Appunti per un corso di scrittura - 11
Continuamo il nostro viaggio nello storytelling, parlando un po' di stile, soluzioni e consigli
Un’altra lezione per tutti? Ebbene sì, ma da Giugno credo che tornerò alla modalità “mezzo paywall” perchè è bello farsi conoscere ma anche rispettare chi si è abbonato.
La scorsa settimana abbiamo definito alcuni concetti base dello storytelling, evidenziandone il motivo per cui ci piace così tanto e perché sia stato una componente fondamentale della storia umana. Ci piace dire che oggi viviamo nell’epoca delle storie, perché tutti ci raccontiamo e senza dubbio ci sono stati dati molti più strumenti per farlo, ma le storie, come sappiamo ci dominano da sempre.
Ma come possiamo dominarle? Una volta definite le categorie come si raccontano queste storie? Quali sono le tecniche principali e, volendo esagerare, come si sviluppa il proprio stile nel farlo?
Lo stile, ve lo dico subito, non posso insegnarvelo io, chiunque vi dica il contrario vi sta truffando, ma parleremo anche di stile e soprattutto di tono di voce, ma non oggi.
Come ci racconta l’esempio di “Vendesi: scarpe da neonato, mai indossate.” e come vi raccontavo anche nel capitolo dedicato all’ascoltarsi e anche quando parlavamo di struttura del testo la scrittura che funziona non è solo una mera ripetizione di dati e fatti, è qualcosa che smuove il lettore ma senza giocare così tanto con le sue emozioni da truffarlo o diventare stucchevole.
La buona scrittura crea immagini, è così che funzionano i libri di successo ma è così che può funzionare anche la scrittura “di lavoro”, quella in cui scriviamo saggi, recensioni o testi per le aziende.
Alle immagini create dalla scrittura, forse la prima forma di multimedialità di sempre, siamo ormai abituati e a volte è difficile aprire il cofano e vedere come funziona. La prima regola è la più semplice e la più difficile, quella che chiunque scriva si è trovato ad affrontare.
“Show, don’t tell”, mostra, non raccontare. Quindi è una regola contro lo storytelling? No, perché le storie evocano immagini e raccontano con esse.
E ricordatevi sempre che potete controllare molto, ma non tutto.
In questa e nelle prossime uscite del mercoledì andremo più a fondo nelle varie categorie di storytelling, con qualche esempio.
Mostrare per definire
Parlavamo l’altra volta di Narrazione Identitaria, forse la categoria più controversa, perché spesso con la propria identità nascono le divisioni, ma è anche fondamentale per tracciare lo spazio in cui si muove un’azienda o una persona (e oggi le persone sono aziende, ahimè).
Un classico esempio di narrazione identitaria sono quegli odiosi oggetti chiamati “bio” ovvero le biografie, le descrizioni i “chi siamo” nei siti aziendali.
Ne ho scritte tante, ne ho lette tante e in molti casi le persone non sanno farle. O esagerano troppo con i toni buffi, quasi fossimo su Twitter nel 2010, oppure esagerano con le formalità, come se fosse il CV in formato europeo.
Ma per quanto possano sembrarci cose futili le bio sono importanti perché nel bene o nel male possono essere il primo punto di contatto con qualcuno che vuole conoscerci e, magari, lavorare con noi.
Oppure può essere qualcosa che ci verrà chiesto di scrivere per conto terzi e, visto che non possono essere toppo lunghe, sono anche un buon esercizio di sintesi e un buon esercizio di “tone of voice” perché una bio non va bene su tutto.
Oggi poi, con tutti i “link in bio” non solo i testi e le immagini sono importanti, ma anche la selezione di ciò che facciamo in modo da interessare senza sopraffare.
Ecco, “interessare senza sopraffare” mi pare un buon principio su cui basare il racconto di voi e da alternare a “spiegare senza annoiare”. Facciamo qualche esempio, così con l’occasione magari rivedo la mia, di bio.
Se vi dico “giornalista, scrittore, autore tv, moderatore, ho vinto due volte il premio come miglior giornalista videoludico dell’anno per DStars, streamer, podcaster, vado in palestra, scrivo su Italian Tech, gestisco un sito di cultura pop, sono un professore di Storia dei videogiochi alla Scuola Comix di Firenze” probabilmente può andar bene se lo spazio è pochissimo ma è anche probabile che vi abbia perso subito. Sia perché messe così queste informazioni non dicono niente su di me se non che faccio molte cose sia perché sembra proprio un elenco vagamente spocchioso di quello che ho fatto.
