Cose che forse ho imparato nel 2023
Un altro anno di aspettative, fallimenti, sorprese inaspettate e dure lezioni va in archivio. Ecco cosa ne traggo, magari potrebbe essere utile anche a voi.
Mi ritengo una persona fortunata perché a Natale non ho mai dovuto sottostare alla narrazione dei parenti che ti fanno domande fastidiose o affermazioni sociali e politiche imbarazzanti. D’altronde ero già una persona fortunata per il fatto di aver avuto una famiglia in cui preferivano comprarti un PC al posto del motorino (ma io volevo anche il motorino, sia chiaro) e nessuno ha mai osteggiato le mie passioni.
Infatti, sono finito a fare il giornalista in perenne ricerca di lavoro e validazione.
Mamma, babbo, forse era meglio se mi osteggiavate un po’!
Scherzi a parte una cosa che mi fa molto piacere in questi anni è vedere che il periodo delle feste natalizie viene vissuto con maggiore consapevolezza. Per quanto sia molto difficile sfuggire a un certo tipo di narrazione, soprattutto in un Paese tradizionalista e abbarbicato a determinati riti religiosi e non, vedo attorno a me un sacco di messaggi pensati a chi vede nelle feste non un momento di celebrazione, ma quella fase dell’anno in cui ti sbattono in faccia tutto quello che avresti dovuto fare secondo loro, in cui ti dicono di mangiare ma non hai fame, in cui mangi e ti contano le fette di pandoro.
Oppure, peggio ancora, non hai neppure qualcuno con cui litigare e magari le feste ti ricordano ogni anno chi non c’è più. Vi capisco e, se riesco a vincere la mia ansia di incontrare persone, a Firenze vi offro pure una birra.
La fine dell’anno coincide con l’inizio dei classici prodotti editoriali di stagione: le classifiche, i best of e così via. Puntuali come con i consigli estivi sul caldo, i siti e i quotidiani si riempiono di sguardi all’indietro.
Ho già detto l’anno scorso quanto detesti questa pratica ma, esattamente come pianificare l’anno successivo, è un qualcosa che mi attrae e mi respinge. È come un frutto delizioso ma estremamente rompipalle da sbucciare. Perché alla fine è dura resistere al gusto dei bilanci, delle classifiche, del vissuto. Di certo non possono resistere i media, perché sono articoli che generano click e dibattiti facili.
Quest’anno per l’editoria è stato un anno decisamente tosto, molti siti storici hanno chiuso o sono stati ridimensionati, ChatGPT sembra pronta a spazzare via alcuni dei lavori che finora sembravano sicuri e in generale l’impressione è che i siti d’informazione, in particolare quelli di cultura pop, stiano arrivando al punto di saturazione di quella “bolla nerd” che li ha fatti prosperare per dieci anni.
Ed esattamente come l’anno scorso riecco le cose che ho imparato in quest’anno da giornalista freelance. Sperando possa tornarvi utile.
Ho un rapporto tossico col giornalismo, è il momento di ammetterlo
Da quando ho deciso di voler diventare giornalista, quindi più o meno dopo il liceo e dopo aver capito che non volevo studiare Lingue all’Università, ho idealizzato il giornalismo nonostante gente che lo frequentava da prima di me mi avesse messo in guardia su quello che stava succedendo. Abbiamo vissuto anni bellissimi insieme, mescolati però a cocenti delusioni, a cui seguiva subito un qualcosa che ci riavvicinava.
Ma col tempo i maltrattamenti sono diventati più delle coccole ed è palese che io stia portando avanti una relazione tossica in cui faccio finta di ignorare i lati negativi e nascondo i lividi aggrappandomi a quei momenti in cui mi fa stare bene, ripetendomi ogni anno che fra poco andrà meglio. E che tutto sommato quelle due o tre cose rimaste mi fanno comodo per tanti motivi.
Ma probabilmente non come me la racconto, e penso lo si veda bene dall’esterno, non lo è stata neanche quest’anno, nonostante un bellissimo press tour in Giappone, un giretto a Las Vegas e uno a Dubai e alcune interviste che mi hanno esaltato. La verità è che il giornalismo non mi ama, o almeno, non ricambia il mio amore, un amore che non riesco a spegnere. Eppure, forse è arrivato il momento di farsene una ragione.
Forse abbiamo più amici di quello che pensiamo
È anche vero però che in uno dei momenti peggiori dell’anno scorso, quello descritto in questa puntata della newsletter, ho chiesto una mano e quella mano è arrivata. Anzi, ne sono arrivate molte. Alcune si sono concretizzate in cose molto belle, tipo Altri Mondi, altre no, ma comunque c’è stato chi si è adoperato per aiutarmi in modo concreto. E io, onestamente, non me lo aspettavo.
Lavorare da freelance in ambienti estremamente competitivi, dove ognuno fa per sé, dove nessuno ti aiuta, dove si creano gruppetti e consorterie che si tirano la volata escludendo sistematicamente gli altri e dove chi è “dentro” una redazione cerca sistematicamente di fare le scarpe a quelli fuori ti porta ad avere un senso di accerchiamento.
Pensi che tutti ce l’abbiano con te o che, nel migliore dei casi, ti ignorino. Scoprire che non era così e ricevere ogni tanto messaggi di gente che ti dice “hey, mi piace come lavori” o “mio figlio ha visto il tuo video e vuole fare il giornalista (pazzo!)” fanno più bene di quanto si pensi. Fanno sicuramente più bene di quanto le varie offese possano fare male. E sono assolutamente sicuro che senza tutto il gruppo redazionale e di lettori e lettrici di N3rdcore sarebbero stati anni peggiori. Per non parlare delle persone che qua su Substack mi hanno concesso di fare rete assieme a loro e che sono state una delle belle sorprese di quest’anno.
