You are the media now
La disintermediazione dell'informazione che passa da Welcome to Favelas è una situazione brutta che i media tradizionali hanno contribuito a creare.
In questi giorni ho rotto un’antica maledizione. Dopo anni di tentativi sono riuscito a vedere la mia firma su Il Post. Certo, nella sezione Storie/Idee che è quella dei contributi esterni firmati (dove mi trovo benissimo perché scelgono pezzi lunghi e molto personali) ma una vittoria è una vittoria.
Ma quello che mi ha fatto più piacere, al di là dell’aver trovato il canale giusto per proporre un articolo, è stata la risposta di un bel po’ di gente che si è dichiarata contenta per me. Non me lo aspettavo, penso che la gente abbia di meglio da fare rispetto all’essere felice per me.
Però è stato bello.
E comunque ammetto che a volte avere una ossessione, e finire su Il Post era una di quelle, è salutare. A volte vorrei avere ossessioni più remunerative però!
Welcome to Muskelas
Persone ben più erudite di me da tempo fanno notare come la realtà abbia completamente perso senso. O meglio, ci troviamo di fronte a così tante cose contemporaneamente che è impossibile trovare un senso che non sia riderci, anzi, memarci sopra. Creare del contenuto per riempire lo spazio lasciato dal collasso della realtà. Oppure possiamo chiuderci in uno spazio definito e filtrato dove passa solo quello che riusciamo a elaborare o che ci permette di non vedere troppo fuori.
Solo le ultime due settimane hanno creato una tale mole di notizie che potrebbero bastarci per tutto l’anno e questa sensazione di cassa dritta stile rave puntata sulle nostre sinapsi è ovviamente amplificata dai social network, che sono spazi dove si vive solo di reazioni elementari e sensazioni di totale impotenza.
Non vi dico niente di nuovo, ascoltate Welcome to the Internet di Bo Burnham che è ancora il saggio migliore sull’esperienza media di ogni essere umano oggi: il contenuto più terribile è seguito da una ricetta facile, seguita da un unboxing, seguita da un video politico, seguito da un incendio, seguito da una tizia in bikini che balla, seguito da uno streamer che se la prende col politicamente corretto, seguito da un politico.
Il social ci danno l’illusione di essere al centro del panopticon globale e soprattutto di essere soli di fronte a tutto questo. L’internet delle comunità, dei gruppi, degli spazi collettivi di dialogo si è dissolta tra i commenti e le reazioni. Assieme a lei si è dissolta anche l’idea che i social siano spazi di confronti paritari, neutri e non il frutto di un’esigenza economica che oggi più che mai si è fatta politica.
In questo contesto ha fatto molto scalpore la ricerca di un contatto tra l’amministratore di Welcome to Favelas e gli inviati di Elon Musk, che ormai manda ambasceria in tutta Europa, togliendo definitivamente la maschera a un progetto politico che macerava parzialmente celato da anni, pur essendo abbastanza palese se si sanno connettere un po’ i puntini.
Realtà senza filtri e altre favole
Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, Welcome To Favelas è una pagina che da anni accumula e condivide video di quello che viene generalmente definito “degrado”. Risse, scippi, furti, incidenti e più in generale gente che non sta bene, barboni, persone con problemi mentali e così via. Col tempo questi spazi hanno accumulato sempre più pubblico e quindi sempre più attenzioni da parte di politici e inserzionisti di ogni tipo. Dentro ci puoi trovare la richiesta di adozione per un cagnolino accanto al tizio che ti vuole vendere il suo corso per il mindset, truffatori di ogni tipo, raccolte fondi solidali e così via.
Per un po’ di tempo c’è stata pure la cosiddetta “Bibbia”, ovvero un’enorme archivio di revenge porn che girava indisturbato. Solo di recente tutto. il progetto ha iniziato la sua trasformazione di una sorta di media indipendente, con tanto di rassegne stampa.1
Questo modello è stato via via seguito da molte altre pagine locali, sempre col suffisso “Welcome to” in cui il canovaccio si ripete. Col tempo il progetto principale si è ampliato e il suo cuore adesso è il canale Telegram, che ovviamente permette una diffusione molto più libera di ogni tipo di contenuto.
Welcome To Favelas è gestita da Massimiliano Zossolo, che in varie interviste evita accuratamente ogni forma di connotazione politica, dichiara il suo amore per la scrittura (ha scritto un libro sulla masturbazione maschile. Non è uno scherzo: il titolo è NO FAP, tanto per rimanere nella realtà che insegue il meme), per la libertà e si definisce, in una intervista particolarmente benevola “Solo uno specchio. Rifletto ciò che vedo, senza filtri. E per rispondere alla vostra domanda sul modo in cui definire il mio ruolo all’interno di tutto questo, posso dire che sono soltanto un tramite, un catalizzatore di voci, un cercatore dell’autenticità”.2
Se lo chiedete a me, tutte le volte che qualcuno si è definito solo uno specchio della società, che è un modo molto furbo per evitare ogni forma di responsabilità, evitando definizioni politiche e di altro tipo, che di solito è un altro bel modo per dire chiaramente cosa sei senza dirlo apertamente o per poter cambiare rapidamente casacca, la situazione poi andata a cadere in un’area ben definita.
