Questa newsletter ti renderà una persona attenta e informata sui media!
E altre cose che diciamo per farci leggere, farti sentire intelligente e farti interessare al nostro lavoro di comunicatori, ah si parla anche di rapporti poco chiari con gli sponsor.
Ci sono situazioni che si accumulano per anni e fermentano come vini frizzanti e ogni tanto il tappo salta. In questo caso a fare pop è stato il tappo di Italian Tech e il contesto è quello della sostenibilità dei progetti editoriali e, soprattutto, cosa sono per chi li finanzia.
Vi ricordo che su Italian Tech ci scrivo anche io e che alla Tech Week ho anche moderato un panel due anni fa, lo dico per la massima trasparenza.
La Italian Tech Week è un evento grosso, con ospiti di grosso calibro, organizzato per prestigio, per incamerare un botto di soldi con cui sostenere il giornale e, soprattutto, dare risalto a Exor, ovvero (anche) Stellantis e agli sponsor coinvolti.
Per capirci, sul palco a dialogare con Sam Altman non c’era un giornalista, magari il direttore, c’era John Elkann. Ora capiamo meglio perché.
È un prodotto editoriale che viaggia in quella zona grigia in cui i confini tra un articolo e una pubblicità sono sfumati, spesso molto sfumati, ma sempre concertati tra agenzia stampa e redazioni. Sono cose che fanno tutti, ma su cui si cerca di mantenere una parvenza di equilibrio da pubblicità e informazione.
Almeno fino a quest’anno, quando tutto è stato affidato a un’agenzia di comunicazione, togliendo la gestione a Riccardo Luna, direttore di Italian Tech e di fatto imponendo i contenuti (aka, pubblicità) del fascicolo che va in allegato al quotidiano e quelli che sarebbero finiti sulla sezione.
Sono seguiti due giorni di sciopero di Repubblica (La Stampa non ha aderito) che hanno bloccato il fascicolo e danneggiato la pubblicazione dei contenuti della Tech Week. Una risposta forte, che ha stizzito i proprietari, tanto da fargli mettere al volo lo streaming delle conferenza sul sito di Repubblica per tamponare il danno. È persino serpeggiata anche l’idea della vendita del gruppo GEDI.
È difficile spiegare perché questa situazione, che pare identica alle mille viste fino a ora, non lo sia poi così tanto, perché fa parte di quelle robe ombelicali che interessano soprattutto a chi nei giornali ci lavora. Ma per capirci è lo svelamento di un meccanismo senza più alcuna pretesa di decenza, è il Re Nudo, anche se già al massimo girava col tanga.
Un po’ come quando paventi di voler ridimensionare la raccolta di firme online perché ormai è troppo facile arrivara a 500.000 sottoscrizioni o punisci gravemente proprio quei reati di chi protesta contro la scarsa consapevolezza dei governi in materia di cambiamento climatico.
Come racconta bene Charlie, la newsletter de Il Post sul giornalismo: “L’impressione è che la proprietà del gruppo GEDI non sia stata capace finora di nessuna visione innovativa e lungimirante sui giornali che ha deciso di comprare cinque anni fa (li ha venduti quasi tutti, tenendo solo i due maggiori) e oggi pretenda solo di servirsene e limitare le perdite, sfruttando come può, e senza coinvolgerle, imprese che ritiene fallimentari e problematiche al servizio di quelle di maggior visione e floridità economica. E a un certo punto quelle prime imprese - i giornali - se ne sono accorte.”
Per chiudere bene, nel corso della Italian Tech Week è stato anche annunciato un accordo tra GEDI e OpenAI: fondamentalmente OpenAI paga GEDI per accedere alle sue fonti in cambio di una promozione delle suddette in SearchGPT. Soldi per evitare cause future che, possiamo starne certi, non arriveranno a nessuna delle persone che quelle fonti le scrivono e che non miglioreranno la situazione di giornalisti interni e partite iva.
Ascolta me per diventare intelligente
Cose come questa sono senza dubbio uno dei motivi per cui in questi anni le persone hanno iniziato a cercare altrove le proprie fonti di informazioni. Con risultati ovviamente altalenanti perché dietro le etichette di stampa indipendente e nuovo giornalismo si possono trovare specchiati professionisti, complottari pericolosi, altre persone che cercando di fare soldi con pubblicità mascherate o direttamente personaggi pagati per vivere di disinformazione.
C’è una cosa che però spesso accomuna questi progetti indipendenti, che si parli di politica, costume, serie tv, videogiochi: la promessa al lettore di renderlo più formato, più attento, più scaltro, dando valore al suo tempo.
