Appunti per un corso di scrittura - 12
Piero Angela, Barbero, quell'insegnante che ti ricordi dal liceo e che ti ha fatto appassionare a una materia condividono tutti la stessa intuizione.
Siete più inclini ad ascoltare qualcuno che vi dice “adesso ti racconto una storia” o chi vi dice “siediti e ascolta questa lezione?”.
Sono giorni in cui lo storytelling mi nausea pesantemente, ma non credo sia colpa dello storytelling, quando dal fatto che purtroppo stando molto sui social e leggendo i giornali vengo esposto abbastanza di frequente ai suoi lati peggiori. Ma ci sono un sacco di modi in cui il racconto per metafore, immagini e narrazioni può essere positivo, uno di questi è la divulgazione, scientifica e non.
Negli ultimi anni la terrificante figura dei blastatori e i burionismi vari, nati come risposta alle pulsioni antiscientifiche, no vax e così via, ha mostrato il lato peggiore della divulgazione scientifica: quella basata sul classismo, sul fatto che tu devi solo stare zitto e ascoltare i fatti incontrovertibili e sentirti anche un po’ in colpa perché sei ignorante.
Ma io vengo da un’altra scuola, quella altrettanto ferma nei principi ma molto più gentile di Piero Angela, che scienziato non era, ma divulgatore sì. Oggi parliamo di come si possono raccontare cose difficili in modo complesso, partendo da quello che abbiamo detto la volta scorsa.
La Narrazione Formativa
Al di là delle parabole e delle fiabe, che utilizzano la storia per fornire esempi di comportamenti buoni e cattivi con cui costruire un impianto valoriale, poco importa che tu sia un bambino o un tizio in Galilea che ascolta il figlio del falegname, la narrazione per immagini è utilissima per aiutare le persone a capire concetti complessi.
E non pensiate che tocchi solo a scienziati, professori, potrebbe capitare anche a voi di dover sintetizzare o raccontare qualcosa che conoscete meglio di altri. Anzi, probabilmente è il motivo per cui sarete scelti per collaborare.
Avete presente i classici libri “La fisica di Star Trek” o “La filosofia dei Simpson” e così via? Sono tutti esempi di storytelling scientifico che utilizzano elementi noti e pop per introdurre elementi complessi legati a vare sfere del sapere umano. Un altro ottimo esempio è la collana Comics and Science del CNR in cui autori e autrici come Zerocalcare, Ortolani, Troisi, Barbato ecc raccontano le IA, le particelle subatomiche, il calcolo, i satelliti e così via utilizzando il fumetto.
Ma sto divagando, come si applica tutto questo alla vostra scrittura e più in generale al vostro modo di raccontare le cose?
L’assioma base dello storytelling educativo e scientifico è portare tutto a una dimensione che si il più comprensibile possibile per chi ci sta leggendo. “Chi ci sta leggendo” è ovviamente una variabile che in alcuni casi possiamo controllare, come in un testo scolastico e in altri molto meno, ad esempio quando scriviamo un saggio o ci troviamo di fronte a una platea eterogenea.
Come ho detto all’inzio, il solo gesto di “raccontare una storia” porta con sé dei significati e delle potenzialità grandissime. L’approccio con cui le persone si avvicinano a ciò che volete dire è completamente diverso rispetto al concetto di lezione, che nella nostra testa rimanda subito a contesti scolastici e forzati.
Certo, alla fine serviranno comunque lo studio, le regole, le date e i concetti, ma cambia completamente il modo in cui vengono veicolati. Va anche detto che ci sono argomenti scientifici molto più adatti al racconto rispetto ad altri.
L’evoluzione della vita sulla Terra è senza dubbio più immediata rispetto al calcolo differenziale, ma ci sono tanti modi con cui possiamo abbassare verso la reticenza, la noia, lo scarso interesse o il senso di inadeguatezza verso gli argomenti complessi o, banalmente, sconosciuti.
Conoscere è amare
Potrà sembrare una massima stantia e un po’ zuccherosa, ma la considero molto vera. Io non sono mai stato un grande amante delle moto, ad esempio, ma una volta sono stato invitato da Ducati a tenere da loro una lezione su videogiochi ed esport.
Prima della lezione mi hanno fatto fare tutto il giro della fabbrica, passando per le line di assemblaggio, il controllo qualità e infine nel Museo Ducati dove sono conservate i primi modelli e quelle storiche che hanno vinto Mondiali e partecipato a eventi in tutto il mondo.
Sono uscito che forse quasi quasi volevo una moto e volevo imparare a usarla. Di sicuro con un rinnovato rispetto verso chi ci lavora. E la stessa cosa mi è successa col ciclismo, sport che mi ha sempre preso pochissimo, adesso che ho avuto modo di lavorare alla organizzazione dei contenuti del Giro d’Italia.
Parlando di videogiochi invece mi capita spesso di dover abbattere barriere precostituite, luoghi comuni e quant’altro. Facendo una lezione ho incontrato una donna che odiava i videogiochi e pensava fossero oggetti nocivi per il figlio.