E anche l’idea che tu sia solo specchio mi suona sospetta perché una curatela dietro c’è sempre, anche quando decidi cosa mettere e quando. Anche gli specchi vanno posizionati per capire cosa devono riflettere.
Diciamo che, a oggi, Welcome To Favelas oltre a mostrarci quello che mostra evidenzia nei suoi commenti un brodo di coltura particolarmente ricco di razzismo, odio per “i comunisti”, per “le femministe”, il woke, il politicamente corretto (aka, ma come non posso dire questo epiteto terribile?), battute da spogliatoio, bomberismi vari, nostalgia generalizzata e grande fastidio per tutto ciò che non è un uomo forte che rimette a posto le situazioni mostrate nei video.
Potremmo definirlo l’ultimo passo di un lungo percorso che è passato anche per spazi come Le Iene, Striscia o La Zanzara.
Populismo informativo
L’incontro tra Zossolo e gli ambasciatori di Musk è stato definito “necessario e molto stimolante” e chiosato dall’hashtag #youarethemedianow. Subito sono partiti gli allarmi: ecco come si destabilizza una nazione: colpendo i suoi organi d’informazione, siamo in pericolo. Ed è vero, ma è un pericolo che l’informazione ha chiamato su sé stessa indebolendosi e offrendo il fianco a realtà come questa.
Stando a Zossolo “Ora è il momento di costruire un sistema d’informazione decentralizzato, non più monopolio dei vecchi e inaffidabili media tradizionali. Al centro di questo nuovo modello devono esserci le persone, non i cosiddetti “professionisti dell’informazione”.
Che è una bellissima frase populista ma che non pare in alcun modo migliorare le cose. Perchè se i professionisti dell’informazione sono fallibili, faziosi e così via figurati cosa può venire fuori da un sistema gestito dall’uomo della strada.
Questa lotta tra media tradizionali e internet ha almeno vent’anni, forse di più ed è una battaglia che la vecchia guardia probabilmente perderà o ha già perso. Una battaglia che oscilla fra giuste osservazioni e complottismi, tra piattaforme di denuncia e gente che vuole solo sfruttare la nostra attenzione morbosa. Tra reti sociali e reti di gente che vuole organizzare pestaggi ai taccheggiatori.
Oggi i mezzi tecnologici hanno fatto crollare ogni confine tra un messaggio e la capacità di diffonderlo. E per quanto certe strutture classiche restino in piedi (se mi apro un sito di giornalismo di certo non vengo letto quanto Corriere) chi sa sfruttare determinati linguaggi e contenuti può crescere velocemente. Anche perché le strutture classiche sono spesso lente, impastoiate da burocrazie, norme, amichettismi e tempi che internet sorpassa in un lampo.
Questo senza contare i momenti in cui il giornalismo tradizionale si rivela chiaramente fazioso. Ognuno di noi ha avuto un momento in cui se ne è reso conto, di solito quel momento corrisponde con qualcosa che non ci piace come viene raccontato e di cui siamo bene informati o di cui abbiamo trovato palese smentita altrove.
Cioè se io stesso per informarmi su certe situazioni, vedi il genocidio palestinese, ho dovuto cercare immagini, dati e fatti sui social perché quotidiani e telegiornali filtravano tutto ciò che poteva dare fastidio a determinati conglomerati di potere, che idea può avere il tizio che ha un’opinione ancora peggiore del sistema d’informazione?
Questo punto di contatto tra chi ha destabilizzato gli Stati Uniti e non vede l’ora di continuare il lavoro in Europa e chi si pone come media alternativo era solo questione di tempo e al di là di ogni allarmismo è qualcosa che il giornalismo si è sicuramente tirato addosso. Che poi è anche il motivo (anzi, uno dei motivi) per cui alcuni grandi progetti comunicativi reazionari e tendenzialmente di destra (vedi Joe Rogan) prosperano: c’è sempre chi è disposto a finanziarli per creare il caos.
Scavalcare le forme di mediazione dei media classici e informarsi sui social è il modo migliore per evocare quella sensazione di potere e solitudine del singolo di fronte alle notizie del mondo di cui parlavo all’inizio. Musk vuole lanciare i suoi messaggi quando siamo più deboli, ovvero mentre cazzeggiamo sui social.
Questo succede anche perché il tizio scippato sulla metro o quello svegliato dagli spacciatori che si accoltellano sotto casa non trova nei nella politica e nei giornali niente che soddisfi il suo bisogno di significato.
