Il sapore amaro di un sito che chiude
A sorpresa il panorama della critica cinematografica italiana perde Bad Taste, che è solo l'ennesimo tassello di un mosaico ormai quasi del tutto cancellato.
Con la Gamesweek/Cartoomics di Milano si chiude più o meno la stagione di eventi di “cultura pop” (questa definizione comincia a non avere più senso per me come “nerd”) per il 2024 e per me devo dire che è stato un piacevolissimo finale. Ho avuto modo di salutare qualche collega che non vedo mai dal mio eremo fiorentino (purtroppo non ho visto tutti e tutte, spero ci si possa rifare) ma soprattutto ho avuto modo di fare un’intervista a Neil Newbon, attore che ha prestato corpo e voce ad Astarion di Baldur’s Gate III.
E tanto per capire quanto i videogiochi siano una grande nicchia, o avete perfettamente chiaro di cosa sto parlando o non avete capito una parola, non esistono mezze misure.
È stata una bella chiacchierata, rilassata, nonostante il clima di urgenza che accompagna sempre questi ospiti sballottati a destra e sinistra negli eventi e per cui ogni minuto va fatto valere. Più che altro è stata una intervista che qualche mese fa non pensavo neppure di poter fare e che invece alla fine ho ottenuto quasi a sorpresa nel giro di poco tempo.
Senza dubbio è merito del fatto di scrivere per grosse testate, più che mio, perché alla fine io valgo solo per lo spazio che riesco a rappresentare, per quanto brutto possa essere sentirselo dire. Ma anche la mediazione con i PR è stata importante.
E questo mi ricorda ancora una volta che anche se giornalisti e PR spesso sembrano vivere in conflitto, perché spinti da urgenze differenti, quando riescono a collaborare, magari anche perché spinti da rispetto reciproco, possono trovare uno spazio comune dove fare belle cose.
E comunque un solo giorno di Gamesweek mi ha piegato, forse perché avevo un occhio mezzo fuori uso (e infatti oggi cercherò di essere un po’ più breve) e me la sono fatta tutta stringendo i denti e con la sensazione di una scheggia infilata nella retina, ma forse anche perché gli anni cominciano a sentirsi. E per quanto in fiera io sia una macchina poi dopo la fase di recupero si allunga.
Did I disappoint you? Live a bad taste in your mouth?
Ha lasciato un po’ tutti di sorpresa la chiusura di Bad Taste, sito di critica cinematografica, poi diventato anche lui più generalista, nato vent’anni fa palesemente grazie all’amore dei suoi fondatori per Peter Jackson e sull’onda del successo del Signore degli Anelli.
In questi anni Bad Taste era riuscito a ritagliarsi un dignitosissimo spazio nell’editoria web di settore italiana, dando spazio a molte firme interessanti e partecipando ai principali festival nazionali e internazionali. E tutto questo mantenendo tutto sommato una linea editoriale che provava a fare a meno di tutti quei compromessi che la scrittura sul web richiede quindi titoletti furbi, notizie che non sono notizie e quelle cose che diciamo sempre.
Negli scorsi anni aveva anche tentato una mossa molto radicale, un paywall dietro cui tenere gli articoli e i contenuti di maggior valore. Scelta tosta nel mercato italiano.
Il caso di Bad Taste è un po’ atipico rispetto ad altre situazioni, perché il sito appariva in salute, o comunque non sembrava così moribondo e recentemente c’era stato anche un restyling abbastanza importante con una riorganizzazione di notizie, approfondimenti e video.
Questo non vuol dire che non ci fossero segnali di qualche movimento sotto la superficie, tempo fa segnalai proprio qua che le sezioni dedicate a fumetti e videogiochi sembravano aver subito un drastico taglio e recentemente il direttore che aveva seguito la rivista per 13 anni Andrea Bedeschi, se ne era andato.
Nelle sue parole di commiato che hanno più che altro il tono di chi ne approfitta per levarsi qualche sassolino dalla scarpa, fa riferimento a investimenti che non sono stati fatti, alla crisi del settore e a scelte strategiche mancate.
La fine di Bad Taste è l’ennesimo chiodo sulla bara dell’editoria digitale nata sull’onda dell’internet di fine anni ’90/primi 2000 di cui ormai rimangono pochissimi esempi.
Quell’editoria che, come scrive Antonio Moro nel suo commiato non solo a Bad Taste, ma a tutta l’internet, una volta era semplicemente “pubblico un blog”.
Dopo la sua fine il nostro piccolo mondo è ancora più piccolo e tanta gente oggi proverà a bussare altrove, accettando magari situazioni ancora più precarie per cercare di rimanere sulla breccia.
