L'era del mecenatismo digitale
Come risposta a piattaforme sempre più invivibili, aumentano i contenuti su internet che finiscono dietro uno steccato, mettendo creator e giornalisti in competizione direttamente con Netflix.
L’ossessione della stampa italiana per Vannacci è persino superiore a quella per i Ferragnez. O forse dovrei dire l’ossessione per i click che genera. Ormai è ovunque, intervistato ovunque, i suoi concetti aberranti normalizzati non solo da pubblicazioni di destra ma anche da chi dovrebbe tenersene alla larga.
Questo mi dà da pensare che in fondo la stampa sia un frattale, per cui il micro e il macro sono spesso la stessa cosa e i meccanismi si assomigliano. Vanacci è la versione mainstream nazionale delle voci di corridoio non verificate sulla nuova console Nintendo, sulla lotta tra Sony e Microsoft, le news sulle cosplayer o le derive del politicamente corretto nei film Disney. I click che non hanno odore.
E così come i siti che aizzano le differenze poi si stupiscono delle community tossiche così poi le testate nazionali si stupiscono degli sbandamenti a destra di un elettorato a cui hanno propinato per mesi frasi terribili. Solo che la prossima console Nintendo non rischio di vedermela votata alle europee.
Ricordiamoci sempre che il vero problema non sono mai le persone di un certo tipo, ma chi gli dà spazio.
Spesso mi vengono chiesti pareri sulle creator economy, che poi alla fine è solo un modo per parlare di freelance e giornalismo in maniera più sfumata. Ho visto in questi giorni l’ennesimo canale di creator lamentarsi di come la situazione sia sempre più insostenibile a livello economico: i video vengono monetizzati sempre meno, c’è sempre più competizione, gli algoritmi sono diventati reti che fermano il contenuto più che strumenti per mostrare ciò che ti interessa e la libertà creativa è sempre più limitata.
Tutto giusto e, onestamente, mi sento anche di concordare. Le piattaforme sono ormai luoghi feroci anche per chi prima sembrava vivere di rendita e stare al passo può essere stressante.
Ed ecco perché il video strappalacrime di questi creator, che per tutto il tempo mostrano ricavi bassissimi, rimpiangono i bei tempi andati e un sacco di progetti fermi perché “per noi questo è lavoro, se non girano soldi i video, i podcast e tutto il resto non li facciamo” (che è una posizione assolutamente legittima) si chiude con l’annuncio di un Patreon con cui supportarli e trovare i loro contenuti.
Per chi non sapesse cosa è Patreon: parliamo di una piattaforma che permette di creare abbonamenti con varie fasce di prezzo a cui far corrispondere determinati benefici: contenuti in anteprima o esclusivi, un filo diretto con i creator eccetera.
La prima cosa che mi viene da dire è “benvenuti nel mondo dei freelance e della stampa di settore”. È sempre molto interessante quando per anni va tutto bene, non ti preoccupi più di tanto di quello che succede attorno a te mentre la creator economy cannibalizza un ecosistema, dici di essere il nuovo che avanza e poi improvvisamente arriva il reality check.
Lo ammetto, è difficile non nascondere un sorriso beffardo, che però mi si spegne sulle labbra se penso al panorama della mia professione.
L’altro aspetto interessante è questa ormai continuo ricorso a Patreon come spazio per avere direttamente soldi dal proprio pubblico e ottenere la libertà creativa.
Una scelta che fino a poco tempo fa veniva fatta solo da chi creava contenuti erotici o che erano a forte rischio plagio (ad esempio chi crea corsi, tutorial, fan art e così via) ma che oggi vale un po’ per tutti quelli che cercano di tagliare il “middle man” della piattaforma e non voglio beccarsi una demonetizzazione del video perché si parla di alcolici o per altri motivi.
