Vivere in Modalità Aereo
Un press tour in cui ho cercato di capire il rapporto tra giornalismo e introversione.
(Ho dovuto editare questa mail dal telefono in auto, abbiate pietà dei refusi)
Tra licenziamenti di massa e altre storie è stata una settimana intensissima per il settore culturale che abito più spesso, quello dei videogiochi. In queste ore è uscito Palworld, ne ho parlato su RaiNews 24, è un gioco che prende tanto da Pokémon, da Minecraft e da altri titoli. Fa quello che hanno fatto migliaia di altri giochi prima, solo in modo più smaccato, e parte del giornalismo di settore sembrava non essere pronto al fatto che avesse così successo, mentre gli altri hanno semplicemente iniziato a creare contenuti per le otto milioni di persone o più che se lo son comprato.
Mi ha fatto strano vedere tanta gente salire improvvisamente sulle barricate della cultura, contro i giochi brutti e stupidi, accanto a quelli che guardano tutti i videogiochi con sdegno e consigliano un buono libro.
Ma credo che il rischio di diventare ciò che si (e ci) disprezza, è forse uno dei più grandi per chi fa un lavoro culturale.
Spesso c’è questa immagine romantica e un po’ avventurosa del freelance che lavora ovunque, ma se c’è un posto dove non riesco a scrivere una parola quello è l’aereo. Non so se sono gli spazi o se la mia mente decide che in aereo o si dorme, o si recuperano film o si legge, ma non appena le ruote staccano dalla pista io entro in uno stato molto particolare. Tendo a non alzarmi, cerco di tenere tutto quello che mi serve a portata di mano, come se fossi in un rilassante bozzolo dove consumare informazioni, ma non farle uscire.
Insomma, io ci sto bene nella Modalità Aereo. Isolato, nel mio sedile, con il lettore di ebook, l’iPad, cuffie antirumore e qualcosa da mangiare.
Ero in aereo perché questa settimana sono stato al primo press tour dell’anno, quello dedicato a Final Fantasy VII Rebirth, attesissimo e temuto secondo capitolo del remake di Final Fantasy VII, titolo del 1997 e forse una delle opere più formative della mia carriera di giocatore e vero spartiacque culturale per tanti ragazzi occidentali che fino a poco tempo prima i giochi di ruolo giapponesi li vedevano col binocolo.
È stato un press tour diverso dal solito perché invece che poche persone eravamo almeno una trentina tra giornalisti e content creator. La classica situazione che mi mette sempre una certa ansia, a dire il vero mi viene anche quando c’è poca gente, ma è un’ansia differente.
Eppure, come spesso accade, alla fine è filato tutto liscio, banalmente perché quando sono in ballo riesco a ballare e alla fine, a meno che proprio tu sia una persona spregevole che mi ha fatto dei torti personali gravi, posso riuscire a parlare un po’ con tutti. Lo faccio normalmente, figurati in una sala piena di gente che parla di videogiochi. Figurati se devo riempire il silenzio, quello si che imbarazza sul serio. Anzi, mi hanno pure detto “ma come, dici sempre di essere timido e invece…”.
Che poi non c’è più chiacchierone di una persona con interessi di nicchia quando vede che non viene ignorata o derisa.
Certo, poi mi serve almeno un’ora di decompressione in stanza o farmi un giro in città per i fatti miei, ma quelli son dettagli.
Mi ha fatto solo strano notare una sorta di comportamento automatico di difesa: eravamo a cena in un pub, attorno a noi c’erano megaschermi di competizioni sportive e corse di cavalli. Qualcuno ha detto che i cavalli è vero che si fanno male, ma quando cascano anche il fantino non rischia poco e ha tirato in ballo Cristopher Reeve, l’attore di Superman rimasto paralizzato. Io ho risposto qualcosa tipo “Beh anche Theoden non se l’è passata bene” ma a metà della frase ho abbassato improvvisamente la voce, come se volessi parlare solo con me stesso.
Come se in automatico fossi abituato a non mostrare troppo nozioni o curiosità nerd in automatico, perché meglio evitare. Che poi è esattamente così. Anni e anni di guerriglia sociale mi hanno fatto sviluppare un certo tipo di riflesso condizionato che si attiva non appena quello che potremmo definire “il vero me” esce troppo fuori.
Insomma, io forse la Modalità Aereo ce l’ho di default, sono le connessioni che devo ricordarmi di attivare.
