In posizione di ascolto
Ho chiesto a persone molto diverse da me come se la cavano in un settore che di solito premia e ascolta soprattutto quelli come me
Qualche giorno fa mi è balenato in testa un pensiero: non conosco praticamente nessuna persona omosessuale dichiarata, o più in generale della comunità LGBTQ+, che scrive nei più grandi siti dedicati ai videogiochi e da altre parti. E restano poche se si parla comunque di cultura pop. Conosco alcune donne, non conosco nessuna persona afrodiscendente (ma in generale quante saranno in tutto il giornalismo italiano?) ed ero già pronto a scrivere due righe su come è la vita di queste persone.
Persone che non sono me: maschio, bianco, eterosessuale, tutto sommato benestante, mediamente in salute. Uno che magari si è dovuto difendere da varie accuse e offese nel corse della sua carriera, ma mai nate da ciò che ho tra le gambe o chi preferisco portarmi a letto.
Poi mi son detto “bravo, parla te per gli altri, è proprio quello che succede SEMPRE”, quindi ho chiamato alcune delle persone che conosco e con cui ero più in confidenza (vincendo la mia proverbiale paura di disturbare, dovrò scrivere un pezzo su come è la vita del giornalista timido). Persone che ovviamente non sono un campione statistico rilevante, ma che possono raccontarvi qualcosa, date le loro esperienze e opinioni differenti, anche lontante dalle mie.
L’ordine in cui riporto le risposte è totalmente casuale. Sarà una mail bella densa, scomoda e ricca di voci differenti. Spero vi piaccia e spero che la discussione resti civile.
Se vuoi, presentati
Ciao, mi chiamo Matteo Lupetti e scrivo da una decina di anni di arte, arte digitale, tecnologia e videogiochi soprattutto su siti di arte e cultura italiani o su siti di videogiochi e tecnologia esteri. Sono una persona di genere non binario (che recentemente ha scritto un libro sui videogiochi, aggiungo io).
Mi chiamo Luca de Santis, in rete Geekqueer, e da oltre vent'anni scrivo di rappresentazioni LGBTQIA+ nei videogiochi e nei fumetti. Ho collaborato con La Stampa, Wired, Storytel, Corriere della Sera, Nuovi Argomenti e ho pubblicato libri per Coconino, Oblomov, Comix, Sperling & Kupfer. Attualmente i miei libri sono tradotti in oltre dodici paesi.
Sono Fabrizia Malgieri, scrivo oramai di videogiochi da 15 anni, una passione sconfinata che coltivo da quando avevo 4 anni. Ho diretto per quasi 10 anni la divisione italiana di un network internazionale chiamato GameReactor (molto popolare nei Paesi del Nord Europa) e da diverso tempo collaboro con il Corriere della Sera, scrivendo - ovviamente - di videogiochi. Ho la fortuna anche di studiarli, i videogiochi, all'università...insomma, gran parte della mia vita ruota attorno a questo medium, e ne vado fiera! Ho già sbrodolato abbastanza, dovevo essere più sintetica.
Sono Alessandra Contin, scrittrice, giornalista esperta di cultura videoludica, videogiocatrice e amante del POP. Fondamentalmente una punk-nerd dal pessimo carattere. Nella mia lunga carriera, 24anni, ho scritto e scrivo sia per la stampa generalista, da sempre per il gruppo GEDI, La repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX… sia per la specializzata.
Stefania Sperandio, lavoro nell'informazione videoludica online dal 2005. Dal 2012 lo faccio su SpazioGames, del quale nel 2015/2016 sono diventata coordinatrice della sezione notizie, dal 2020 infine caporedattrice e responsabile editoriale. (Con Stefania avevamo parlato qua)
Ciao, sono Giordana Moroni, Senior Editor di Multiplayer.it. Ho iniziato a occuparmi di videogiochi in modo amatoriale sul mio canale YouTube (WhiteNellow) e poco dopo sono entrata nella redazione di Multiplayer.it. Questo Novembre ho spento 10 candeline con Multi: con circa trent'anni sulle spalle, professionalmente parlando, i videogiochi sono un terzo della mia vita.
Sono Maura Saccà, ho 30 anni, sono laureata in Informatica, ma ho sempre seguito percorsi di Game Design, soprattutto col Master in Game Design per la valorizzazione del territorio e del patrimonio culturale. Faccio parte del collettivo Gameromancer e di Invisibil3.
Cioa sono Fjona Cakalli e ormai da 10 anni bazzico il mondo dell'internet in diverse forme. Ho iniziato con il mio blog di videogiochi nel 2011 mentre oggi ho una piccola media company per la quale sono il volto ma soprattutto la mattatrice (mi piace pensare che sia così') :))
L'impatto col settore è stato difficile?
