Le regole d'oro di Roger Ebert
Roger Ebert fu il re dei critici cinematografici e un fervente sostenitore di un approccio estremamente deontologico al suo lavoro, oggi riusciremmo a fare lo stesso?
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Roger Ebert è stato il capostipite di un certo modo di intendere il critico cinematografico e, per esteso, un certo modo di scrivere di cultura pop che perdura anche oggi. Forse anche per questo è stato il primo della sua categoria a vincere un Pulitzer nel 1975. Fu anche, insieme al collega Gene Siskel, forse uno dei primi a portare il dibattito sul cinema in televisione.
Ebert era uno dei pochi critici del suo periodo ad andare contro l’idea che il critico debba snobbare il mainstream e concentrarsi solo su nicchie e avanguardie, oltre essere un profondo sostenitore di uno stile personale. Per Ebert la sua esperienza al cinema era parte del film, si rivolgeva al lettore con uno stile affabile, personale, come quel tuo amico che ha visto il film e te ne sta parlando per convincerti ad andare al cinema o starne lontano.
Prima di morire, nel 2013, ebbe anche modo di far incazzare gli amanti dei videogiochi, sostenendo che non sarebbero mai diventati arte.
Ebert è tutt’oggi un faro di stile ed è famoso anche per aver stilato una serie di regole che mostravano anche la sua etica sul lavoro e la sua voglia di allontanarsi da ogni influenza esterna.
La domanda di oggi è: quelle regole valgono ancora ? Possiamo usarle anche noi?
La prima premessa da fare è che Ebert scrive queste cose in un contesto e con una posizione economica e di privilegio completamente differenti rispetto alla situazione attuale, soprattutto per quanto riguarda il panorama attuale. Ho scelto anche di tenere fuori le regole di stile, che ognuno ha le sue.
La seconda è che Ebert aveva già capito che le cose sarebbero andate a scatafascio. Introducendo le sue regole dice che i critici devono stare attenti e che i datori di lavoro non vedono l’ora di sostituirli con bocconi di gossip sulle celebrità. Che le “insta-star” con numeri drogati o la morte di gente famosa non dovrebbero essere notizie importanti. Che l’incombenza di definire un profilo etico spetta a lui in quanto decano ancora al lavoro.
Probabilmente oggi si rivolta così velocemente nella tomba che se gli attaccassero una dinamo potrebbe illuminare un paesino.
LE REGOLE
La prima parte di regole è abbastanza semplice da seguire, ve le riporto velocemente. Metto per prima l’ultima, che è la più importante.
Siediti, taci e presta attenzione. Niente telefoni, niente messaggi, niente chiacchiere ad alta voce, niente sgranocchiamenti vari. Per fortuna spesso i telefoni alle anteprime te li sequestrano, ma se hai lo modo di vedere in anteprima qualcosa a casa dovresti fare uguale e lo stesso vale per qualsiasi altra cosa che devi giudicare. Per il tempo che lo stai facendo esiste solo quello ed eventualmente un taccuino per gli appunti.
Consiglia bene il lettore. Ovvero, dire cosa è piaciuto a noi, non cosa potrebbe piacere a lui (o che fingi ti sia piaciuto per stare in linea con quello che i lettori si aspettano)
Descrivi il senso dell'esperienza. Indipendentemente dalla tua opinione, ogni recensione dovrebbe dare un'idea di ciò che il lettore sperimenterebbe vedendo effettivamente il film.
Tieni traccia dei tuoi elogi. Se dici che un film o un gioco sono tra i migliori dell’anno ricordatene se farai una classifica a fine anno. Aggiungo: se ogni cosa è un capolavoro forse abbiamo un problema.
Sii coerente nei paragoni. Se dici che The Last of Us è una serie che fa sembrare The Walking Dead uno show delle medie e la settimana dopo dici che The Walking Dead è stato La notte dei morti viventi della nuova generazione stai dicendo che The Last of Us è meglio de La notte dei morti viventi.
Non imbarcarti in sfide e affermazioni non puoi sostenere. Occhio a dire cose del tipo “sicuramente questo personaggio diventerà uno dei più amati della storia dei videogiochi/del cinema”
Rispetta il tempo del lettore.
Rispetta i soldi del lettore. Ricordati sempre l’aspetto monetario è che spesso stai recensendo qualcosa che altri dovranno pagare mentre tu no. Chiediti sempre “Ok ma ce li spenderei i miei soldi dovendo allocare un budget tra spese, abbonamenti e vizi vari?”.
