Il giornalismo è spesso una questione di ego, e, in questi anni sempre più difficili, non basta semplicemente fare il tuo lavoro, ma a volte dovremmo ricordarci di non stare davanti alla notizia.
Assolutamente eccellente e sintetizzabile in: meno ego, grazie diamine.
Meno ego in generale e più racconto degli altri, che di noi stessi, di cosa pensiamo e di che inquadratura usiamo, che lente abbiamo, per il nostro racconto.
Sai che sinceramente per me lo è, ma forse perché amo raccontare. Ho recentemente "chiuso" una lunga intervista/ video documentario e mi è spiaciuto "dover" per motivi di cambio di scena e un paio di domande che era necessario si sentissero mie, mi è spiaciuto dicevo dover "esserci" io dentro a qualche inquadratura, perché come idea non c'era. Poi ci sta: racconto una vita lunghissima attraverso un pranzo assieme, 59 minuti di montaggio finale (ed era il doppio prima) non posso fare solo un primo piano su di lui e alcune volte serviva ridare qualche filo al discorso. E pensa che anche lì qualcuno mi ha detto "ti si vede poco" e io proprio ho pensato: ma io che c'entro? Io, appunto non sono il racconto, io aiuto al massimo a fare in modo che ne esca un bel racconto, ma non sono protagonista.
Perché c'è un piccolo aspetto che manca, credo nel tuo pezzo: la gente, chi ascolta, chi percepisce ha voglia, ha bisogno di sentire quel pezzo di racconto umano di chi racconta. Ne accenni è vero, ma l'ho visto ad esempio su qualche video di viaggio, dove anche le singole piccole cose personali (da youtuber: "la mia casa a Londra") piacciono molto di più che non "10 cose di londra" come se ci fossimo tutti più abituati ad esprimere noi stessi e gli altri, più che i fatti, le vicende terze.
Come se, e qui sono ironico, fosse più importante un selfie di me sotto alla Torre Eiffel che una foto della torre eiffel.
E in effetti è così e l'ho capito secoli fa quando un amico, agli Internazionali di Tennis invece di fare una foto alla tennista famosa si arrampicò in modo da esserci lui e dietro, visibile, la tennista famosa.
Da quando io con, io insieme, il mio racconto sono diventati un filo più centrali de: "ecco la storia di".
Quello che dici sullo sparire in interviste e documentari anche per me è essenziale, ne ho fatti alcuni, non mi si vede mai e mi pare giusto così. Così come concordo con te che alla fine per quanto non si debba stare troppo nel mezzo il tocco umano è fondamentale. Io ad esempio sono un ipocrita perché ho scritto questa puntata ben sapendo che per me è essenziale partire da qualcosa di mio.
Bel post, Lorenzo. Sembra proprio che molti giornalisti e giornaliste (ma in generale noi come persone) si faccia fatica ad accettare che le risposte a una medaglia olimpica, a un podio mancato, a un qualsiasi gesto sportivo agonistico possano essere tante, diverse e andare comunque tutte bene. Proprio perché ogni atleta è tante cose, e soprattutto a una gara importante ci arriva dopo un percorso diverso, che solo lei o lui conosce fino in fondo.
Assolutamente eccellente e sintetizzabile in: meno ego, grazie diamine.
Meno ego in generale e più racconto degli altri, che di noi stessi, di cosa pensiamo e di che inquadratura usiamo, che lente abbiamo, per il nostro racconto.
E non è facile eh?
Sai che sinceramente per me lo è, ma forse perché amo raccontare. Ho recentemente "chiuso" una lunga intervista/ video documentario e mi è spiaciuto "dover" per motivi di cambio di scena e un paio di domande che era necessario si sentissero mie, mi è spiaciuto dicevo dover "esserci" io dentro a qualche inquadratura, perché come idea non c'era. Poi ci sta: racconto una vita lunghissima attraverso un pranzo assieme, 59 minuti di montaggio finale (ed era il doppio prima) non posso fare solo un primo piano su di lui e alcune volte serviva ridare qualche filo al discorso. E pensa che anche lì qualcuno mi ha detto "ti si vede poco" e io proprio ho pensato: ma io che c'entro? Io, appunto non sono il racconto, io aiuto al massimo a fare in modo che ne esca un bel racconto, ma non sono protagonista.
Perché c'è un piccolo aspetto che manca, credo nel tuo pezzo: la gente, chi ascolta, chi percepisce ha voglia, ha bisogno di sentire quel pezzo di racconto umano di chi racconta. Ne accenni è vero, ma l'ho visto ad esempio su qualche video di viaggio, dove anche le singole piccole cose personali (da youtuber: "la mia casa a Londra") piacciono molto di più che non "10 cose di londra" come se ci fossimo tutti più abituati ad esprimere noi stessi e gli altri, più che i fatti, le vicende terze.
Come se, e qui sono ironico, fosse più importante un selfie di me sotto alla Torre Eiffel che una foto della torre eiffel.
E in effetti è così e l'ho capito secoli fa quando un amico, agli Internazionali di Tennis invece di fare una foto alla tennista famosa si arrampicò in modo da esserci lui e dietro, visibile, la tennista famosa.
Da quando io con, io insieme, il mio racconto sono diventati un filo più centrali de: "ecco la storia di".
Quello che dici sullo sparire in interviste e documentari anche per me è essenziale, ne ho fatti alcuni, non mi si vede mai e mi pare giusto così. Così come concordo con te che alla fine per quanto non si debba stare troppo nel mezzo il tocco umano è fondamentale. Io ad esempio sono un ipocrita perché ho scritto questa puntata ben sapendo che per me è essenziale partire da qualcosa di mio.
Bel post, Lorenzo. Sembra proprio che molti giornalisti e giornaliste (ma in generale noi come persone) si faccia fatica ad accettare che le risposte a una medaglia olimpica, a un podio mancato, a un qualsiasi gesto sportivo agonistico possano essere tante, diverse e andare comunque tutte bene. Proprio perché ogni atleta è tante cose, e soprattutto a una gara importante ci arriva dopo un percorso diverso, che solo lei o lui conosce fino in fondo.