Lupetti - Intanto, io ho fatto coming out ben dopo aver iniziato a scrivere, quindi per un certo periodo non ero almeno individuatǝ come bersaglio. L'impatto è stato spiacevole soprattutto nelle occasioni (e sono relativamente frequenti) in cui ho avuto rapporti con il mondo videoludico, il mondo nerd, il mondo geek, il mondo della cosiddetta cultura pop e così via... Qua mi riferisco alla situazione italiana, e mi riferisco sia al rapporto con lǝ collegǝ sia a quello col pubblico. Senza voler fare delle esterofilia spicciola, lavorare all'estero, almeno nella sfera anglofona, è molto più semplice: testate anche mainstream non hanno alcun problema a riferirsi a te nel modo corretto, per esempio, o comunque a prendere sul serio l'identità di genere di una persona, e i commenti sotto agli articoli vengono almeno moderati. Tornando all'italia, anche fuori dal cosiddetto giornalismo videoludico ci possono comunque essere dei momenti strani, soprattutto quando si parla con persone che non conosciamo. Lo metto lo schwa in questa email? Mi presento usando lo schwa o rischio di perdere questo lavoro? Allora cominci a sfogliare la testata per capire se pubblicano pezzi contro "il politicamente corretto," se hanno un articolo sul "blackwashing" dei personaggi su Netflix e così via per capire cosa succede se usi una certa lettera.
De Santis - Ho aperto il primo blog a trattare le rappresentazioni minoritarie nei videogiochi e nei fumetti nel 2003. Ho capito subito che quello era uno spazio prezioso non solo per me anche per tante altre persone LGBTQAI+ che in quel settore non solo non aveva visibilità ma temeva di averne. In Italia, tolti i fondamentali scritti di Helena Velena sul queer e sul cyber-transfemminismo, il discorso era praticamente assente. Ho capito subito che l’assenza di studi è sintomatica di un annientamento simbolico. La mancanza di discussione e rappresentazione, il disinteresse della cultura generalista esprimono un giudizio che ci vede irrilevanti, trascurabili. Eppure i videogiochi e i fumetti fanno parte anche della cultura LGBTQIA+, ci appartiene e ci racconta.
Malgieri - Molto difficile. Non tanto per la questione di genere che - vabbé, qui rischiamo di aprire una parentesi graffa - è già di per sé un grave problema: perché, per quanto si voglia negarlo, le donne sono sempre state viste (e continuano ad esserlo) con grande pregiudizio quando si occupano di videogiochi o, semplicemente, videogiocano. Il problema più grande è stato che mio marito (all'epoca fidanzato) lavorava per una testata specializzata molto importante qui in Italia e, non appena è iniziato a circolare un po' il mio nome, hanno cominciato a invitarmi agli eventi stampa o, semplicemente, qualche mio pezzo diventava "letto", molti hanno ridotto il tutto a "Ah, beh, è la fidanzata di Tizio Caio, per forza la invitano!"; "Ma chi l'ha mai sentita?! Scrive di videogiochi solo perché sta con Tizio Caio". E' stato molto frustrante, non lo nego. Anche perché il mio lavoro - nonostante i miei sforzi, il mio impegno ad offrire un certo tipo di analisi del videogioco e tutto quello che ne consegue - veniva trattato con spocchia e sufficienza, solo perché portavo addosso la lettera scarlatta di intrattenere una relazione sentimentale con una persona conosciuta nel settore all'epoca. Nessuno guardava quello che scrivevo, ma solo la persona cui ero legata. Non me lo meritavo, nessuno lo meriterebbe. Mi sono sentita ferita per molto tempo, ma non ho mai mollato: non volevo darla per vinta a nessuno, volevo che il mio lavoro parlasse per me. Non so se alla fine ci sono riuscita, intendo convincere i più scettici, ma almeno so di aver fatto quello che potevo. E sono ancora qui a scrivere di videogiochi. Quindi sì: vuol dire che forse ce l'ho fatta.
Contin - Sono entrata nel settore 24anni fa, all’epoca una donna che si occupava di videogiochi, in Italia, era una rarità. Devo dire che non ho trovato nessuna difficoltà, sono entrata nello spogliatoio maschile con grandi pacche sulle spalle. Oltretutto, ripeto, ho un pessimo carattere, ho sempre affrontato chiunque avesse da dire sulla mia professionalità in modo diretto. Le occasioni non sono state molte.
Sperandio - Direi di no, ma per due motivi precisi: l'età giovanissima, dove era più facile stupirsi per le cose positive e lasciar correre quelle negative, e l'aver tenuto sempre delle aspettative sotto zero. Lavorare con l'informazione online non ha un percorso sicuro da seguire, non c'è una formula da raccomandare per poterne fare una professione a tutti gli effetti: tenere le aspettative sempre gelide ha aiutato molto, è difficile rimanere delusi quando le cose magari vanno male, se eri già certa che sarebbe andata così. E, se invece vanno bene, sei ben felice di venire smentita.