Ma perché vi sto parlando di tutto questo? Perché oggi voglio prendermi una pausa dal commento ossessivo del mondo della stampa per tornare un po’ a parlare della professione, del lavoro, delle pratiche, dei consigli. Che poi è la parte che mi piace di più.
E soprattutto, rispondere alla domanda che mi sono fatto mentre volavo tra Londra e Firenze.
Un buon giornalista può essere introverso?
Di base sembra un po’ un controsenso no? Il giornalista nell’immaginario collettivo è quello con la faccia di bronzo, che fa le domande scomode, che blocca la gente per strada, che si espone, che scrive e dentro di sé pensa abbia senso essere pubblicato e metterci la firma e pure la faccia, se va in tv, o la voce, se va alla radio, o tutte queste cose assieme.
Eppure, non è del tutto vero, si può essere giornalisti senza per forza essere degli estroversi, anche perché esistono molti giornalismi. Certo, la vita di noi amanti della tranquillità è sempre più minacciata dall’assottigliarsi progressivo del confine fra un giornalista e un content creator e da piattaforme che creano contenuti graffianti e polemici, ma non siamo ancora spacciati.
Intanto, un introverso non è automaticamente una persona timida. Essere introversi vuol dire essere più rivolte al proprio mondo interiore, alla solitudine, alla calma, al ruminare costante delle informazioni che ricevi, all’ascolto.
Sono tutte caratteristiche che possono tornare molto utili nella propria carriera.
Se amate passare del tempo nella lettura, in solitudine, quello è un ottimo momento per documentarvi su ciò che dovete fare, per controllare le fonti, la bibliografia, per scrivere quel pezzo pieno di riferimenti. E per quanto la collaborazione sia importante quella può arrivare in un secondo momento, con un parere o una verifica. Prima tutti i miei pezzi, anche quelli che mi sono piaciuti meno, anche quelli più faticosi o meno ispirati sono miei. Sono come una delle miniature che dipingo in solitudine
E mi incazzo allo stesso modo quando vengo disturbato.
L’amore per la solitudine vi tornerà anche molto utile quando dovrete lavorare senza aver mai visto una redazione, magari con le cuffie in testa in una sala stampa, in hotel, in treno, in aereo no però, come ho già detto. Anche perché i viaggi sono pieni di momenti in cui si è da soli, magari a cena, magari a un evento, in aeroporto.
Ho letto molti libri sul lavoro, sui metodi di lavoro e di scrittura e più o meno tutti concordano sul fatto che una concentrazione solitaria è molto importante. Bello il Networking, ma la produzione tecnica e artistica è spesso un atto solitario. E se sapete gestire questa solitudine, anzi, la cercate, è meglio.
Essere introversi può voler anche dire passare molto tempo a osservare gli altri senza interromperli, perché preferite così. Questo può essere un fattore determinante in alcune interviste, soprattutto quelle fatte bene, in cui non ci limitiamo a stilare una lista di domande da sparare a raffica, ma entriamo in contatto con l’altro, gli lasciamo una pausa quando serve e capiamo dove spingerci se potrebbe esserci qualcosa di interessante. Essere introversi non vuol dire essere automaticamente persone empatiche, ma aiuta.
A tutto questo si aggiunge anche un fattore su cui ho scritto più volte: ci si abitua anche a essere ogni tanto meno estroversi, o meno timidi, si maschera, si diventa “introversi funzionali”, ci si concentra su quello che si deve fare e lo si fa, ci godiamo per un po’ il contatto col pubblico. A volte è un po’ come fare esercizio fisico: una gran fatica a pensarci ma dopo le endorfine ti fanno dire “dovrei farlo più spesso”.
Parte del gioco è anche la vertigine dell’ignoto, del rischio, dell’emozione del confronto, che lo si voglia ammettere o meno.
Alla fine, siamo tutta gente che mette sul banco la propria opinione, quindi, anche il più timido, introverso, chiuso di noi è comunque uno che quella roba l’ha scritta perché qualcuno la leggesse.
Perché introverso sì, ma ignorato no, grazie.
Link
Questo titolo potrebbe piacerti se ami la guida e le atmosfere weird.
Quest’anno sono 50 candeline per Dungeons & Dragons. Ne avevo scritto tempo fa.
Un discorso molto interessante sulla crisi degli intellettuali progressisti.
Una roba che mi fa particolarmente schifo, quasi quanto le notizie che sono “abbiamo chiesto a questo attore se gli piacerebbe fare quel film” : fare giornalismo così.
Che cazzo doveva risponderti?
Molto bella
Viva gli introversi! (hai letto "Quite", vero?)