Leggimi non tanto perché ti vuoi informare, ma perché vuoi avere accesso a una conoscenza superiore e perché io do valore al tuo tempo.
Prendete ad esempio il claim di Breaking Italy di Alessandro Masala, che in questi anni è diventato una bellissima storia di “content creator journalism” e che sulla sua pagina YouTube scrive: "Shy", presenta e commenta le notizie più interessanti della giornata, presentandole come stimolo allo sviluppo di un pensiero critico.
La sentite la promessa di rendervi migliori? Non solo più informati, ma proprio il fatto che grazie a lui svilupperete un pensiero critico?
A margine, gira e rigira il giornalismo nuovo nato sui social poi in qualche modo sempre al sito internet deve tornare, visto che Breaking Italy ha annunciato che aprirà un proprio sito, probabilmente per gestire direttamente gli abbonamenti, senza le commissioni di Patreon o gli spiccioli di Youtube. Magari però di questa cosa, e anche dell’ossessione che abbiamo per doverci far pubblicare, ne parliamo la prossima volta.
Se vado invece sul sito di Will Media mi trovo di fronte al vero motivo per cui la gente si informa: Stasera su cosa vuoi fare un figurone a cena?
Bello sto new journalism che ti dice chiaro e tondo che sarà il tuo alleato nelle chiacchiere da bar.
Che se ci pensate, al di là di ogni posizione snobista, è vero: la gente consuma contenuti informativi per avere un’opinione mentre è seduta al bancone o a cena con la famiglia. E coltivare questa illusione di formazione dello spirito critico è solo una buona idea di marketing.
È per certi versi lo stesso motivo per cui esistono tantissimi contenuti pop che spiegano i finali, spiegano cosa ti devi leggere prima di vedere quella serie Marvel, spiegano questa cosa o quell’altra. Così non fai le figuracce con gli amici nerd.
E tutto questo, badate bene, senza neppure quei piccoli inconvenienti di una redazione che si mette di traverso quando a dettare la linea editoriale sono le agenzie pubblicitarie, perché il giornalismo moderno e contemporaneo ha superato certi imbarazzi e fa tutto alla luce del sole.
Esattamente come le sponsorizzazioni per un content creator sono viste in modo positivo perché ne certificano la fama, allo stesso modo la sostenibilità (parola che giustifica qualsiasi cosa) di un progetto prevede che tu possa prima parlare di inquinamento e poi fare
Di fatto l’impressione è che oggi il giornalismo e l’informazione siano utili solo come generatore di nozioni da utilizzare nel Trivial Pursuit che è la vita. La nostra sopravvivenza è data da quanto facciamo sentire intelligenti le persone mentre ci leggono.
Potrà sembrare una posizione cinica, ma ha i suoi risvolti positivi. In fondo è solo un modo brutto di dire che le persone le conquisti raccontandogli qualcosa che potrebbe interessarle. Perché oggi non cercano la notizia in quanto tale, quella possono trovarla facilmente, cercano qualcuno che li aiuti a orientarsi in un mondo pieno di cose che succedono contemporaneamente, disinformazione, notizie false, guerre culturali, guerre vere, sovrastimolazioni sensoriali, paura del futuro e nostalgia di quando eri giovane e tutto sembrava più semplice.
Se sai dare questo forse hai un futuro nel giornalismo. E infatti c’è chi sullo “spiegare bene” ci ha costruito un discreto spazio.
E in base all’età che hai o al tuo grado di fastidio verso il giornalismo classico lo cercherai su un quotidiano, un sito web, un video su YouTube, un reel o un TikTok.
Il problema è che questa confusione non sempre (anzi, quasi mai) aiuta la buona informazione e finisci per dare retta a quello che campa delle tue paure o coccola le tue certezze. E questo passa per tutto lo spettro dell’informazione, da chi ti dice che ci sono troppe donne nei videogiochi a chi ti spiega con fatti e logica che le ONG sono i taxi del mare o che son tutti felici in Libano dopo la morte del capo di Hezbollah che è costata centinaia di vittime.
Link!
Fabrizia Malgieri ha collaborato a un bellissimo libro chiamato Videogioco: Femminile Plurale. Cap & Tanz ne hanno parlato con lei.
Qua invece si parla di quello che succede quando diventi famoso nel mondo delle fanfiction e la cosa porta con sé una riflessione su quello che è cambiato nel mondo della creazione di contenuti.
Cosa che mi ha portato a pensare questo.
E ovviamente shout alle due pubblicazioni con cui Heavy Meta ha stretto un sodalizio fatto di persone di una certa età che amano scrivere di videogiochi.