Se invece vi dico “Ho sempre amato la scrittura e fin dà ragazzo ha fatto parte del mio percorso umano. Ho sempre amato raccontare le cose e spiegarle agli altri, condividere le mie passioni e conoscerne di nuove. Intraprendere la carriera del giornalista, pur con tutte le difficoltà del caso, è stata quindi una scelta naturale per me. Così come lo è stato iniziare da una delle grandi passioni che condividevo con mio padre: la tecnologia e i videogiochi, una bellissima forma espressiva che ha accompagnato la mia vita da sempre. Non è stato facile, ma l’impegno, il supporto di amici e parenti (e un po’ di fortuna) sono un buon tonico per il viaggio, quando ci metti tutto te stesso. Oggi essere “giornalista” vuol dire essere tante cose. C’è la scrittura, ci sono le conferenze, ci sono i programmi televisivi e le parole nei podcast. Ma c’è anche l’insegnamento, sia nel corso di Storia dei videogiochi che della scrittura stessa. C’è il progetto editoriale di N3rdcore e c’è la piccola e bellissima community di Heavy Meta. Cosa posso fare per te?”
Ok è lunga, è rivedibile, non andrà bene per tutti i contesti, ma dentro ci sono un sacco di informazioni mescolate a emozioni e all’idea che non solo faccio tante cose, ma per me è naturale farle perché le ho sempre fatte e quindi sono bravo nel farle. C’è anche un pizzico di umiltà nel riconoscere il ruolo che la sorte ha nel nostro percorso.
Qualche altro esempio
Ma questo ovviamente vale quando parliamo di noi stessi. In altri casi le tecniche di storytelling devono sfruttare altri accorgimenti.
Ad esempio, un’azienda può scrivere “La nostra è un’azienda all’avanguardia nei sistemi di sicurezza per la casa e abbiamo una sede di pronto intervento localizzata vicino alle principali zone di intervento”
Oppure può scrivere “Sappiamo bene quanto la sicurezza sia uno dei valori più importanti, per questo ci impegnano da 20 anni perché i nostri sistemi siano i migliori per le vostre esigenze e siamo al vostro fianco nelle principali città con una unità pronta a intervenire quando ne avete bisogno”.
Posso dire che nel mio negozio troverai tutto il necessario per la pittura e il modellismo, con eventi organizzati per conoscere altri hobbysti e imparare cose nuove.
Oppure posso mettere al centro il cliente e dire “Sappiamo quanto certe passioni siano ancora più belle se condivise. Ecco perché chi ama il modellismo e le miniature per noi non è un cliente, ma un amico con cui condividere idee, consigli e strategie. E sappiamo anche quanto possa essere difficili avvicinarsi a un hobby con la paura di sbagliare o essere giudicati, ecco perché il nostro negozio non solo offre il clima di un pomeriggio tra amici, ma anche gli spazi per corsi, workshop e altre iniziative per iniziare o perfezionarsi!”.
E se devo scrivere “I videogiochi nascono nelle università americane finanziate dall’esercito e per dimostrare che si poteva fare qualcosa con questi calcolatori”…
Magari posso scriverla “Immaginate una stanza piena di luci, ronzii, schermi piccoli e schede perforate. Immaginate rigorosi scienziati e ingegneri che sudano freddo per dare un senso a quei fondi militari che hanno permesso la creazione di compute quanto una stanza. “Che ci facciamo con tutta questa tecnologia?” è la domanda che si pongono ogni giorno. La risposta, per quanto assurda, potrebbe essere “e se la facessimo giocare a tennis?” Così nasce, quasi per caso, la forma di intrattenimento più redditizia degli ultimi vent’anni: i videogiochi”.
Suona meglio, no?
E pensate che non abbiamo nemmeno parlato di un argomento che mi compete meno: le immagini con cui accompagnare tutto questo.
Riassumendo
Non bombardate di informazioni tecniche, annoiano e allontanano le masse, le schede tecniche sono sempre alla fine, se ci sono.
Non prendetela neanche troppo larga, il tempo è denaro.
Pensate alle immagini che volete evocare e dopo alle parole che volete usare.
Pensate a chi vi state rivolgendo e cosa quelle persone vorrebbero sentirsi dire. Se non lo sapete, chiedeteglielo.
Anche la comunicazione più ampia ha sempre un ascoltatore ideale in mente.
Mettete al centro il pubblico, l’emozione, o la caratteristica che farà da gancio emotivo per tutto il resto.
Non abbiate paura, se concesso, di rivolgervi direttamente a chi legge.
Una buona comunicazione sorprende, affascina e così facendo, informa.
Gli oggetti sono un buon veicolo per emozioni e sensazioni.
Cercate la concretezza, non i grandi temi astratti.
Ciao!