Moroni - Non ho ricordi traumatici del mio "debutto in società": i miei colleghi mi hanno sempre sostenuta e il pubblico non è mai stato aggressivo. C'è stato in un primissimo momento una piccola ondata di troll che ha cercato di intimorirmi in modo molto infantile, ma si sono annoiati presto, non gli ho mai dato la soddisfazione di ritenerli importanti. Le rare volte in cui mi è capitato di ricevere un attacco diretto, come un commento offensivo sotto un articolo o nella chat di Twitch, ho percepito una forte empatia da parte degli altri lettori.
Saccà - È stato difficile perché, bensì io fossi nell'ambiente videoludico delle community da anni, l'ambiente giornalistico e di critica mi era totalmente sconosciuto. Quindi quando sono entrata su Gameromancer ho dovuto recuperare tutti i nomi (e intendo tutti proprio, neanche sapevo chi fosse Fossetti), tutti i ruoli, tutte le testate, chiedendo chi fosse questo e chi fosse quest'altro. Adesso dopo un anno e mezzo devo dire che ho un quadro ben chiaro di tutta la situazione. Capisco però tutte le persone che rimangono completamente al di fuori di tutto, perché il classico "Ma come fai a non conoscerlo?" è sempre alle porte. È da un po' ormai che propongo un glossario che possa in qualche modo aiutare le persone che vogliono entrare nel settore a capire un po' com'è strutturata la "situazione critica italiana", perché sennò continuiamo a lasciare fuori dal discorso tutte le persone che non sono dentro sta cricca da anni immemori.
Cakalli - L'impatto con il settore è stato traumatico e purtroppo non me ne sono accorta subito. Quando si inizia a creare contenuti online (all'epoca erano solo in forma testuale) non si è consapevoli di cio che si sta facendo e di quali potranno essere le ricadute sulla propria vita personale e lavorativa. Ho davvero iniziato per gioco... parlando di videogiochi. Quando mi sono buttata in questa avventura venivo guardata da un lato con occhi curiosi dall'altro discriminata (e sono sicura anche pochettino derisa). Mi fa molta tenerezza la Fjona di allora, devo essere sincera, ero assoltuamente impreparata. Ma tant'è, è tutta esperienza. Oggi posso dire ho trovato la mia dimensione pur mantenendo il mio stile leggero e a volte scanzonato. Mi piace creare racconti - principalmente reportage - su svariati argomenti curandoli in ogni minimo dettaglio. L'ideazione, gli script, la regia, il montaggio. Insomma mi piace non lasciare nulla al caso ma soprattutto mi piace a volte riabracciare quella Fjona dei primi tempi che ha tanto bisogno di affetto :D
Quale è stato il momento più brutto?
Lupetti - Direi quello in cui un importante nome della principale testata di videogiochi in Italia ha detto in una diretta, riferendosi tra l'altro esplicitamente a me, che la mia identità di genere non esiste, "è una cosa americana," e quando un altro importante nome della stessa testata ha detto che io sostanzialmente non sono "normale." E se questo non mi ha fatto venire voglia di approfondire più di tanto le relazioni col mondo del cosiddetto giornalismo videoludico italiano, ancora meno voglia me l'ha messa non vedere quasi nessuna conseguenza per questi comportamenti. Parliamo di un settore dove il direttore di una testata può scrivere che fare polemica solo perché uno studio di sviluppo nelle trasferte aveva organizzato una camera dello stupro in hotel alla fine oh è un po' esagerato dai.
De Santis - Il momento più brutto è stato quando uscito dai ranghi di simpatica variazione o colorito intervento nelle conferenze del circuito di giornalisti di settore, ho iniziato a riappropriarmi di un discorso e di spazi di comunicazione sempre più grandi. Denunciando e mettendo a nudo il maschilismo e il machismo della cultura dei gamer e dei fumetti su testate nazionali importanti, il mio blog e i miei canali social sono stati presi di mira. Sono arrivati a scrivere lettere al mio capo redattore e direttrice delle testate per cui lavoravo, raccogliendo materiale personale per screditarmi. Non ho mai scelto di stare in prima linea, mi ci sono ritrovato e in quel periodo decisi di lasciare alcune collaborazioni per dormire sereno.
