Sono stanco io o sono stanchi i videogiochi?
Mentre il settore dei videogiochi cerca di riprendersi da un paio di anni umanamente disastrosi, la Summer Game Fest sorride sulle macerie.
Scusate l’enorme ritardo di questa settimana, oltretutto, neanche posso raccontarvi della mia esperienza elettorale, le urne sono ancora aperte. Da settimana prossima si torna a regime.
Ci sono un sacco di cose che si muovono nel sottobosco del giornalismo e dell’informazione di cui spesso chi legge non è a conoscenza. Una di queste è senza dubbio la possibilità che le testate, i siti e in generale tutto quell’eterogeno gruppo di persone che si occupano di informazioni plagino in maniera più o meno palese i contenuti altrui. E che lo facciano senza grandi problemi e senza nasconderlo neanche tanto.
Il plagio su internet va abbastanza di moda, perché copiare è un sistema efficiente di fare le cose e perché raramente chi lo fa viene sanzionato. Ogni giorno creator in cima alla “catena alimentare” copiano format, idee e testi a quelli più piccoli o dall’estero, consapevoli che nessuno gli farà niente, a meno di non voler passare la giornata a difendersi da una shitstorm lanciata contro “gli invidiosi”.
Un esempio molto banale è il creato “Caverna di Platone”, che parla di anime e manga e che negli anni si è costruito il consueto pubblico con cui costruire una relazione parasociale. Recentemente è stato scoperto che un suo video aveva platealmente rubato il testo di un vecchio articolo, parola per parola. È successo a ridosso della sua partecipazione al Comicon di Napoli e questo non ha cambiato di una virgola gli accordi con l’organizzazione.
Ma potrei raccontarvi di prima persona di molta gente che è stata beccata a copiare o tradurre pezzi e che, al massimo, ha cambiato sito, rifacendosi facilmente una verginità. D’altronde non è un vizio solo di singoli giornalisti, a volte capitano progetti editoriali che hanno questo vizietto, anche quelli che basano il proprio branding su una comunicazione giovane e accattivante.
Senza dire chi è chi, vi dico solo a destra trovate il post di una testata nazionale e a sinistra quello di una realtà editoriale giovane e tenuta in grande considerazione. Notare anche come nella seconda scheda sia sparito un partito.
Due link che dei superamici di Heavy Meta
Un entusiasmo immotivato
Questo fine settimana si è tenuta la Summer Game Fest, ovvero una sorta di momento convenzionalmente deciso dai principali sviluppatori di videogiochi per presentare le cose del futuro. La scelta è ricaduta sulla prima settimana di giugno perché fino a qualche anno fa erano i giorni in cui si svolgeva l’Electronic Entertainment Expo di Los Angeles, evento di cui ho parlato spesso e che rappresentava fino alla pandemia una sorta di momento zero in cui l’industria si raccontava, si presentava e mostrava cosa sarebbe arrivato nei mesi e negli anni a venire.
Era un evento ormai reso molto meno centrale dal flusso ormai continuo di annunci e notizie e aveva un sacco di difetti, ma ciò che è arrivato dopo sembra essere persino peggio.
Oggi, stando alle impressioni di prima mano di chi è sul posto, l’evento creato da Geoff Keighley, personaggio di cui, ho già ampiamente parlato, che rappresenta, secondo me, tutto ciò che di sbagliato c’è oggi nel mondo dei videogiochi, è una sorta di guscio vuoto che si regge su una impalcatura di video, hype, poche interviste e qualche prova che poteva serenamente svolgersi senza un viaggio.
L’impressione è che il settore non sappia più bene come raccontarsi o che, forse, dopo due anni di licenziamenti più o meno a sorpresa e altri anni in cui è stato ampiamento raccontato quanto possa essere stressante, avvilente e difficile creare un videogioco, questi lustrini stonino moltissimo.
