"Alcune delle mie parole, contesto e intenti sono purtroppo andati persi”
Uno strano caso di aziende che si sparano sul piede intervistando una delle loro figure di punta e la mia prima tribuna politica.
In questi giorni ho preso lezioni di boxe da un ex campione europeo (e molte altre cose), Leonard Bundu, che candida qua a Firenze per il Quartiere 2, poi nella stessa giornata ho visto un balletto di una compagnia mista russo-ucraina, ho imparato a fare il caffè con l’aeropress (e a prova di stupidi come me), ho dipinto miniature, ho scritto, ho volantinato. Ma soprattutto, qualche giorno fa sono stato a un confronto elettorale tra i candidati e candidate per la figura del sindaco di Firenze. È stata una delle serate più divertenti degli ultimi anni.
La sala era piena di gente, con le varie “tifoserie” ben separate e pronte ad applaudire fortissimo per dare l’illusione che il proprio candidato fosse il più apprezzato. Non sono mancate occasioni di protesta contro la situazione in Palestina, un accenno di rissa, proposte pittoresche tipo “riportiamo il Fiorino a Firenze”, manco fosse il token per la birra a un concerto, e momenti di confronto acceso.
In particolare, ho trovato molto interessante capire come ogni politico sfrutta il tempo a disposizione. Ogni risposta poteva durare un solo minuto, che può essere tanto se non sai che dire ma poco se lo sprechi attaccando gli altri o evocando scenari apocalittici senza proporre soluzioni. Che poi è esattamente quello che è accaduto in alcuni casi. La trovo una scelta particolarmente miope, ma forse nel grande gioco della politica ha senso perché dimostri che sei aggressivo e rispondi gli attacchi. Però se passi il tempo a rispondere agli attacchi non parli mai di quello che vorresti fare.
Il mio idealismo è tale per cui sono convinto che, se questi dibattiti fossero visti da tutta la cittadinanza, sarebbe palese la vittoria del candidato più preparato e in grado di esporre le sue idee con concretezza. Poi torno sulla Terra, a riportarmici è stato il tizio accanto a me che fino al momento prima aveva commentato ogni risposta tirando in ballo il rispetto e legalità, arrabbiandosi perché “i manifestanti per la Palestina invocano il diritto di parlare ma lo tolgono a noi!” e poi, mentre sul palco si parla di Firenze come “mangificio” che ha allontanatodal centro botteghe e fiorentini, mi dà di gomito e sentenzia “eh, io per aprire una enoteca in centro ho dovuto fare una mezza truffa e comprare una licenza da un intermediario facendola passare di nascosto come fornitura di mobilio per il negozio”.
Sipario.
Interviste che non lo erano
Le discrepanze tra quelle che le persone dicono nelle interviste e quello che viene pubblicato, anche inventandosi delle frasi, può capitare, per fortuna non sempre, ma capita. Soprattutto quando si decide di mettere una frase come titolo, perché i titoli devono essere brevi. A volte capita anche dentro il pezzo, magari per sintetizzare un discorso più lungo e magari illeggibile, raramente per malafede.
Ma che succede se quelli che travisano sono proprio quelli che dovrebbero farti pubblicità?
È successo qualcosa di simile a Neil Druckmann, che forse conoscerete per essere uno degli autori di The Last of Us, videogioco diventato Serie TV di grande successo che a sua volta ha curato. Druckmann è uno dei personaggi in vista del settore ma soprattutto di Sony, visto che a capito di uno dei suoi progetti più premiati e apprezzati, ma soprattutto che garantiscono quell’allure culturale che fa tanto bene alle PR.
Qualche giorno fa Sony ha pubblicato una intervista interna al sior Druckmann in cui faceva delle uscite molto sicure di sé, per usare un eufemismo. In particolare, secondo le parole riportate veniva detto che il suo prossimo gioco avrebbe ridefinito la percezione dei videogiochi nella cultura mainstream. Una roba abbastanza forte, anche per uno che normalmente non è nuovo a uscite anche polemiche e a prendere di petto le critiche.
Il giorno dopo l’uscita dell’intervista Druckmann ha detto, semplicemente, che non aveva detto quelle cose, che qualcuno aveva capito male, anzi, per essere precisi a detto “Nel modificare le mie risposte sconclusionate nella mia recente intervista con Sony, alcune delle mie parole, contesto e intenti sono purtroppo andati persi”. Che è un modo molto gentile di mettere la situazione.1
In verità Druckmann voleva dire che eventi come la serie TV di The Last of Us mostrano al pubblico mainstream il potenziale narrativo del videogioco e si augurava un successo e un risultato simile anche per il nuovo progetto. Curioso anzi no, che tra le frasi editate ce ne fosse una in cui sosteneva che i videogiochi “non devono essere per forza film o serie tv”, cosa che invece la compagnia desidera moltissimo.
Sony stessa ha scritto una nota di scuse e ha pubblicato l’intervista reale e non editata, caso molto raro e forse legato anche al bisogno di non indispettire uno dei suoi autori di punta. Tra l’altro è interessante come Druckmann non abbia aggiunto niente su un’altra parte dell’intervista che è piaciuta poco, quella in cui si è dichiarato entusiasta per l’uso della IA in futuro, e su cui Sony ha cercato di glissare allo stesso modo.