Malgieri - Sicuramente agli inizi della mia carriera per le ragioni che ho raccontato prima. Non importava quanto lavorassi a testa bassa e mi dessi da fare: c'era questo preconcetto che non avessi una mia autonomia e che fossi lì solo perché ero la "donna" di qualcuno. E questo, vorrei precisarlo, nonostante il mio compagno e io avessimo sempre tenute separate le due sfere, quella privata e quella professionale. Non penso neanche fosse "invidia" perché, sinceramente, non ci vedo nulla per cui invidiarmi: lavoro come tutti, mi do da fare come tutti - non ho avuto alcuna via preferenziale. Forse il momento peggiore è stato quando questi commenti sono usciti dalla bocca di un paio di colleghi: quando neanche quelli che dovrebbero essere dalla tua parte, quanto meno per "empatia professionale", non comprendono quanto sia sbagliato avere questo atteggiamento, vuol dire che qualcosa non funziona. Ma col tempo ho imparato a gestire tutto questo, e ora è solo un vago ricordo.
Contin - Il momento più brutto l’ho vissuto durante il Gamergate, quando un mio lungo articolo scritto per La Stampa finì anche in alcuni forum americani. Non che mi interessasse molto dei pareri di un gruppo di diversamente senzienti, era proprio l’aria che si respirava intorno al medium che era un tantinello pesante. In generale da quel giorno penso che le cose siano peggiorare. Non ne faccio una questione di genere, ormai chiunque scriva di certi argomenti, per un titolo sbagliato, per una frase più o meno scorretta, viene ricoperto di guano sui social. Uno sport assai diffuso nel nostro settore. E per fortuna ci occupiamo di videogiochi che dovrebbe essere un argomento gioioso.
Sperandio - Penso quello in cui mi venne negato di ottenere una posizione perché, nonostante mi fosse stato detto che avessi «le competenze per farlo», sono una donna. Col tempo è diventato motivante (è sempre bello sbattere in faccia la smentite dei fatti a chi la pensa così), ma all'epoca ebbi la sensazione di continuare a fare sforzi per un settore in cui nemmeno impegnarsi dieci volte rispetto agli altri sarebbe servito. Fu una delle prime volte in cui invece mi aspettai qualcosa – che poi invece non arrivò, come da manuale –, per riprendere il discorso di prima.
Moroni - Quando ho iniziato ero profondamente convinta che una donna, per essere presa sul serio, dovesse vestire in un certo modo, parlare in un certo modo, attenersi ad argomenti puramente professionali. Credo fosse un mix di fragilità personale e di condizionamento dato dall'aver frequentato un ambiente universitario fortemente maschilista. Il momento più brutto è quando guardo indietro e vedo quella Giordana, così insicura e preoccupata del giudizio altrui, provo una grande tenerezza. Vorrei poterle dire che le sue capacità professionali non dipendono dal suo aspetto fisico, di vivere con più libertà e serenità la sua femminilità.
Saccà - Per me i momenti più brutti non sono provocati dai fasci, dai commenti sessisti del cazzo, o da chi so già che è nemico. I momenti più brutti sono stati causati da chi credevi alleato, decostruito. E invece nel momento in cui gli fai un call out (ovvero gli fai notare una criticità in un contenuto o articolo) ti viene risposto che stai esagerando, che sei una nazi femminista isterica, che "adesso gli uomini non possono neanche più scrivere" (Spoiler: no sarebbe meglio che se devi proprio scrivere l'ennesimo articolo sul corpo delle donne e come e quanto si sentono o meno discriminate e sessualizzate, sarebbe meglio che non lo scrivessi. Pietà). Sto parlando dell'articolo di TGM, che veniva da Frequenza Critica, di Roberto Micheletti, col quale abbiamo comunque avuto modo di confrontarci tranquillamente, ma purtroppo la critica al contenuto non è stata vista bene, anzi tutt'altro, dallo staff principale di FC, tra cui Damaso Scibetta, Daniele Dolce e Marco Bortoluzzi che da quella volta hanno deciso che eravamo il nemico pubblico numero uno e che zittivamo i maschi che non potevano più dire niente signora mia. Discussione è durata per 3 giorni perché sentivamo (me e altre ragazze che avevamo fatto notare la cosa) che non ci ascoltava nessuno, anzi venivamo continuamente squalificare, sminuite e invisibilizzate. È stato molto pesante. Volevo solo dire che, per chi non ha ben chiaro come funzionano i call out, la critica è fatta a fine di bene, non è un attacco fine a se stesso, e che se la critica è fatta a un contenuto non significa che tutta la testata fa schifo e che chiunque ci lavori è una merda. Non abbiate l'ego e la mascolinità così fragile per favore.
Cakalli - Credo l'inizio. Entusiasmo e ingenuità a volte non vanno molto d'accordo.
Quale invece quello in cui hai sentito che la tua voce contava?
Lupetti - Qua dirò una cosa che sembrerà esagerata... ma direi "mai." Non è che non ho mai sentito che la mia voce contasse, in assoluto, ma non ho mai sentito che la mia voce contasse in quanto persona non binaria. Non ho mai visto veramente un interesse ad approfondire, ad aprire spazi, a far scrivere di certe tematiche persone che se ne occupano, non ho mai visto una grande testata dire "vogliamo far valere le voci non binarie, vogliamo voci che vogliano uscire dalle convenzioni di genere." Certamente, ci sono ambienti e posti dove mi sono sentitǝ accoltǝ e dove per la mia voce c'era spazio, ma la verità è che spesso è stato spazio che ho dovuto fare io.
