Morte a Venezia
Il giornalismo di settore si sta piano piano spegnendo per colpa di soldi sempre più scarsi e spazi sempre minori, in particolare per i freelance.
Sto scrivendo questo numero in treno, sto andando a Barletta a parlare di Vivere Mille Vite (il mio libro, ogni tanto è bene ricordarlo) al Tessiture Festival e ieri ero al Festival Internazionale della Letteratura di Mantova dove ho parlato per un’ora di videogiochi, letteratura, cultura contemporanea e soprattutto di The Last of Us. Per fortuna c’era un bel po’ di gente, ma non essendoci foto social possiamo dire che sia effettivamente successo?
È stato una specie di monologo, un po’ lezione, un po’ standup, che mi ero preparato lavorando su alcuni punti principali di discussione ma che ho in gran parte improvvisato sul momento, divagando come uno che vuole raccontarti tanti cose e tante altre ne vorrebbe dire via via che parla. Sia perchè mi venivano argomenti in mente sia perchè per quanto ti possa preparare un discorso finisce che hai la sensazione di esserci arrivato troppo presto e allora ne approfitti per parlare d’altro.
Quando mi trovo in queste situazioni mi rendo conto di come a volte il mio cervello possa essere un grande alleato partendo da quello che a volte viene visto come un difetto: l’eccesso di dialogo interiore.
Io mi parlo tanto, mi parlo spesso, mi parlo troppo, sono la persona a cui parlo di più. E questo a volte va a detrimento della mia attenzione, ma altre volte, in queste volte, è come se il mio cervello fosse una volta di “passe” di un ristorante stile The Bear, dove un allucinato Berzatto continua a proporre argomenti su argomenti che vengono via via portati dai camerieri dal cervello alla bocca mentre batte le mani e fuma sigarette.
Scusate, non riesco a trovare una immagine migliore. Ma in fondo cosa è una testa se non una cucina di argomenti, con le sue padelle, la sua dispensa e le sue ricette?
E quando succede, quando mi accorgo che la cucina del mio cervello funziona in questo equilibrio di ansia da silenzio e voglia di dire sempre più cose mi sento perfettamente nella mia zona di comfort. Mi sento in quello spazio in cui stai facendo esattamente quello in cui in qualche modo sei bravo. Mi da una grande sensazioni di fiducia, qualcosa ai limiti di una pericolosa onnipotenza. Perché The Bear ci insegna che ogni giorno è diverso in cucina e nel cervello, la bravura sta nel gestire i momenti in cui i piatti ti escono bruciati e i fornitori non ti hanno consegnato la roba fresca.
L’acqua e bassa e i pesci si mordono
Vi sarà capitato di imbattervi nel tema dei giornalisti incazzati a Venezia perché si fanno sempre meno interviste e c’è sempre meno spazio per gli incontri con gli attori. L’ha scritto prima l’ex direttore di Hollywood Reporter Sollazzo che ha trovato casa in uno strano caso editoriale (Mowmag parte come rivista online dedicata ai motori e adesso ci trovi un po’ di tutto, dal gossip al cinema passando per il tech, con uno stile mediamente pepatino e provocatorio) e poi l’ha riportato anche Il Post.
In poche parole: la crisi generale, che è anche crisi della filiera cinematografica ha ristretto i fondi disponibili per la promozione dei film. Questo vuol dire che i distributori dei film possono tenere per meno tempo attori e attrici a festival ed eventi e hanno meno soldi per pagare loro le interviste.
Perché, sì, i talenti per le interviste si fanno pagare, non dai giornalisti, non dalle testate, ma da chi vuol promuovere il film (ovvero chi ne ha comprato i diritti).
Per tagliare i costi da tempo ci sono due modi, i cosiddetti “junket” in cui tu prendi tutti i giornalisti che vuoi invitare e li fai venire per un giorno in un posto dove si fanno interviste a pioggia oppure, ancora meglio, interviste online, che costano ancora meno.
Ma i festival restano i luoghi preferiti dove poter ottenere dei contenuti di qualità, ma se queste persone hanno meno tempo e ogni intervista costa dei soldi vuol dire che gli spazi a disposizione per intervistarli si assottigliano e devi farli fruttare al massimo.
Quindi li fai fare solo a testate grosse, influencer grossi o quei rari freelance che possono “spalmare” lo stesso contenuto su più spazi (e a cui viene concesso). Una che in questo lavoro si è ritagliata un bello spazio è ad esempio Eva Carducci, che intervistai un bel po’ di tempo fa.
E questo cosa vuol dire? Che il lavoro si impoverisce, che le notizie sono sempre meno, che le interviste sono sempre più simili e rare, o che spariscono in favore di attività social più leggere.
E ovviamente vuol dire anche che i giornalisti e le giornaliste non hanno alcun potere, se non quello datogli dalle testate per cui collaborano. Tutto è in mano agli uffici stampa che fanno e disfanno, e che che bisogna tenersi buoni. Quindi a volte le interviste sono sincere come quella di Sangiuliano.
A far scoppiare il bubbone ci ha pensato Marco Consoli, giornalista freelance che ha raccolto su un gruppo Facebook l’adesione di molti professionisti del settore, preoccupati per il loro futuro. Un’attività encomiabile però fa strano che venga fuori solo quando ti accorgi del problema perché toccano te. Figli e figliastri per le interviste e le esclusive si son sempre fatti.
