(Non) è una specie di magia
Il giornalismo tech ha un grosso problema con la sua capacità di raccontare il settore oltre i trucchi da prestigiatore delle aziende
Quando ero al liceo alla fine del secondo anno ci trasferirono in una nuova sede in periferia perché la villa in cui stavamo non era assolutamente adeguata per degli studenti. Durante l’estate ci fu l’inaugurazione alla presenza di Luigi Berlinguer, che all’ora era ministro della pubblica istruzione. O almeno così mi pare di ricordare, non ci sono molte cronache del periodo su internet, figuriamoci della cronaca locale.
Le porte erano attaccate lo stucco perché non avevano avuto tempo di fissarle, di aule coi banchi ce ne erano un paio, alcuni infissi erano da completare e la palestra verrà ufficialmente aperta almeno tre anni dopo, quando me ne ero già andato. Andato via Berlinguer continuarono i lavori.
Succede, capita spesso, le ragioni politiche e comunicativa spesso hanno la meglio sui cantieri e bisogna nascondere, dissimulare e crederci per far due foto e la stretta di mano, poi si può tornare a lavorare, sperando che venga bene.
Ci pensavo oggi leggendo una notizia che mi ha colpito particolarmente e che a modo suo ci racconta tanto sia di come le grandi aziende vogliono raccontarsi sia di come le raccontiamo, soprattutto sulla stampa che si occupa di tecnologia.
Vi ricordate i supermercati di Amazon aperti nel 2016 in cui entravi, scannerizzavi un qr code, mettevi le cose nel cestino, te ne andavi e poi il pagamento arrivava comodo comodo sull’app? Tutto il sistema si basava, secondo Amazon, su una serie di sensori e telecamere che rilevavano automaticamente ciò che l’utente prendeva nel negozio.
Si chiamavano “Just Walk Out” e vennero presentati e raccontati come il futuro possibile della grande distribuzione. L’ennesima mossa di Amazon per cambiare l’ecosistema dei servizi e delle vendite. Una mossa interessante almeno quanto le consegne coi droni. Col tempo poi sono stati aperti negozi in quasi tutti gli USA e qualcuno anche in Gran Bretagna.
“La tecnologia Just Walk Out semplifica l'esperienza di acquisto eliminando il passaggio dalle casse e consentendo ai consumatori di entrare e uscire rapidamente dai negozi senza problemi” recita il sito di Amazon1 che li mostra come fiori all’occhiello delle tecnologie proprietarie dell’azienda. E così recitavano più o meno tutti i siti del mondo, senza farsi troppo domande, d’altronde se dicono così sarà vero no?
Su Repubblica2 si scrive all’epoca: Una nuova specie di negozio. Meglio: "la più avanzata al mondo tecnologicamente", come la definisce Amazon tanto per volar basso. Ma in effetti lo è, dato che è priva delle casse: si entra, si sceglie quel che si vuole, si esce. Punto. Dopo le librerie, è l'ultima trovata di Jeff Bezos e della sua multinazionale da 107 miliardi di dollari l'anno. Poco meno di 160 metri quadrati dove offrire una buona scelta di prodotti senza avere dimensioni tali che ne impedirebbero l'apertura nei centri delle città.
Wired, edizione USA3, provava a buttare là il seme dello scetticismo sostenendo che Amazon non aveva fornito molti dettagli su come funzionava il tutto, azzardando delle ipotesi, ma in generale il comportamento medio è stato di riprendere la notizia e stop. Alla fine ci sta, è una notizia curiosa, interessante, buona per la chiacchiera da bar e con un gancio facile, ovvero fare la spesa.
In queste ore è emerso che tutta la magia dei Just Walk Out erano più di mille tizi in India che controllavano ogni acquisto per verificare che il sistema avesse registrato gli oggetti4. Su 1000 acquisti circa 700 richiedevano un controllo umano, praticamente i cassieri non erano spariti, semplicemente erano stati spostati in India.
Mentre noi decantavamo le umane sorti e progressive dei negozi del futuro più di mille persone in India, che adesso perderanno il lavoro, controllavano i filmati per far pagare a gente curiosa della nuova shopping experience il loro cibo sovrapprezzato.
E tutta questa mole di lavoro era necessaria per non perdere altri soldi in una tecnologia che era già fin troppo dispendiosa e rendeva praticamente inutili quei negozi, specchietti per le allodole, per farci credere che Amazon stesse facendo qualcosa di spettacolare e interessante, quando invece era il Mago di OZ con la vociona e i trucchi che non voleva farci sapere di essere solo un uomo. E noi giornalisti a volte siamo le sue scimmie volanti.
E adesso, per quanto Amazon dica che non ha assolutamente abbandonato il progetto, perché alcuni negozi sono ancora attivi, i vari licenziamenti e spostamenti su altri progetti dicono un’altra cosa.
È solo un esempio, un piccolo esempio di come di solito funzionano le cose quando si tratta di raccontare certi fenomeni, soprattutto nel settore tecnologico.
Perché tutto sommato ci piace che sia così, ci piace che siano vere, ci piace raccontare qualcosa che in qualche modo può interessare al pubblico di riferimento e con il giornalismo tech spesso è molto, molto difficile verificare.