Le ho raccontato di padri che perdono i bambini e usano il videogioco per elaborare il lutto, di come siano strumenti di rappresentazione e racconto e non solo e non sempre macchine per fare soldi.
Come sempre, non posso darvi regole generali, perché non esistono, ma posso cercare di sintetizzare la mia esperienza e ciò che ha funzionato in passato.
Persone, non nozioni: quando parliamo di storia o scienza ci dimentichiamo che dietro quelle scoperte e quei fatti ci sono delle persone. Esseri umani con dubbi, emozioni, intuizioni. Partire raccontando le persone è un buono modo per umanizzare i concetti e magari mostrare al pubblico che anche le persone più geniali hanno dubbi o ripensamenti, anche loro falliscono e riprovano. Però non dite che Eistein l’hanno bocciato a scuola perché non sapeva la matematica, non è vero.
Racconto per immagini: dicevamo la volta scorsa che la nostra mente adora lavorare per immagini, metafore e similitudini. In fondo per questo internet una volta veniva chiamata World Wide Web: la ragnatela era una metafora efficace per darci l’idea di connessione. Così come ha attecchito l’idea che in rete si “naviga” mentre gli inglesi “surfano”, attività che ci ricorda la grandezza di questo spazio ma anche la possibilità di rimanere in superficie o spingersi in profondità.
Qualcosa che conosco: Se dico a qualcuno che postando le sue foto online o spedendole a sconosciuti fa qualcosa di rischioso magari non ottengo lo stesso effetto di domandare “metteresti una tua foto in costume sulla bacheca scolastica?”. Allo stesso modo, posso raccontare una cellula elencando in maniera precisa e prolissa tutti gli elementi o cercare delle similitudini con una fabbrica, una macchina, qualcosa che possa sovrapporre, almeno in parte, la conoscenza pregressa con quella da acquisire. Spesso quando racconto la complessità della storia videoludica uso l’espressione “siamo passati dalle pitture rupestri al postmodernismo in cinquant’anni” per allinearmi con un pubblico che magari ha nozioni di arte, anche solo imparate a scuola.
Dal semplice al complesso e viceversa: A volte il racconto deve muoversi come quando allarghiamo piano piano una mappa. Penso a “Kult”, un bellissimo podcast commissionato dal Comune di Cavriago per raccontare la storia del busto di Lenin che si trova nella sua piazza principale. Da questa idea Eleonora Sacco e Angelo Zinna partono raccontando la storia del Comunismo sovietico, il suo sviluppo, i suoi personaggi, le sue divisioni per poi tornare di nuovo a parlare del busto, facendo parlare nel frattempo figure accademiche ed esperte. E in men che non si dica hai avuto le tue lezioni di storia. Viceversa, a volte possiamo partire da un concetto complesso e colmarlo con una metafora più semplice, partendo da una visione di tutta la Terra per zoomare su quel dettaglio che in qualche modo descrive il tutto. Magari mentre facciamo una chiusura a effetto.
Ironia: questa è un’arma fondamentale del buon divulgatore. Pensate a Barbero e al suo inserire ogni tanto una battuta per sdrammatizzare (ma questo forse ha più a che fare col public speaking) oppure il suo raccontarci l’assurdità del regime fascista con la famosa “lista del molibdeno”. Pensiamo a come possiamo raccontare fatti storici, leggi della fisica e personaggi illustri sfruttando qualcosa che trasformi una lezione intrattenimento.
Doppio taglio
Ovviamente l’infotainment, se vogliamo chiamarlo così, non è esente da rischi.
Innanzitutto, non dovremmo accontentarci di immagini logore e abusate, anche sbagliate. Pensiamo al racconto di malattia come se fosse una lotta o una competizione, che più volte e stato criticato da chi le malattie le vive.
Non innamoriamoci troppo delle metafore se dobbiamo forzarle per far tornare il discorso. L’obiettivo finale è sempre la chiarezza, non far vedere quanto scriviamo bene. Ripensando al tanto discusso articolo su Nvidia di Rampini (perdonate l’accanimento, non è personale, giuro) lui dice che quella della IA è una corsa all’oro in cui i processori Nvidia sono i badili e per questo anno successo. Ma l’oro è stato trovato per caso, sulle IA si lavora da anni e con un indirizzo preciso. Per la voglia di semplificare si passano informazioni false.
Non spieghiamo troppo le nostre metafore, non indugiamoci su, non sgonfiamole come barzellette che capiamo solo noi e ci ostiniamo a far capire. Come già detto, non sono il centro del discorso, sono scale per salire più in alto, ma ci deve salire chi legge, non noi. Far vedere con le parole non vuole dire tirarla per le lunhge.
Non mescoliamone troppe di ambiti differenti, se iniziate con una metafora sul cibo non mescolatela con una legata all’ambito bellico, per esempio.
Infine, banalmente, dite la verità, documentatevi, ricordatevi che il nostro è un servizio in cui l’obiettivo è far capire e, solo dopo, apparire.