Attento a non fare confusione tre le varie categorie, di persone, di generi eccetera.
Evitate i trailer. Regola sensatissima che non rispetto mai perché sono una persona curiosa, ma è vero che i trailer ormai mostrano le principali gag o evidenziano lo svolgimento della trama e in generale fanno arrivare al cinema con un senso di aspettativa o delusione che invece dovremmo tenere fuori.
Se poi consideriamo quanto ormai sia diventato normale per chiunque fare le “reaction” ai trailer direi che questa regola ce la siamo bella che scordata. Lo stesso vale per la regola successiva: un trailer non è un film, evitate quindi di usarlo se dovete consigliare i film della settimana e non ne avete ancora visto qualcuno.
Adesso le cose si fanno parecchio salate, vi avviso.
C’è un gruppo di regole che oggi abbiamo particolarmente buttato nel cesso. Perché il sistema è cambiato, perché ci andava bene così, perché il giornalista ha dovuto iniziare a mettersi a fare l’influencer, anzi no, il content creator.
Attenti ai gadget e ai regali.
Non accettare favori.
Nessuna promozione commerciale.
Per Ebert un critico non dovrebbe mai accettare voli pagati, hotel di lusso, cene e regali vari. Dovrebbe essere la testata a pagare tutto, soprattutto se “filthy rich”.
Finite le risate registrate, per fortuna è anche abbastanza consapevole del fatto che non tutti sono gli dei in terra della critica e che c’è chi lavora del suo (“un datore di lavoro sempre in bancarotta”, questa me la tatuo) o per testate che non ti rimborsano manco il costo del biglietto. Lui stesso dice che questa regola l’ha più volte infranta, volando più volte in prima classe.
Questa regola è particolarmente difficile da rispettare oggi, anche perché il settore è cambiato moltissimo e spesso l’accesso a determinati spazi di anteprima è ancora più normato dal rapporto con le aziende. Contemporaneamente i soldi nel settore sono pochissimi ed è molto difficile che una testata ti paghi il viaggio.
Paradossalmente succede più con quelle di settore, che magari prendono una casa con 5 persone per andare seguire l’E3 di Los Angeles, che per la rinomata stampa generalista, che si appoggia sempre su aziende che pagano la trasferta.
Anche la questione dei favori è fumosa, ma penso che lo sia sempre stata. Alla fine ogni giornalista ha la sua rete di fonti, pubbliche relazioni e amicizie che possono fare comodo e a cui fa comodo il suo servizio. Credo che rispettarla a pieno sia veramente da puri. Certo, un conto è se ti fa un favore un amico, un conto è un’azienda.
La questione del non fare pubblicità e promozioni commerciali dovrebbe essere facile da seguire no?
Se sei un critico cinematografico, televisivo o videoludico non dovresti fare pubblicità, perché altrimenti io poi come posso fidarmi del tuo lavoro quando andrai a giudicare in futuro prodotti di quell’azienda? Addirittura per Ebert tutto quello che ti arriva da recensire andrebbe rispedito. Oggi, questa regola ce la siamo proprio mangiata.
Non tanto perché siamo pieni di oggetti regalati (e, mi viene da dire, forse abbiamo imparato a scindere la cosa, o almeno spero) e da freelance alcuni di quei oggetti ti fanno pure comodo, ma soprattutto il sacro muro tra chi scrive e chi fa pubblicità è ormai pieno di buchi creati da un mercato che ha sempre cercato di scavalcare il giornalismo e controllare il messaggio.
I content creator, a cui molti si affidano per i pareri, vivono quasi solo di contenuti sponsorizzati, salvo poi continuare a dare pareri come se nulla fosse, ma ultimamente mi è capitato di vedere anche il coinvolgimento di giornalisti e testate intere a una campagna stampe, soprattutto nei videogiochi. Non ho ovviamente niente di personale contro chi lo ha fatto, però mi pare veramente molto difficile da giustificare. Ma poi sembra che al pubblico non interessi, quindi tutto ok.
Evito di farlo notare più di tanto perché tanto non cambia niente e l’unico risultato che otterrei sarebbe isolarmi ancora di più come il solito rompicoglioni che sono.
Fa strano dirlo ma anche solo farsi la fotina con “mi è arrivato il gioco! Adesso ne parleremo presto” è fare pubblicità, perché non c’è nessun contenuto giornalistico in quella foto. Solo la promozione del gioco e del giornalista. L’ho fatto in passato? Eccome, oggi cerco di evitare e forse il motivo per cui mi sono allontanato un po’ dalla stampa di settore sta anche nella mia difficoltà a gestire questi aspetti.