De Santis - Tanti momenti sono stati importanti, molto più dei brutti. Tutte le volte che sono entrato nelle scuole a parlare e presentare i miei studi e i miei lavori, capire che le generazioni stavano diventando consapevoli, che il mercato di conseguenza si sarebbe adattato. Quando uscì il mio primo saggio “Videogaymes” era il 2008, e sono felice che ora sia un testo datato e vecchio. I prodotti, le rappresentazioni e i linguaggi negli ultimi quindici anni sono cambiati molto. E anche io da quel blog su Splinder, sono finito a parlare alla Oxford University, alla New York University, al Centre Pompidou.
Malgieri - Ci sono state un paio di occasioni in cui mi sono resa conto che stavo facendo un buon lavoro ed erano le parole che scrivevo a parlare per me. La prima, e non mi vergogno a dirlo, quando sono stata invitata a scrivere di videogiochi sul Corriere della Sera: per me non è mai stato un punto di arrivo, ma un nuovo punto di partenza. Quando ti viene data l'occasione di scrivere per uno dei più importanti quotidiani in Italia, c'è sempre un misto di orgoglio e ansia tremenda -soprattutto quando arrivi da una piccolissima realtà editoriale. Da una parte vuol dire che qualcosa hai prodotto, quello che scrivi non è solo fine a se stesso, e c'è qualcuno che ti ritiene capace di raccontare i videogiochi ad un pubblico di lettori che di quel medium ne sa poco o nulla. Dall'altra, non nascondo il terrore derivante da una proposta così allettante: sarò mai all'altezza? Riuscirò a scrivere sempre pezzi buoni, analitici, approfonditi come piacciono a me? Per me è stato un mix di angoscia e gioia pura, ma è stato anche il momento in cui mi sono resa conto che quello che avevo da dire aveva un senso. Un altro momento, forse quello più importante, è stato quando i miei pezzi sulla questione di genere, sull'inclusività nel videogioco hanno iniziato a diventare la voce di altri. Ce ne sono diversi di cui vado fiera, e che sono stati condivisi, ma il culmine è arrivato quest'estate, quando ho scritto un pezzo intitolato "«Non sono un trofeo da vincere»: di giornaliste videoludiche, questioni di genere ed endorsement (assolutamente non richiesti)", che ha generato un micro-dibattito attorno, a partire dal nostro settore. Perché è facile dare la colpa sempre e solo agli utenti; c'è un problema endemico, che va preso di petto una volta per tutte. Non so quanto sia arrivato a quelle persone che necessitano di una riflessione in tal senso, ma di sicuro un mattoncino l'ho messo. E ne vado orgogliosa.
Contin - Quando durante la Milan Games Week, se non ricordo male quella 2018, con Fabrizia Malgeri organizzammo una cena cercando di radunare tutte le ragazze che lavoravano nel settore. Scattammo una foto fantastica. Non era la mia voce, ma una voce collettiva, molto più importante di quella di un singolo.
Sperandio - Difficile individuarne uno, nella mia posizione forse è più facile sentirsi "ascoltati", essendo io stessa quella che ascolta e soppesa le proposte degli altri. Sicuramente fanno sempre piacere i momenti in cui i lettori, e a volte in particolare le lettrici, si prendono la briga di cercare i tuoi profili privati per farti sapere che sono felici di quello che fai, che si sentono rappresentati e ti chiedono di portare avanti un certo tipo di articoli che hanno apprezzato particolarmente. Sono momenti in cui, nonostante i bocconi amari che capitano, senti che la tua voce parla non solo per te.
Moroni - Sento che la mia voce conta quando viene ascoltata, e fortunatamente sul posto di lavoro questo accade tutti i giorni. Non è sempre stato tutto facile e liscio, anch'io come tanti miei coetanei attivi nel mondo del lavoro ho dovuto prendermi sulle spalle qualche piccola battaglia personale, e sono orgogliosa dei risultati raggiunti, oltre che grata a chi mi ha supportato nel processo. Più difficile è il rapporto con il pubblico, perché il contatto è diretto ma il feedback meno decifrabile. E alla fine della giornata ti chiedi se quello che hai detto, quello che hai scritto, contava veramente, o se era solo altro brusio nel chiasso generale. Più passa il tempo più mi rendo conto di quanto sia importante avere coscienza di sé stessi (chi siamo, cosa facciamo e perché) e prendersi la responsabilità tanto dei gesti quanto delle parole dette.