Finché magari il problema era di qualche collega meno in vista non era un vero problema. Invece ogni tanto sarebbe bello che i problemi sistemici fossero affrontati anche da quelli a cui gira bene. Ma in fondo, perché dovrebbero farlo, voi lo fareste? Io lo farei?
Leggimi, sono famoso
Questa situazione ovviamente crea degli attriti per i soliti motivi che conosciamo. Il settore è in crisi, la competizione è altissima, le testate sono ormai spazi in cui pochissimi sono gli assunti e tanti sono i freelance che rimbalzano ovunque cercando di pubblicare pezzi ovunque possano.
C’è poi un discorso meno contenutistico/economico e più di posizionamento. Se sei il giornalista che intervista i vip, che viene invitato agli eventi, che si fa le foto con gente famosa, sei banalmente un giornalista più seguito, conosciuto, apprezzato e ammirato. Il problema sta riuscire a diventarlo e mantenere quella posizione tra un sacco di gente che non vede l’ora di superarti.
A questo va anche aggiunto che oggi per un freelance è praticamente impossibile essere a Venezia (ma potrei dire Lucca Comics, o altri eventi nazionali e internazionali) e riuscire non dico tanto ad andare in attivo ma anche solo a pagarsi il soggiorno con quelli che si riesce a fare.
Ci riesce, forse, qualcuno ma tendenzialmente è sempre chi in qualche modo fa altro oltre al giornalismo, magari una sponsorizzazione, magari si riesce e far pagare il soggiorno da un marchio. Raramente può capitare che almeno il soggiorno lo offra l’organizzazione.
Vi faccio un esempio pratico: facciamo finta che io riesca a ottenere un posto letto a Lucca ad un prezzo “basso”, 200 euro al giorno. Cibo escluso. Con una forbice di prezzo degli articoli che oscilla fra le 40 e le 100 euro capite anche voi quanto bisogna produrre per farcela e per non renderlo un investimento a perdere nella propria visibilità che si spera venga ripagato con altro.
A volersi fare due conti, anche un semplice press tour in giornata con sveglia infame e ritorno in serata (Se il volo non ha problemi) può essere in perdita se decidi di comprarti una bottiglia d’acqua in aeroporto.
Stringi stringi: può farlo soprattutto chi magari è già ricco e magari può investire tempo e soldi per posizionarsi.
Io stesso quando sono andato a Los Angeles per l’E3 o alla Gamescom di Colonia l’ho fatto o perché la testata ci metteva dei soldi o grazie a grandi marchi che ti pagavano viaggio e alloggio. E infatti negli ultimi anni capita sempre meno di vedere giornalisti invitati a eventi internazionali e sempre più figure ibride con un buon seguito social che magari ci metton dentro qualche reel o un post #adv.
E non c’è nemmeno da incazzarsi perché sono semplici questioni di costi e anche quando non ce ne volevamo rendere conto forse anche noi eravamo solo parte di un piano marketing.
Perchè lo fai?
E allora perché non lasciar perdere e concentrarsi su attività più redditizie? La domanda ha perfettamente senso ma non tiene conto di tutta quella zona grigia in cui oggi si agitano le persone che creano contenuti e che se non sono agli eventi top in qualche modo spariscono, non arrivano per prime alle notizie, non si fanno il selfie col vip o con l’oggetto del momento. Insomma, quella roba che dicevo sopra.
Anni fa, quando c’era l’E3 di Los Angeles uno dei miei capi mi disse anche andarci era costoso, anche insensato dal punto di vista economico, ma per una testata di videogiochi era importante esserci anche per una questione di rappresentanza.
La prospettiva a lungo termine è che a questi eventi non ci vada più nessuno, se non chi magari ci vive o può in qualche modo ridurre moltissimo i costi grazie ad amicizie e contatti. Ma è francamente una prospettiva abbastanza miserabile.
E questo, credetemi, sta succedendo nel cinema come nei videogiochi, nella tecnologia, nello sport e forse anche nella politica.
Possiamo uscire da questa situazione? Non sta a me deciderlo ma se i budget per le attività stampa/marketing sono quelli e si deve decidere se invitare un freelance che poi si sbatterà a cercare di buttare quel pezzo su più su siti (che si spera siano letti) mentre magari un content creator con un buon seguito mi garantisce un risultato più controllabile e affidabile la scelta e già fatta.
Se poi quel content creator pur di venire e far vedere che è quello famoso è disposto a venire gratis ancora meglio no?
Link
Vi serve un motivo per leggere Slam Dunk? Nel caso eccolo qua.
Serve un motivo per amare Space Marine 2 scritto da una persona assolutamene biased e fiera di esserlo? Nel caso eccolo qua.
E se invece volete un articolo che parla di fandom, ship e giochi di ruolo? Nel caso eccolo qua.
N3rdcore va a bracetto con queste due bellissime pubblicazioni:
L’ascesa degli “info-encer” ovvero dei creator che fanno giornalismo.
MSC ha comprato Il Secolo XIX da GEDI, mentre, sempre dentro GEDI L’Espresso sciopera e scoppia un casino quando tentano di farlo uscire comunque.
Se dovete vedere un solo video di YouTube questa settimana fate che sia questo. E segnatevi qualche nome.
Già è una domenica pomeriggio piovosa di inizio settembre. Ora che ho letto Heavy Meta ho ancora più voglia di piangere. Scherzi a parte, situazione veramente desolante.