Perché chi ti racconta la storia è anche l’unico che può darti le informazioni su di essa e anche l’entità che da quella storia potrebbe ricavarne una immagine più innovativa, qualche punto percentuale in borsa o dei preordini. Mi ricorda un po’ la storia di Project Milo, ovvero il progetto di Microsoft che poi sarebbe diventato Kinect, che ci fu venduto come se fosse una sorta di telecamera miracolosa con cui comandare ogni videogioco. In verità era tutto scriptato, tutto recitato prima. Abbiamo visto poi come è andata.
A volte credo che ci sia tanta voglia di sfruttare la famosa legge di Clarke, secondo con cui ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. Sono anni che ci parlano di “magia”, poi alla fine sono 1000 indiani in una stanza. Alla fine la magia è un concetto comodo, adatto all’utente distratto, a chi non vuole troppe spiegazioni ma vuole pensare di aver capito. Ma se l’unico modo che hanno per raccontarci la tecnologia è usare la magia, alla fine di quella magia non resta niente.
Resta solo una mattina in cui ti serve un pezzo perché il sito ha bisogno di click e devi trovare una soluzione; quindi, ti affidi a quello che funziona. Tipo una trovata di Amazon o altre aziende, una trovata che magari non verrà mai implementata, oppure l’ennesima sparata di Musk.
La vera miniera doro sono tutti gli articoli che iniziano con “una ricerca ha svelato che” e poi si parla di come i ragazzi siano distratti, i videogiochi facciano male, ah come era bello quando si scriveva a mano, questo frutto fa bene contro il cancro, questo cibo fa male, questa app migliora la tua capacità di fare qualcosa, questa ricerca di mostra che i Gen Z odiano uscire a cena fuori e così via.
Poi magari vai a verificare ed è un singolo paper, magari su un campione molto piccolo, magari senza neanche troppe verifiche o pubblicato su riviste famose per pubblicare un po’ di tutto.
Che poi manco mi sento di criticare la persona al desk che traduce notizie per pochi spiccioli o sotto la minaccia perenne di un licenziamento. E avanti con la prossima notizia, mentre il settore tech ha ormai rinunciato a raccontare quanto sia complesso, difficile e spesso fallimentare sviluppare nuove tecnologie, nuove idee e nuove soluzioni, preferendo continuare a raccontare “la magia”.
Link e appendici varie
Questa settimana su N3rdcore ho fatto una di quelle cose che faccio ogni tanto: prendere qualcosa di me e frullarlo coi videogiochi. Stavolta è toccato a quel personaggio strano che era mio nonno, che è diventato Dragon’s Dogma 2.
Son stati pure i 25 anni di Matrix, e che fai ti privi di parlarne su Altri Mondi in Rai?
Ovviamente non è un premio sulle vendite ma fa strano aver venduto parecchie più copie di Vivere Mille Vite di più di molti candidati allo Strega.
Volete sapere che bell’ambientino si nasconde dietro i videogiochi? Con tanto di simboli nazisti e publisher che non vogliono “un gioco gay” Ecco qua un articolo che ci ricorda quanto siano importante le persone che parlano con i giornalisti violando il muro segretezza che circonda le aziende.
Può un videogioco insegnarvi come si selezionano e si raccontano le notizie nei giornali, cercando di bilanciare il bisogno di lettori e finanziatori? Forse è complesso ma devo dire che The New York Times Simulator, pur essendo un semplice gioco satirico, mette senza dubbio la pulce nell’orecchio.
Non voglio raccontarvi troppo, anche perché l’ho scoperto stamattina e credo ne parlerò su N3rdcore. Ma intanto provatelo e poi ditemi.
Per la rubrica? Grazie al kazoo. Però sempre meglio ricordarli a chi pensa che se vuoi puoi.
Vi ricordate la famosa techno di Berlino che è diventata patrimonio dell’Unesco quando invece è stata inserita in un registro tedesco dell’Unesco a cui basta chiedere di aderire per farne parte. Che è un po’ una cosa diversa. Però tutte le testate italiane hanno deciso di tradurla, o di copiare la traduzione, nello stesso modo.
Intangible cultural heritage status is more commonly granted to more traditional cultural activities, such as Malawian Mwinoghe dancing or Slovakian bagpipe culture. The recent recognition on Unesco’s list of intangible cultural heritage of Jamaican reggae and India’s huge Kumbh Mela festival, however, prompted techno community leaders in Berlin to campaign for their scene to be included in Germany’s register, which is separate to the Unesco list.
https://aws.amazon.com/it/just-walk-out/
https://www.repubblica.it/tecnologia/2016/12/07/news/via_casse_e_scontrini_nel_supermercato_fa_tutto_lo_smartphone-153609351/
https://www.wired.com/2016/12/amazon-go-grocery-store/
https://gizmodo.com/amazon-kills-just-walk-out-development-skeleton-crew-1851389063
Il NYT Simulator è davvero una trovata geniale! Per il resto, leggo la tua newsletter da qualche settimana e ogni settimana trovo una riflessione sempre più lucida e utile sul giornalismo, italiano e non. Continua così :)
Il boost dello Strega credo sia l’attrattiva più grande per rientrare tra i finalisti, però che libri estremamente validi (se vogliamo dare per buona la selezione del premio, anche qui ci sarebbe da dire) abbiano questa diffusione è amaro. Diciamo che senza considerare un possibile anticipo per un autore vendere 400 copie equivale a circa 250 euro, considerando il lavoro che c’è dietro un libro lo si fa per la gloria.