Saccà - In quest'anno e mezzo su Gameromancer tramite il mio format su Twitch in cui invitato persone a parlare con me, a conoscerle in varie sfaccettature che non fossero per forza professionali, mi sono sentita ascoltata. All'interno del collettivo sento che la mia voce conta, che le mie critiche ai nostri stessi contenuti non vengono sminuite, che vengo presa in considerazione (giuro che purtroppo quando si parla di femminismo in ambienti nerd questa cosa non è assolutamente scontata). Sicuramente la volta che ho sentito che la mia voce contava è stato a Invisibil3 l'anno scorso, in cui ho avuto la possibilità di raccontare episodi di sessismo che accadono nelle community insieme ad Azalona e Luca De Santis, e ad un moderatore che in questo momento non ricordo chi fosse... (TVB Lore).
Cakalli - Quando ho ricevuto dei messaggi di un follower-genitore che mi ha scritto "da grande voglio che mia figlia diventi come te". Ho risposto "come?" "LIBERA" Li ho capito che potevo fare la differenza.
Secondo te la situazione è migliorata, peggiorata o invariata rispetto a quando hai iniziato?
Lupetti - Anche uscendo dall'ambito videoludico, penso che la situazione sia nettamente peggiorata rispetto a dieci anni fa, quando forse era comunque già iniziata a peggiorare. I linguaggi dell'intolleranza sono oggi largamente accettati e parte dell'educazione non solo di chi fa parte di gruppi estremisti ma anche della persona che si guarda un paio di Tg al giorno su una rete pubblica nazionale. Espressioni che dieci anni fa erano ancora patrimonio della destra neonazista statunitense ora sono articoli di opinione sul Corriere della Sera. La difesa della razza bianca è ora una posizione che porti in campagna elettorale per la regione Lombardia. Il genocidio della popolazione transgenere è ora una possibilità da discutere.
De Santis - Secondo il Bryter’s Female Game Report, l’ultimo anno il 50% delle persone che hanno giocato online hanno subito abusi o molestie durante l’esperienza di gioco. Una donna su tre ha subito abusi. L’Anti-defamation League ci dice che il 37% riceve insulti perché appartenenti alla comunità LGBTQIA+, il 31% perché non bianchi, e 25% perché disabili. Rispetto al 2009 la situazione è peggiorata del 10%. Abbiamo più rappresentazione rispetto all’inizio degli anni 2000 (ma sempre poca), e sono anche visibili, in prodotti generalisti e dedicati al target più trasversale, ma questi dati ci dicono anche che non abbiamo i mezzi per accogliere e comprendere quelle storie e quei personaggi. Strumenti che la scuola e la famiglia dovrebbero dare.
Malgieri - La situazione è lievemente migliorata, ma ci sono ancora ampi margini di miglioramento. C'è ancora da abbattere il muro di quelli che vogliono tenersi neutri, quelli che preferiscono ignorare un problema, ignorare la tossicità. Se c'è una cosa che detesto è quando viene chiesto a noi giornaliste/videogiocatrici/divulgatrici di ignorare gli utenti (solitamente uomini) che vengono sotto ad un tuo articolo o sotto ad un tuo post o video, a pubblicare commenti sgradevoli o assolutamente insensati. "Non rispondere, ignorali, tanto non capiscono nulla!" "Ma sì, anche se gli rispondi a tono, è una perdita di tempo". No, non è una perdita di tempo, sto difendendo il mio lavoro, sto difendendo la mia persona. Sono stufa di fare finta che la cosa non mi importi, non mi interessi, di fare la "superiore": se c'è un problema va affrontato, non di certo ignorato.
Contin - Ma cosa dovrei dire? Sinceramente trovo l’ambiente oltre che sterile piuttosto tossico. Non parlo di casi particolari o dei colleghi e colleghe, con cui negli anni ho sviluppato anche rapporti di amicizia profondi. Scrivere di certi argomenti oggi è diventato un percorso minato, sempre sotto la lente d’ingrandimento. Mi sembra non esita più il dialogo che è stato sostituito dallo scontro. Una noia mortale.
Sperandio - Rispetto all'inizio poteva solo migliorare, francamente. In tutti questi anni e in realtà diverse ho visto di tutto: collaboratori pagati a punti che ogni tot di punti potevano riscattare la copia di un gioco (!), editori che per rifiutarsi di pagare dopo tre mesi di lavoro ti dicevano che in realtà era solo una prova e quindi il periodo pagato iniziava il mese successivo e cose del genere. Sto parlando davvero di tre ere geologiche fa, preciso, e sono cose con cui da molti, molti anni non ho più avuto a che fare. Penso sia migliorata anche l'auto-consapevolezza, almeno in alcuni casi: ho visto venire pubblicate con leggerezza delle cose scritte di proprio pugno che facevano abbastanza rabbrividire, come se una testata giornalistica online potesse agire alla stregua di un gruppetto di amici guasconi. Oggi ci sono sicuramente altre sfide e molti modelli di business stanno cambiando, motivo per cui bisogna essere molto dinamici ed equilibrati nel reagire ai cambiamenti, e probabilmente per questo suono paradossale nel dire che ho visto molte cose migliorare, dal 2005 a oggi. Ma non so, magari dipende solo dalla mia prospettiva, non avrei l'ardire di parlare a nome di tutti.