Stonano anche perché si è capito piano piano, o almeno spero, che i videogiochi sono creature complesse, che quello che ti faccio vedere oggi non vale domani, che il gioco su cui sto spingendo oggi il tuo entusiasmo domani potrebbe essere cancellato perché scopro che non ci faccio abbastanza soldi, che quella funzione sbandierata poi viene ridimensionata durante lo sviluppo, che gli sviluppatori hanno subito minacce di morte perché ci hanno messo un personaggio che appartiene a qualche minoranza.
Quest’anno poi gli annunci “veri” sono pochissimi, molte cose li abbiamo viste e riviste e gli unici brividi arrivano da titoli “minori”, ovvero quella fascia media di titoli che non aspirano a essere megaproduzioni, ma su cui vengono spesi comunque migliaia di dollari, e che oggi vengono spesso chiamati “indie” solo perché non fanno riferimento a grandi publisher.
E questo senza considerare il fatto che è un evento costoso, che non ama i videogiochi, ama i soldi di chi può permettersi di metterci dentro un trailer, visti i prezzi medi per uno spazio.1
Ed è anche molto difficile, almeno per me, vivere l’entusiasmo per procura di chi è sul posto e cerca di raccontare quello che sta accadendo come se fosse un momento esaltante, perché su quell’esaltazione vive la propria linea editoriale. D’altronde i brontoloni negativi non piacciono a nessuno, a meno che non si debba ridere di un gioco brutto del quale si può ridere perchè nessuno ci toglierà anteprime o sponsorizzazioni importanti e il pubblico non ci sbranerà (come è accaduto con la Marvel, che nel giro di due film è passata da intoccabile a una specie di sassaiola).
Parlando con chi è sul posto tutto mi viene descritto come ben poca cosa, un recinto chiuso di video, qualche demo e sviluppatori praticamente tolti dalla narrazione, a meno che non ci sia un PR costantemente alle loro calcagna, un qualcosa in cui molti creator arrivano, guardano qualcosa e poi devono tornare a fare live nei loro studi.
Per ora mi pare che il miglior utilizzo della Summer Game Fest sia quello che ne fa il tizio che possiede il sito summergamesfest.com.2
Sono io o sei tu?
Insomma, sono dubbioso, e il primo dubbio è verso me stesso, perché non sarei del tutto onesto se non vi dicessi che la prima incertezza che ho è nei miei confronti. È il settore che mi pare in una fase di stanca dal punto di vista comunicativo o sono io? Sono io che trovo il settore privo di idee e ricco di entusiasmi immotivati di cui, ovviamente, stampa, creator e macchina del marketing sono i principali responsabili?
Onestamente non so darmi una risposta ma credo che forse qualcosa dovrebbe cambiare nella macchina organizzativa e comunicativa del settore. Ho parlato spesso delle fasi e dei meccanismi che regolano il lancio di un gioco, fasi che sono tendenzialmente tutte uguali e tutto sommato non troppo distanti da quelle del cinema, ma che forse, mi viene da dire, il cinema moderna ha mutuato dai videogiochi più che l’opposto.
Anche perché sì, nel cinema ci sono momenti in cui si fanno vedere le cose nuove agli specialisti, ma sono spesso eventi a porte chiuse. Non esiste, se non come spazio puramente pubblicitario tipo le interruzioni del SuperBowl, un momento in cui un tizio sale sul palco facendo l’amicone e spara due ore di trailer dei film dei prossimi anni.
Così come non esiste quasi mai in altri settori che il tizio a capo di un’azienda venga messo sul palco a fare l’amicone dei nerd raccontandoti cosa ti venderà in futuro. O almeno, è un evento molto raro e molto meno “evento” della Summer Game Fest.
Ma se col cinema un trailer ci può fregare, ma tutto sommato conta il giusto, nei videogiochi le cose sono molto differenti e su quello che un videogioco “sembra” c’è molto più dibattito su ciò che un videogioco è. Sulle reaction ai trailer, su anteprime mozze, sugli scatti rubati e le indiscrezioni. Poi il gioco esce e dopo mezz’ora se fai un approfondimento sei un eroe che sa di perdere click. Spesso, inoltre, i mezzi di analisi sono insufficienti per cogliere eventuali sfumature che vanno oltre parametri che hanno, ci piaccia o meno, quasi cinquant’anni.