Quello che fa Welcome to Favelas non è giornalismo, chiariamolo subito, il giornalismo è quella cosa che accade tra il filmato di degrado e chi lo vede, è il racconto, è il contesto, è riportare una notizia spiegando tutto. Se ti mostro solo un tizio che urla per strada e tu lo guardi come se fosse un fenomeno da circo non siamo nel campo del giornalismo, il video di cassonetto che prende fuoco o di un pugno in faccia non sono giornalismo. Il giornalismo sta anche nel racconto, nel contesto, nel senso, nel contesto.
Due a zero
Quando i media tradizionali prendono i video di WtF e li mettono sulle loro pagine assistiamo a una doppia sconfitta. La prima è quella in cui in una società dell’immagine bisogna attaccarsi a qualsiasi tipo di visualizzazione per raccogliere un po’ di adv video, anche a fatti marginali o morbosi (si è sempre fatto, ora lo si fa solo di più).
La seconda è la sconfitta dei media tradizionali come piattaforme per il cosiddetto citizen journalism, cioè l’idea che le persone grazie a un telefono diventino fonti giornalistiche e poi condividano con la tua rdazione, non con una pagina come WtF, i loro contenuti. Se non lo fanno è perché su WtF si sentono ascoltati, perché lo ritengono motivo di orgoglio, perché sentono che è la loro comunità di riferimento, non lo sono di certo le redazioni di Repubblica o il Corriere.
Gli spazi di controinformazione sono sempre esistiti, così come esistono gli spazi che sostengono di andare contro la pomposità dei media tradizionali, lo stesso vale per l’esistenza di di sfogatoi terribili per le cose più turpi. L’avvicinamento di Musk a questi spazi non può stupirci, perché X è una sorta di enorme Welcome to Favelas ormai da anni, soprattutto sotto la sua gestione.
Ed esattamente come WtF nasconde dietro una pretesa di libertà l’ennesimo filtro. Anche perché è inutile fare finta, i filtri, le curatele, le selezioni, ci servono, non è possibile né sensato sottoporsi a ogni stimolo notiziabile. Perchè se tutto è importante allora niente lo è.
Il problema grosso è che per quanto io voglia difendere i media tradizionali (In fondo ci scrivo, no?) mi risulta molto difficile. Da anni non solo sono stati impoveriti e svuotati da scelte sbagliate e da un contesto economico che non vede l’ora di sbarazzarsene, ma hanno anche fatto di tutto per meritarsi le accuse di faziosità, di supponenza e di parzialità.
È un po’ come quando parte l’ennesimo scontro tra content creator che parlano di videogiochi e gente che ne scrive sulle testate specializzate. Disintermediare totalmente l’informazione da una struttura che ci aiuti a capire e faccia curatela è pericoloso, ma il sistema in vigore fino a ora è così pieno di falle che ti senti male a difenderlo.
Quindi sì, Musk e Welcome to Favelas che vanno a braccetto è brutto, è un sottoprodotto dell’informazione veicolata dai social che ha totalmente impoverito di senso il concetto di notizia, ma i media tradizionali non hanno fatto molto per rappresentare un’alternativa valida a questo impoverimento, anzi, forse sono stati tra i soggetti che hanno reso WtF un media legittimo.
Insomma, you are the media now, quindi comportati bene.
Link?
Su N3rdcore continuiamo a raccontae i manga che dovreste recuperare, come Monster di Urasawa.
E Nosferatu? Bello ma non balla, almeno secondo Eva.
Io invece sulla Rai parlo di Lynch, di quanto abbia ispirato i videogiochi e quando ha cercato di farne uno.
E infine
https://www.facta.news/articoli/elon-musk-welcome-to-favelas
https://www.noooagency.com/noooborders/welcome-to-favelas-e-il-futuro-dei-media-intervista-al-fondatore-massimiliano-zossolo-sulle-nuove-regole-dellinformazione-online/
Bello il pezzo per Il Post, complimenti Lorenzo! E grazie per il salto indietro al tempo dei gettoni infilati uno dietro l'altro nei cabinati.
Preziosa anche questa puntata sulla disintermediazione informativa: mi viene da dire che per fortuna non conoscevo Welcome to Favelas, ma sapere che profondità ha l'abisso è sempre utile.
Quando ho letto il tuo pezzo sul post sono stato molto contento, mi è sembrato un momento molto “karmico”. Quando invece ho letto la newsletter di oggi ho pensato che proprio questa settimana al corso di comunicazione digitale spiegavo agli studenti la questione della disintermediazione (e i suoi danni) e dovrò passargli il link a Heavy Meta. Quando mi capita di scrollare Welcome to Favelas o simili ho quella sensazione nietzschiana dell’abisso che “guarda dentro di te”. WTF devo dire che è veramente l’acronimo perfetto per quel progetto.