Moroni - È cambiata, ma non so se è migliorata. Ripongo molta fiducia nelle generazioni più giovani di me, neomaggiorenni e giovani ventenni, che percepisco più sensibili dei miei coetanei e coetanee, soprattutto meno influenzate e influenzabili da certi paradigmi sociali. I problemi che ci sono ovviamente sono sistemici e prescindono l'industria del gaming. Sinceramente, quando leggo sui social network chi si lamenta del fatto che "adesso non si può più dire nulla", persone infastidite dal fatto che (finalmente!) battute dal forte contenuto offensivo non sono più tollerate, mi fanno una grande pena. Quelle, mi perdonerete la brutalità e il pessimismo, sono persone irrecuperabili, che possono essere disinnescate solo se private di importanza, perché non tutta la popolazione può essere rieducata. A spaventarmi invece è chi pensa di sfuggire a certe logiche, ricadendoci pesantemente senza accorgersene. Non molto tempo fa, una persona a me vicina e che tiene sinceramente a me, mi ha fatto notare come non fosse opportuno che io mi esprimessi in live dicendo "le parolacce" o giocando con lo stesso umorismo dei miei colleghi, perché certe cose dette da loro (che sono maschi) sono accettate dal pubblico, fanno ridere; dette da me invece possono mettermi in cattiva luce, mi fanno sembrare una poco di buono. Sono certa che questa persona lo dicesse davvero con l'intento di proteggermi e di darmi un buon consiglio, senza rendersi conto della mostruosità appena uscita dalla sua bocca. La situazione sarà davvero migliorata quando questa sovrastruttura culturale verrà smantellata.
Saccà - All'interno di GR è migliorata sicuramente. Noto moltissime persone che adesso capiscono bene le istanze del femminismo mentre prima assolutamente no. Al di fuori ancora la situazione mi sembra molto invariata, le redazioni continuano ad avere sempre tutti maschi. Agli eventi mainstream continuano ad essere invitati solo maschi. In effetti però forse la situazione è un po' migliorata: Everyeye sta morendo finalmente.
Cakalli - La situazione sta mano a mano migliorando. Se dieci anni fa dovevo dimostrare di meritarmi di scrivere sul mio blog (che scemenza meritarsi il posto in casa propria, ma funzionava proprio così), oggi non credo di dover dimostrare più nulla a nessuno. Io ci sono, sono qui, esisto e faccio cio che mi piace: raccontare cose :)
Cosa si dovrebbe fare immediatamente per migliorarla?
Lupetti - Per quanto riguarda il mondo di critica e giornalismo, temo che sia troppo tardi per sperare in quello che forse avrebbe almeno reso o fatto restare respirabile l'aria: una seria regolamentazione pubblica degli spazi pubblici anche online, oggi lasciati invece in mano a una cricca di affaristi tra cui l'ultimo arrivato, l'ereditiero Elon Musk. A questo punto, spero che ci sia almeno possibilità di costruire qualcosa nelle piccole piazze, online e offline, fuori dalle grandi piattaforme e dagli spazi istituzionali. Insomma, la mia proposta è di andare altrove.
De Santis - Ho fiducia nel futuro: in rete vedo tantissime nuove persone che raccontano la propria identità e i propri corpi marginalizzati attraverso i videogiochi e i fumetti e sono bravissime e preparatissime. Ma non possiamo affidare l'educazione a serie tv, film, social network, o a persone di buona volontà. Abbiamo bisogno di strutturare un'educazione contemporanea che sia sistemica nella formazione. Ancora una volta, l'arma più potente è il voto: votare programmi e persone che portano avanti questa visione. Sì, anche nei videogiochi. Perché anche i videogiochi e i fumetti sono politica.
Malgieri - Ciò che mi auspico è che si smetta di adottare la pratica della neutralità. Per me neutralità vuol dire indifferenza, non avere il coraggio di prendere delle posizioni o delle responsabilità; e oggi, a mio avviso, non è più pensabile. Stare zitti per "non inimicarmi l'utenza", stare zitti per "ma sì, è una goliardata, una boutade", stare zitti per paura di essere messi da parte, per quanto mi riguarda, non è più tollerabile. E non parlo non solo di ciò che riguarda noi, in qualità di colleghe o donne, ma vale per tutti. Se qualcuno mette in discussione in modo incivile un ruolo o l'operato di un'altra persona, va preso metaforicamente per un orecchio e messo al suo posto. Nel mio piccolo, penso che sia l'unico modo per migliorare la situazione in modo efficace; quanto meno, è quello che faccio e continuerò a fare.