Ma d’altronde quella, pur sembrandolo, non era una intervista, era marketing.
Sempre più spesso le aziende, soprattutto quelle di videogiochi tendono a voler controllare ogni aspetto della comunicazione. Ti dico io cosa puoi dire, quando puoi dirlo, spesso anche come dirlo e con quali asset audio e video dirlo. Cercano, lo abbiamo detto spesso, una disintermediazione totale tra azienda e pubblico. Questo lo si ottiene creando spazi di proprietà, blog, riviste, canali video o streaming, che, per certi versi, finiscono per fare concorrenza alle testate o con un proprio gruppo di creator “ufficiali” a cui dare un accesso privilegiato.
Lo si ottiene soprattutto creando contenuti che fingono di essere giornalismo, ma non lo sono. Sono comunicati stampa mascherati da giornalismo. E quando succedono queste cose non te la puoi manco prendere con la stampa cattiva.
Anche perché, per quanto anche i giornalisti condensino e a volte estrapolino frasi dal contesto, una roba così non sarebbe mai successa. Perché se poi viene fuori l’azienda ti fa il culo, il tuo capo ti fa il culo, il pubblico ti fa il culo.
Forse però prima a dire “fingono” sono stato cattivo, perché non credo sia intenzionale. Semplicemente, se i blog aziendali possono essere confusi in qualche modo con i siti è perché ormai l’erosione del concetto di giornalismo nel mondo tech e videoludico è a un livello così alto che difficilmente i siti vanno oltre quello che viene loro comunicato o un contenuto che possa ingraziarsi la SEO. Col rischio di perdere anteprime, accesso, e magari pure sponsorizzazioni, la posta in gioco è troppo alta.
Per capirci, la frase di Druckmann avrebbe potuto far parte di una serie di interviste concesse alla stampa in cui avrebbe detto più o meno a tutti le stesse cose. Solo che difficilmente qualcuno avrebbe tagliato così male.
Il massimo che i siti si concedono è qualche editoriale, retrospettive, l’eventuale analisi pungente o, visto che adesso stiamo entrando nel periodo degli annunci estivi, riprendendo la tonnellata di trailer che usciranno di giochi che potrebbero sparire o essere ulteriormente spostati, aizzando un po’ di bagarre per decidere chi ha “vinto” e chi ha “perso”, facendo il contropelo a chi non ha la grafica abbastanza bella, salvo poi scrivere editoriali su quanto il settore ormai sia troppo competitivo e non sostenibile. Ovvero un vuoto esercizio di stile che alimenta l’aggressività interna del settore.
E via via che sempre più giornalisti smetteranno o si trasformeranno i creator, lasciando le nuove leve senza guida e consigli, la situazione non potrà che peggiorare.
Parlo ovviamente per l’estero, in Italia la situazione è ancora più drammatica, con un livello economico disastroso, una deontologia praticamente assente, una forte aggressività generalizzata, la totale mancanza di un senso di collaborazione fra colleghi e un pubblico pronto ad azzannarti al minimo accenno di un discorso che si permette di fare analisi politiche o sociali vagamente più strutturate o critiche.
Insomma, sempre la stessa storia.
Link e cose
Su N3rdcore continua la grande bellezza della rubrica sulle ship e i fandom.
E si parla di un bel libro su Frank Miller.
Heavy Meta è gemellata, o comunque gioca in sala giochi assieme a:
Vox Media, uno dei principali editori USA di Tech e altro ha fatto un accordo con OpenAi per usare gli scritti dei suoi redattori per allenare le IA. Ovviamente la cosa non è stata presa bene e anche solo il fatto che sia stato fatto questo accordo ci mostra l’etica e il rispetto medio per chi scrive.
Da Charlie, la newsletter de Il Post sul giornalismo.
È capitato spesso, ormai persino da decenni, che venisse messa in discussione e criticata un'inclinazione del giornalismo a mescolarsi troppo con "l'intrattenimento", e che queste ibridazioni prendessero anche il nome di "infotainment": con accenti critici da parte di chi teme che il ruolo di servizio pubblico dei giornali finisca per cedere troppo terreno a queste più frivole funzioni (che nei giornali ci sono sempre state: i cruciverba, i fumetti, le ricette, gli oroscopi). Ma nelle consuetudini di una parte del giornalismo italiano lo squilibrio verso l'intrattenimento è così visibile da occupare lo spazio principale: ovvero i giochi di parole nei titoli da prima pagina. E quanto questo sia considerato normale e benvenuto lo dimostra che alle eventuali critiche sulla povertà e ingannevolezza informativa di quegli spazi così importanti e visibili, i loro difensori rispondono celebrando le occasionali riuscite spiritose piuttosto che mettere in discussione l'approccio stesso: a conferma che farci sorridere è ritenuta da una parte dei lettori (e dei giornalisti) una missione prioritaria dei giornali.
https://www.videogameschronicle.com/news/neil-druckmann-claims-he-was-misquoted-by-sony-over-redefine-gaming-comment/