle donazioni che arrivano.
Una di queste creator, PinkyDoll, parlando con il NYT1 ha svelato di incassare a oggi circa 7000 dollari al giorno con una live. Quando ha iniziato erano 250.
Ora io lo so che sarebbe facilissimo, e pure giusto, reagire con disgusto, ironia, disperazione e un po’ di moralismo di fronte a una roba così. Cioè se ti trovi di fronte a una tizia con lo sguardo fisso e il sorriso di plastica che ripete ossessivamente “Ice cream so good!” “Ice cream so good!" “rawr!” “rawr!” è anche normale aver voglia di chiamare esorcista o dare fuoco a una copia di “La società dello spettacolo” di Guy Debord per poi sniffare le ceneri mescolate con del diserbante in polvere.
Ed è anche assolutamente normale pensare che questo sia tutto sommato un ceffone a mano piena in faccia a tutta quella gente che prova a portare contenuti non dico di qualità ma almeno pensati, ragionati, scritti. A chi cerca di fare analisi, a chi cerca un contatto col pubblico, un arricchimento.
Pensate che bello montare per ore video, scrivere analisi, fare live di approfondimento ed essere superati sulla destra da una che fa 7000 dollari parlando come un automa per gente con troppi soldi da spendere.
Ma come sempre il ceffone non viende dato da PinkyDoll, ma da pubblico e piattaforme.
Voglio affrontare la cosa da una reazione un po’ meno di pancia. Reazione che, ripeto, trovo anche giustissima, sia che si parli di ennesima vittoria del trash che di mercificazione di sé stessi per portare il pane a casa.
Cosa ci dice il successo di questo fenomeno sulle piattaforme e sul pubblico, più che sulle persone che recitano la parte degli NPC?
PinkyDoll e tutte le altre creator che hanno scelto questa strada non sono altro che l’ultimo stadio di un processo di distillazione del content creator nella sua forma più pura, brutale, onesta. Sono il contenuto che piace alle piattaforme senza la sovrastruttura o la pretesa di essere qualcosa di più di una faccia che ripete ossessivamente le stesse cose per un pubblico pronto a fruire passivamente.
Vi ricordate Zelig? Cosa funzionava su Zelig? Cosa ha portato gente semisconosciuta a entrare nelle case di milioni di persone, scrivere libri, fare film, ospitate eccetera? Il tormentone. La frase ripetuta ossessivamente, che finiva per diventare la parte che definisce il tutto. Cosa rende un meme virale? La sua capacità di replicarsi facilmente, di piacere e di riuscire a mescolarsi con ogni ambito e nicchia possibile.
Guardate, guardate bene i reel che hanno successo. Si ci sono quelli belli, montati bene, con l’effetto figo e la musica giusta, ma quanti ne vedete che ripetono ossessivamente la stessa maledetta gag?
Quante volte avete visto in questi giorni Bill Hader che balla sulle note di Makeba?
E prima quanti video avete visto che ripetono la stessa frase? E quanti ne avete fatti sperando di entrare nel trend e fare qualche like?
Allarghiamo il campo, se non vi basta: quanti creator in qualche modo prima creano una serie di tormentoni e poi diventano schiavi del loro personaggio, in qualche modo costretti a replicare sempre gli stessi meccanismi che ne hanno decretato il successo?
Quanti presunti provocatori devono per forza attaccare ogni giorno qualcosa perché il pubblico si aspetta quello, esattamente come se fossero degli npc che devono reagire allo stimolo del giocatore?
E noi vogliamo veramente arrabbiarci con questa ragazza che ripete frasi a macchinetta e ci fa dei soldi? Sarebbe forse meglio se facesse sempre gli stessi gesti a una catena di montaggio? O cucinasse sempre i nostri hamburger senza lamentarsi? Sarebbe più dignitoso, davvero? Oppure semplicemente sarebbe una subalterna a cui potremmo propinare serenamente la favola del “se ci credi puoi avverare i tuoi sogni” mentre ripete ossessivamente “vuole un sacchetto?”.
Parliamo tanto di innovazione, ma poi quando quell’innovazione arriva fuori dai nostri bias o da ciò che pensiamo di saper fare diventa degradante.
Sorvolando sul profilo psicologico di chi ha bisogno di controllare almeno una parte delle vite altrui offrendo dei soldi per ascoltare le stesse frasi, ma anche su quanto per alcune persone sia ipnotizzante l’idea di un personaggio che ripete sempre le stesse frasi, essere un content creator è esattamente ciò che fanno queste persone.
Creare un simulacro di sé e spremerlo non appena hai trovato quella singola cosa che funziona e che puoi ripetere all’infinito.
Una delle prime cose che ti dice qualsiasi corso per fare contenuti è “copia gli altri, copia ciò che funziona, analizza i trend, fai tuo ciò che fanno tutti. Fallo tuo ma copia”. Tutti si vogliono lavare la coscienza alla fonte dell’originalità, ma non interessa veramente a nessuno.
Pensate che le nostre foto tutte uguali su Instagram siano meglio? Pensiamo che tutti i video tutti uguali che commentano tutti lo stesso film, la stessa serie, la stessa polemica, siano qualcosa di molto diverso?
E quando reagiamo sempre nello stesso modo ai trigger, ai clickbait, alle lagne sul politicamente corretto e non si può più dire niente?
Il trend degli NPC ci mette di fronte allo scheletro della creazione di contenuti e ci mette a disagio, perché non cerca di essere più di quello che è, non maschera la meccanica dell’essere una scimmia che balla per gli spicci.
È bizzarro? Eccome. È inquietante? Hai voglia. Dice tanto su dove siamo finiti? Sì, ma attorno si vedono tanti scheletri che fanno finta di avere la pelle addosso e ripetono comunque la stessa cosa, ma sperando che non ce ne accorgiamo.
Link!
Ho scritto di Kevin Mitnick, l’uomo che ha incarnato lo sterotipo cinematografico dell’hacker.
Link, idee per la TV, che già è un sito che amo, ha questi approfondimenti su come i bambini consumano i prodotti audovisivi che secondo me è oro.
butta sul tavolo una domanda importante: ma il digitale riesce a creare dei brand nell’epoca della dispersione?L’epoca delle riviste videoludiche monomarca su
Per rimanere aggiornati su una delle più importanti industrie culturali, quella dei manga,
resta un’ottima lettura.
“L’originalità h rotto il ca**o” semi citando Renè di Boris. Hai perfettamente ragione quando dici che è inutile che puntiamo il dito verso chi produce contenuti, perché i creatori, di qualsiasi tipo, non hanno più interesse a seguire un percorso di qualità e di originalità, quando il pubblico premia determinati contenuti. Proprio ieri parlavo di come mi è toccato mettere i filtri ad i contenuti Twitch che propongono ragazze semi discinte che respirano nei microfoni.