Purtroppo, molti di noi per stare al passo coi tempi e con la concorrenza dobbiamo superare queste linee, perché tutta l’infrastruttura che proteggeva in qualche modo l’indipendenza del critico, una struttura basata sui soldi, perché i soldi sono indipendenza, sono crollate.
Oggi abbiamo giornalisti che lavorano per aziende di cui poi recensiscono serenamente i prodotti, giornalisti mezzi PR e mezzi influencer e un sacco di altre sfumature nate sotto il nome “devo pur campare”.
L’unica soluzione, se proprio vuoi che sia il tuo lavoro, è non dipendere da nessuno e sperare nelle donazioni del pubblico, ma in quel caso comunque dipendi dal pubblico. Esiste quindi la vera indipendenza?
Forse solo se sei estremamente ricco di tuo e decidi di recensire quello che ti pare. O forse se si disposto a mordere il freno mentre altri vanno avanti sereni e sorridenti di #ad in #ad. Però a quel punto lavori meno. Insomma, un bel problema di enshittification.
Attenti coi DVD gratis. Qua Ebert dice che se ti arrivano dvd (o videogiochi, o libri) gratis ci può stare, ma evitate di rivenderli, al massimo regalateli ad amici e parenti. Se potete comprateli però, sempre per rimanere indipendenti. Io penso alla gente che si rivende i telefoni per la recensione.
Siate pronti a dare recensioni negative. Se ne date una al lavoro di un amico e quella persona non è più vostra amica, non lo è mai stata. Robert Altman disse a Ebert “Se tu non mi avessi mai dato una brutta recensione che senso avrebbero avuto quelle buone?”.
Aggiungo io, se seguite persone per cui è sempre tutto bellissimo, tutto interessante, tutto bene o male da salvare, vuoi per il loro senso critico, vuoi per evitare di dare fastidio ai marchi, state perdendo il vostro tempo.
Non recensire un film con cui avete un coinvolgimento. Se avete fatto da beta test, se siete una comparsa o se avete qualsiasi forma di coinvolgimento nella produzione di qualcosa non dovreste scriverne.
Di solito viene rispettata, poi leggi quella storia del giornalista che parlava benissimo sui quotidiani di una startup in di cui poi è diventato socio, o il tizio che lavora con le cryptovalute che sul giornale, guarda caso, parla delle interessanti applicazioni delle medesime.
Niente foto con le star/niente autografi. Qua ammetto che è difficile. E capisco quando Ebert dice che tu sei un professionista e chiedendo la foto di abbassi al ruolo di fan.
Però secondo me possiamo arrivare a un compromesso. Specialmente chi lavora nel cinema usa sistematicamente la vicinanza con attori e attrici per diventare figo di rimbalzo. Io sono figo perché mi faccio le foto con gente figa, seguitemi. Personalmente ho un mio codice: durante una intervista evito di chiedere foto, anche perché mi sembra sempre di disturbare, non l’ho fatto nemmeno con Patrick Stewart.
Ci sono tuttavia momenti in cui se vedo che altri lo fanno e il talent è ok non mi faccio problemi. Soprattutto se sono un fanboy. Ritorniamo al punto di poco sopra: son tutte cose che si fanno per sopravvivere in un settore competitivo. E da freelance è ancora più tosta.
Gli autografi invece non li chiedo praticamente mai, a meno che non sia un disegnatore che mi sta facendo la dedica con disegno su un fumetto. Tuttavia ho l’autografo di Buzz Aldrin sul suo libro, ma che cazzo, quell’uomo è stato sulla Luna.
Mamma mia, oggi sono stato lunghissimo e prolisso, spero di non avervi annoiato! Vi evito i linkini per pietà.
Queste linee guida dovrebbero essere parte del bagaglio etico di ogni recensore, ma quello che succede quotidianamente sembra che la situazione vada nella direzione opposta. L’onestà individuale, l’indipendenza sono elementi che sono alla base del patto tra recensore e lettore. Purtoppo vedo molto più tifosi che recensori che scrivono e. A volte passano dalla parte dei lanzichenecchi, mercenari prezzolati da prebende e regalie che fanno cadere a picco, nel mio caso, la credibilità di testate e recensori che vi scrivono. Un recensore non può essere oggettivo, ma deve essere comunque imparziale, slegato da logiche di marketing. La purezza assoluta non esiste, ma la trasparente onestà intellettuale deve essere il motore immobile di ogni critica