La scelta di Patreon ha ovviamente senso se il pubblico è ampio, perché basta una piccola percentuale di fan duri e puri per ottenere qualcosa e non doversi preoccupare ogni mese del vento che tira sull’algoritmo. Ne parlavamo anche nella bellissima intervista con Itomi.
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Oltretutto, trovo anche giusto che a un certo punto le persone si stanchino di fornire contenuto a una piattaforma che si trova all’ultimo stadio dell’enshittification: quello in cui spremi gli utenti e gli sponsor per fare felici gli investitori.
Però non posso fare a meno di pensare che quando fai un Patreon entri nello stesso campo da gioco di Netflix, del Game Pass e di mille altri servizi in abbonamento. Per la stessa cifra con cui supporto il diritto di uno YouTuber di fare video dove gioca i titoli zozzi o fa le facce buffe per quelli horror posso sostenere Il Post. Diventeremo dunque tutti mecenati, pronti a distribuire più o meno le stesse cifre a chi ci dà serie TV o quel tizio che ci sta tanto simpatico?
Come guideremo le nostre scelte?
Che poi è lo stesso motivo per cui ho aperto gli abbonamenti ma li tengo là come supporto per chi vuole sostenermi senza spingerlo più di tanto. Non ce la faccio razionalmente a spingere questa forma di supporto. Beato chi ce la fa.
Una volta i mecenati erano ricchi illuminati che premiavano l’eccellenza delle arti, oggi sono i ragazzini che ti sei cresciuto nella community finchè non hanno avuto l’età giusta per darti i soldi delle loro prepagate su Twitch o il quarantenne che spera di salvare il giornalismo di qualità con un abbonamento.
Mi pare anche interessante notare che i creator stanno seguendo lo stesso percorso di altri media.
Prima i banner, poi i banner non bastano, quindi facciamo i contenuti native/branded ecc e adesso un bel paywall. Intanto le piattaforme media tornano indietro: prima una piccola somma, contenuti “eterni” e dai la password pure a tua nonna, adesso pubblicità, contenuti che spariscono e pubblicità se non paghi di più.
E non posso anche fare a meno di pensare che Patreon e il sostegno diretto possono sembrare una soluzione ma non sono LA soluzione. Anche quando vai bene, anche quando è pure giusto e bello sostenere qualcuno resta una scelta atomistica, che per l’ennesima volta getta sulle spalle di chi crea contenuti il peso di “crederci”, pubblicizzare e creare marketing attorno alla propria figura.
Che cosa succederà quando tutto sarà dietro Patreon o similari? Quando ogni contenuto sarà celato dietro un pagamento e tutto ciò che sarà gratis verrà pensato solo per portarti nel vicolo a chiederti dei soldi? Non lo so, forse nel grande flusso circolare delle cose torneranno di moda i contenuti gratuiti di qualità con i banner.
Forse dovremmo ricordardi che di solito la self promotion non funziona tanto bene. O almeno, non funziona come i contenuti di valore. Finché un creator più grosso di te non ti plagia.
Forse torneremo al baratto, forse ormai non si torna più indietro da questa cacofonia di call to action dove ognuno di noi cerca di ricordare al suo mecenate virtuale che è importante condividere, mettere like, commentare e magari pagare.
Forse crollerà tutto il sistema e smetterò di vedere gente che cerca di far carriera come content creator raccontando una guerra solo quando diventa di moda.
Sia chiaro, risponderei la stessa cosa a un eventuale giornalista che mi venisse a dire “io ho studiato, mi hanno assunto; quindi, vuol dire che ce la si può fare”. Così come lo dico a chi ritiene che Il Post sia una soluzione. Le soluzioni vere sono tali su larga scala, altrimenti restiamo alle bellissime e meritevoli eccezioni. La soluzione non è il tizio che ricicla la plastica, sono le politiche ambientali mondiali.