Contin - No future for you. No future for me. Magari se la smettessimo di sentirci i grandi esperti difensori dell’unica pura visione. Ecco, magari, sarebbe meglio per tutti
Sperandio - Guardandomi intorno, direi ricordarsi che quello che dovremmo fare è prima di tutto mettere delle persone in comunicazione con altre persone – non delle persone (o delle IA) in comunicazione con i motori di ricerca. Penso che con i sistemi automatizzati odierni sia quasi facile inondare di quantità, lavorare basandosi su un numero minimo di contenuti orribilmente alto, a prescindere da ciò che questi trattano. Ogni realtà ovviamente deve trovare il suo equilibrio tra quello che crea, l'interesse che questo suscita nel suo pubblico, il modo in cui può venire incontro al suo utente. Un equilibrio, appunto. Vedo invece spesso una virata che quasi sfocia nell'assurdo, dove penso che la voce dei redattori non sia ascoltata nemmeno alla lontana (ho il serio dubbio che chiunque vorrebbe davvero scrivere, con tanto di firma, alcune delle cose che mi è capitato di leggere) e molti si trovino sempre a scrivere come se fossero automi, non persone. Ma per chi? Siamo persone che comunicano con altre persone. Ricordarsi di questo, forse, nell'epoca delle IA che tanto allettano chi vuole correre verso la quantità è troppo romantico. Eppure, ricordandoti che scrivi per una persona puoi fare una cosa che non sempre ti capita di trovare: realizzare un contenuto che tu stessa, davvero, vorresti leggere. E se una realtà si ricorda a sua volta che a scrivere sono delle persone – con le loro ambizioni, passioni e necessità – si comporterà di conseguenza con i suoi professionisti. Il discorso però sarebbe molto più ampio, in un'epoca che va sempre di corsa e con la soglia di attenzione dalle parti dei cinque secondi, prima che si passi a qualcos'altro. Non mi dilungherò anche su questo, però, o la newsletter questo sabato dovrai dividerla in tomi.
Moroni - Non mi sento così autorevole da suggerire cosa andrebbe fatto in senso generale, ma posso dire cosa sto facendo io. Se devo evidenziare un problema, che riguarda ovviamente il mio essere donna, preferisco esprimermi in modo personale e raccontare come mi sento piuttosto che affidarmi a concetti o definizioni. Quelle arrivano dopo, in un secondo momento. Ad esempio, mi è capitato (come temo un po' a tutte) di trovarmi di fronte ad un uomo intento a farmi un bel mansplaining da manuale. Alla fine del suo discorso, invece di spiegargli cosa fosse il mansplaining, in cosa consisteva e perché andrebbe evitato gli ho semplicemente detto "Capisco quello che volevi dire, ma il modo in cui ti sei espresso mi ha fatto sentire a disagio, come se non mi ritenessi al tuo stesso livello nella conversazione". Non è sempre facile trovare la pazienza di spiegare anche quello che sembra ovvio, ma passare attraverso il proprio sentire ci aiuta a instaurare un contatto diretto con il prossimo (che magari non sa neanche cos'è il mansplaining ma sicuramente capirà che con quell'atteggiamento ci ha mortificato e memore di questo magari starà più attento in futuro). Inoltre, e purtroppo mi è capitato anche questo, un'emozione non può essere contradetta o manipolata, perché è nostra, e nessun interlocutore maligno può toglierci quel potere in un confronto verbale. In sintesi, per migliorare la situazione provo semplicemente a spiegare come ci si sente essere donna, cercando di trasmettere un'informazione assimilabile prima umanamente e poi concettualmente. Non lo faccio con il desiderio di imbarazzare o mortificare, sono solo convinta che talvolta parli più un'emozione di un pensiero.
Saccà - Contare. Contate quante ragazze ci sono nelle vostre redazioni. E se la risposta è 2/10 fatevi due domande. Non ci basta neanche 3 o 4 su 10. E per favore non tirate fuori la meritocrazia perché gesucristomadonna quello che scrive le news sugli stupri di One Piece non è solo uno, siamo pieni di maski che non sanno fare letteralmente un cazzo e nessuno mette in dubbio il loro diritto di stare lì e scrivere per riviste o addirittura dirigerle. Aprite gli occhi e se vi vedete circondati da solo uomini vi prego, a meno che non siete ad un orgia gay, fatevi due domande.
Cakalli - Le soluzioni immediate credo siano quelle meno durature. Forse potremmo partire dalle le basi: ad esempio mostrare più empatia nei confronti degli altri provando a spogliarci di un po' di giudizio. Secondo me le cose potrebbero andare un po' meglio :)