Lo si è visto molto bene con Senua, titolo discusso, analizzato, stroncato e amato in cui molti si sono lamentati che spesso “si cammina e basta” mentre la voce del gioco ci racconta le cose. Ed è un dibattito che spunta fuori ogni volta in cui un videogioco sfugge ai canoni e alle classificazioni standard per concentrarsi sulle emozioni provate dal singolo giocatore.
Qualcosa dovrebbe cambiare ma è molto difficile che cambi, banalmente perché è un cambiamento che non conviene ai pochi gruppi industriali che stanno in cima, non conviene a chi tutto sommato in questo contesto ci sta bene, non conviene a chi lo sfrutta per marketing personale o per creare una relazione con il proprio pubblico basata sulle proprie capacità di accesso a contenuti “esclusivi”, non conviene perché, onestamente, un altro modo di raccontare le cose costa fatica e non è neppure detto che esista.
Quindi saremo nuovamente qua, Giugno 2025, a dire che il mondo dei videogiochi è insostenibile così com’è, che dovremmo rispettare di più gli sviluppatori e le sviluppatrici, ma ora zitti che c’è un trailer nuovo.
Link e altre cose
Continua la retrospettiva su King’s Field col secondo capitolo.
E parliamo di cosa sia il fandom e come nasca.
Da Charlie, la newsletter de Il Post
Com'è che in Italia quasi tutti i giornali scelgono di dire ai loro lettori che una parte politica ha sempre torto e mai ragione? È realisticamente e statisticamente impossibile che sia davvero così: eppure non compare mai un articolo o un titolo che dica "X ha fatto questa cosa giusta" o "X ha ragione e i suoi avversari torto", dove X è - a seconda del giornale - l'obiettivo che quel giornale ha scelto di contestare quotidianamente, per soddisfare e alimentare le cieche partigianerie dei suoi preziosi lettori. Perdendo però così credibilità e affidabilità: perché, appunto, delle volte X ha ragione e i suoi avversari torto, inevitabilmente. E perdendo coerenza: perché X ha detto o fatto la stessa cosa che altre volte dissero o fecero i suoi avversari, che vennero allora lodati e apprezzati da quel giornale.
L'alibi è chiamare questo approccio "linea editoriale": ma è una linea commerciale e demagogica, in realtà. Non dipende da un'idea del mondo, ma da una rigidità di pensiero unita a una necessità economica. Non è diversa da quella dei giornali sportivi che "tifano" per singole squadre, per essere letti e apprezzati dai tifosi di quelle squadre. I giornali migliori, quelli a cui dare fiducia, saranno quelli dove troverete qualcuno che dica "Ha ragione Meloni" o "Ha ragione Schlein" senza ironie o premesse o distinguo, quando fino al giorno prima quei giornali le avevano attaccate.
https://www.spaziogames.it/notizie/la-summer-game-fest-2024-e-un-salasso-ecco-i-listini-per-i-trailer
https://aftermath.site/summer-games-fest-website-geoff-keighley-taco
L'E3/non-E3 è il momento annuale del "non vedo, non sento, non parlo" nel mondo videoludico, praticamente.
Secondo me, il tuo sentirti stanco - sensazione che condivido - deriva dalla mancata evoluzione. Le cose cambiano, tu cambi, tutto cambia: eppure, ogni giugno ci sono gli stessi entusiasmi, gli stessi "WOW" urlati, i voti alle conferenze, il mio contro il tuo. Dalle stesse persone che lo facevano dieci anni fa.
L'esperienza non viene messa al servizio dell'evoluzione comunicativa e di un racconto più informato; ma è asservita, invece, al gioco dell'entusiasmo a tutti i costi.
In pratica: quarantenni che commentano come i 15enni. Solo che tu, intanto, 15 anni non li hai più.