Piccolo resoconto di un paio di presentazioni
La settimana scorsa ho fatto due presentazioni di Vivere Mille Vite, il libro che dal 2020 porto in giro per raccontare la ricchezza e le possibilità offerte dai videogiochi. Un libro profondamente emotivo e personale, ma che ho scoperto essere pieno di storie che tante persone hanno condiviso. Solo che senza internet ci sentivamo un po’ gli unici e le uniche a stare così.
Oggi tantissimi progetti parlano di videogiochi in questo modo, e altri l’hanno fatto prima di me, ma un po’ mi piace pensare che nel piccolo stagno che è il giornalismo italiano videoludico il sasso l’ho gettato io, e qualcuno ha preso l’onda per fare lo stesso.
In entrambe le presentazioni ho avuto modo di parlare con persone diversissime. Donne e uomini, giovani, coetanee, più anziane, che ne sapevano di videogiochi e che avevano smesso, che amavano i giochi multiplayer o single player, padri, madri, fratelli e sorelle.
Ogni volta ho trovato di fronte a me interesse, curiosità, racconti interessanti e spaccati di vita. Ma soprattutto ho trovato riconoscimento, ascolto e voglia di chiacchierare, senza stare là a discutere di tecnicismi, senza imporsi, ma condividendo storie ed emozioni.
Chi ha una mamma gamer e si dispiace se i ragazzini la prendono in giro, chi ha paura dei videogiochi più adulti nelle mani dei bambini, chi mi racconta di suo padre, chi mi chiede cosa sia l’Amiga, facendomi sentire incredibilmente vecchio, chi ha comprato il libro per il figlio, chi è semplicemente felice che nella sua libreria o a un evento culturale finalmente si parli di videogiochi.
Ecco, sì, soprattutto ho trovato quella sensazione di accoglienza di chi si sente al suo posto, che finalmente si parla anche di quella cultura là. Questa per me è la cosa più importante: occupare spazio, aprire una porta, esserci, per me e per chi viene dopo.
E quando ascolto le persone che vengono a scambiare due parole, chi magari si slancia in paragoni che mi fanno arrossire, complimenti a cui non so rispondere o semplicemente dice “grazie, mi ci rivedo, mi hai dato voce, sembra la mia vita”, ecco, mi viene da dire che alla fine le cose vale la pena farle, sempre.
Come ho detto nell’appuntamento romano, il libro è anche una sorta di grande elaborazione del lutto per la scomparsa di mio padre, E se da tutto quel male, quella sofferenza e quell’onda impossibile da superare senza sfasciarsi ne è nata comunque una piccola cosa che mi tengo stretta al petto, allora va bene così.
Link e altri spunti
Piccola consueta rassegna di N3rdcore: abbiamo parlato di come è giocare a un titolo online quando superi i trent’anni. Abbiamo parlato di videogiochi che affrontano alcolismo e oscurità e altri che parlano di Pirati. Tanti giochi questa settimana, più del solito.
Nel mondo dei videogiochi continuano i licenziamenti a tappeto, io ho fatto una roba che non vedo tanto in giro: ho sentito con chi è colpito da questa situazione e ne ho parlato su RaiNews 24.
Sono molto felice di aver visto su Il Post un approfondimento su Aerith, personaggio di Final Fantasy. Si può dire che è esattamente il motivo per cui bussai alla loro porta molti anni fa. Anche se non è andata come speravo son contento che qualcosa si sia mosso e di averci visto giusto. Lo ha scritto
che forse avete già visto condiviso qua.Perché una ciotola di fragole e cioccolato è diventata virale su Tik Tok? Perché la gente ama essere parte di un tormentone e si è stancata dei video patinati.
Il problema del mondo tech forse è stato il passaggio dall’era di Star Trek a quella di Douglas Adams.
parla di quella cosa bella che andrebbe letta da tutti e tutte che si chiama Slam Dunk.
Che valore immenso che hanno le condivisioni intime e personali come quella sul libro. Grazie
La novità di questi modelli di business non sono tanto i modelli quanto la velocità con cui si deteriorano.