Moro, che vi ricordo ha fatto con me una gran bella chiacchierata tempo fa in cui già si dicevano queste cose, parla giustamente di come l’Internet delle persone e di chi ci scriveva si sia suicidato prima seguendo i dettami della SEO, che di base è già un filtro che separa i contenuti che piacciono al padrone del vapore rispetto a quelli che potrebbero piacere a te, e poi regalando floride comunità di lettori ai social network.
Giusto tre cose
Tutte cose giuste, tutte cose dette spesso anche qua a cui mi limito ad aggiungere qualche considerazione dalle chiacchiere fatte in queste ore dietro le quinte.
La prima cosa è che al di là di ogni considerazione sulla palese crisi editoriale del web, sul fatto che tenere in piedi un sito oggi sia economicamente impossibile, anche riempiendolo di ad terrificanti che distruggono l’esperienza di lettura, e che ha falciato vittime illustre e ben più pesanti di Bad Taste, qua forse la questione è più legata a un accumulo di debiti che alla mancanza di investitori o allo stato di salute del settore, che comunque ha contribuito.
Questo sarebbe evidenziato, ma ovviamente son ipotesi, dal fatto che nessuno si è fatto avanti per rilevare il sito, neppure per trasformarlo in progetti dove far girare pubblicità e metterci articoli tanto per fare come è accaduto con Lega Nerd. Di solito in questi casi un sito con una buona seo e una comunità fa gola a eventuali progetti di raccolta pubblicitaria. Invece niente. O ci son troppi debiti oppure, banalmente, tutti i principali editori ormai sono ampiamente coperti.
La seconda è che evidentemente la scelta del paywall non ha premiato. Anche perché è molto difficile convincere qualcuno a pagarti, soprattutto in Italia, dove culturalmente si tende a non farlo, non siamo abituati, e perché dovremmo se il mare magnum dei siti pop generalisti ti riversano addosso tonnellate di contenuti gratis. E questo senza tutto ciò che trovi oltre ai siti internet. Per poter campare di paywall devi essere veramente molto grosso, seguito e autorevole ed è qualcosa che oggi può funzionare solo se sei una grossa personalità del web con un seguito che sfocia nella relazione parasociale.
I siti internet non ti fanno venire voglia di investire su di loro come utente. Quel tipo di relazione ormai è stata recisa, da anni di clickbait, pratiche poco chiare, siti con pubblicità ingestibili e sì, anche la fuga delle community verso i social di cui si parlava sopra. I siti non sono più luoghi accoglienti dove stare ma supermercati dove prendere quello che ti serve standoci il meno possibile senza dare niente in cambio.
L’ultima cosa che mi viene da dire è che, se per voi magari questa notizia è arrivata all’improvviso, probabilmente è successa la stessa cosa con qualcuna delle persone che ci lavoravano. Perché ormai in questo mondo dove le redazioni sono semivuote e la maggior parte delle persone sono esterne ci sta che il tuo sito chiuda senza che nessuno ti abbia detto niente.
Questa è la vita di chi vuol provare oggi a scrivere su internet.
Per questo siamo tutti più guardinghi, più attenti, più aggressivi. Non so se le nuove generazioni stanno imparando qualcosa da quello che gli stiamo lasciando ma forse il nostro dono più avvelenato è la disillusione.
Intanto come lo salviamo il web, come la salviamo l’editoria? Spazi piccoli? Progetti sostenibili? Un misto di editoria classica, web, streaming e altro? Nessuno lo sa, perché tutte le soluzioni di chi ce l’ha fatta sono tendenzialmente non replicabili. Penso a Gigaciao, penso anche a Round Two, ma anche Il Post.
L’unico consiglio che posso darvi e godere di ogni bel momento che le vostre scelte vi danno. L’intervista con la persona famosa che stimate, un bel viaggio, un articolo che avete amato, l’approvazione di chi lavora con voi, qualsiasi cosa.
Godetene come si sorseggia una bella birra dopo una giornata di lavoro, un pomeriggio di relax sul divano o un abbraccio di chi vi vuole bene. Sono, forse, l’unico scudo contro i tempi bui e l’unica cosa che vorrete ricordare se il vostro sito chiuderà i battenti.
Uffa, non sono stato breve.
Link?
Un gran bel fumetto di cui abbiamo intervistato l’autrice.
Io vi parlo di un libro che racconta la storia dei videogiochi di calcio.
Sulla Rai parlo di PS5PRO (e anche su Italian Tech)
E come sempre le collab più collab che ci siano