Alla fine, resto uno schivo animale sociale e magari imparare a chiedere aiuto tanto male non è. Magari vi permetterà di ricordarvi che forse, forse, quella solitudine ce l’avete soprattutto in testa.
Fare spazio nel cervello è fondamentale
L’anno scorso dicevo che avrei dovuto scrivere di più a mano, prendere più note, appunti e così via. Avrei dovuto cambiare la mia abitudine di “ma sì, lo tengo a mente!” perché era palese che mi costava tantissime energie fare così e non ero disposto a spenderne per uscire dalla classica zona di confort in cui lo stress del cambiamento ti sembra maggiore dello stress che stai vivendo. Ci ho messo… beh solo otto mesi per decidermi a cambiare marcia.
Ho comprato un quaderno modulare per appunti in cui posso mettere e togliere taccuini, taschine e altre nerderie. Ve lo avevo già fatto vedere qualche puntata fa, è molto hipster soddisfa la mia costante voglia di oggetti particolari.
Ho comprato una bella penna, forse due facciamo tre (ho scoperto poi che l’amore per penne e cancelleria è un altro lascito paterno) e adesso mi annoto tutto. Giorno per giorno. Quello che devo fare, come mi sento, cosa vorrei fare. Poi magari non riesco a farlo ma quando il cervello mi si paralizza apro la pagina del giorno e faccio quella cosa che mi sblocca. Non credo che una agenda mi salverà la vita ma ogni cosa che metto sulla carta non resta nella testa e questo mi aiuta tantissimo. Voi amanti delle agende mi direte “grazie al cazzo” e lo so, ma ognuno ci arriva a modo suo.
Fai più cose di quelle che credi
L’effetto collaterale dello scrivere tutto e, devo dire, di questa newsletter, è stato riuscire in qualche modo a superare l’idea che, di fatto, io non faccia niente, o pochissimo, o comunque niente di tangibile o misurabile. È un classico del lavoro “di concetto” o “culturale” mettiamola così: ti manca quel rapporto fisico col prodotto che può avere il tizio che alza un muro, il falegname che fa una sedia o quello che svuota o riempie un magazzino. Se i giornali del giorno dopo sono buoni solo per incartare il pesce, figuriamoci su internet, dove tutto è vecchio dopo mezz’ora. Scrivere oltretutto vuol dire fare i compiti a casa tutta la vita e farlo sul digitale (perché sia mai che ti tocchi la sacra carta, quella è per i pochi eletti) rende il processo ancora più incorporeo. Che hai fatto oggi? Un articolo e poi puf, sparito. E invece no, devi mettere in fila articoli, interviste, capitoli della newsletter, video, podcast, il fottuto libro che è uscito nuovamente quest’anno con una edizione rinnovata. Non tutte queste cose erano “lavoro” nel senso stretto del termine, ma erano qualcosa, qualcosa che per me aveva valore e lo ha avuto per altre persone. Una delle sfide più grandi per me è, e forse sarà sempre, dare peso, corpo e spazio a ciò che sembra non averne.
Mi rendo conto a posteriori che gran parte di quello che vi ho scritto riguarda un mondo interiore fatto di illusioni, demoni personali e cervelli che vanno indirizzati nel modo giusto affinché non si perdano. E forse è questo ciò che resta alla fine di quest’anno, se proprio dobbiamo trovarci una morale: amore, affetti, amicizia, benessere, lavoro, passioni, tutto funziona, o può funzionare, se riesci ad allineare corpo e mente.
In fondo è esattamente quello che dicevo nei primi appunti del corso di scrittura (che si farà nel 2024, in un modo o nell’altro): scrivere è quando le mani ascoltano la testa, ma quella testa ogni tanto deve lasciar fare le mani, senza mettersi troppo nel mezzo.
Buon anno di scrittura, progetti, idee, fallimenti e successi inaspettati.
PS
Purtroppo la fine dell’anno coincide anche con una brutta (ma direi attesa) botta per IGN Italia, sito che negli ultimi anni, pur mantenendo una grande qualità negli articoli e una linea editoriale che non si è quasi mai piegata ai trucchetti della concorrenza, non navigava in bellissime acque. In queste ore se ne va il direttore, Andrea Minini Saldini, storica firma italiana ma è solo l’ultimo pezzo che se ne va dopo che altri nomi illustri hanno salutato o ridotto di molto il loro apporto. Ci ho scritto anche io e forse è il posto in cui sono stato più orgoglioso di scrivere. Se dovesse sparire, pur capendo che purtroppo così vanno le cose in un settore ormai poverissimo e annichilito dalla creator economy, mi spiacerebbe veramente tanto.
Auguri di un sorprendente 2024, Lorenzo, e grazie!
Ultimamente mi sono approcciato a un nuovo picchiaduro, Granblue Fantasy e un video di Diaphone, mi sembra, mi ha aperto la mente su una cosa: anche se si perde, concentriamoci sulle note positive.
Estrapolato dal contesto videogiocoso, trovo che sia qualcosa che valga anche per la vita del giornalista/ creatore di contenuti/ vita vera.
Cerchiamo anche le note positive del nostro operato.
Sono quelle che magari ci spronano ad andare avanti e migliorare quelle criticità che abbiamo trovato nel nostro percorso.
Un abbraccio e buon 2024 ♥️